A marzo del 2021 gli Stati Uniti hanno promesso di inviare al Canada e al Messico milioni di dosi del vaccino AstraZeneca, che non è ancora stato approvato dalle autorità sanitarie statunitensi. Al Messico andranno 2,5 milioni di dosi, ed è il più grande impegno preso finora da un paese nei confronti di un altro. Quei vaccini andranno a un vicino che ne ha molto bisogno. Con più di 200mila persone morte a causa del covid-19, il Messico è il terzo paese più colpito nel continente americano, dopo il Brasile (345mila morti) e gli Stati Uniti (575mila), che però hanno una popolazione molto più numerosa.
Tuttavia, la decisione degli Stati Uniti è un’eccezione alla regola: nella lotta contro una malattia che attraversa i confini e che ha ucciso milioni di persone in tutto il mondo, i paesi più potenti e che hanno più facilità a procurarsi i vaccini hanno tenuto per sé gran parte delle dosi. Le democrazie ricche hanno generosamente finanziato il programma internazionale Covid-19 vaccine global access (Covax), ma sono poco disposte a separarsi da dosi che presto potrebbero servire ai loro cittadini.
È comprensibile che i leader politici diano la priorità all’immunizzazione dei loro cittadini. Ma l’estrema disuguaglianza nell’accesso ai vaccini sta ostacolando gli sforzi per combattere la pandemia a livello globale. È una scelta miope anche dal punto di vista diplomatico. Le future dosi garantite dal Covax e dai donatori occidentali sono un misero conforto per quei paesi che oggi sono alla disperata ricerca di vaccini. Quei paesi ricorderanno chi è venuto in loro aiuto e quando. Non aiutarli subito – mentre altre potenze stanno astutamente pubblicizzando le loro donazioni – alimenta la sensazione che molte democrazie occidentali, dopo aver gestito male la crisi sanitaria all’interno dei loro confini, ora stiano sbagliando anche all’estero. Mentre Cina e Russia – due regimi autoritari i cui leader politici non hanno bisogno di spiegare ai loro cittadini perché stanno aiutando quelli di altri paesi – oggi donano vaccini, e domani potrebbero esercitare una maggiore influenza.
Soldi o medicine
La diplomazia dei vaccini è vecchia quasi quanto i vaccini. Meno di dieci anni dopo che Edward Jenner ebbe creato il primo vaccino contro il vaiolo, alla fine degli anni settanta del settecento, Regno Unito e Spagna lanciarono campagne internazionali per consegnarlo nei Caraibi, in Sudamerica e perfino in Cina, in India e nelle Filippine, immunizzando fino a mezzo milione di persone nell’arco di dieci anni. Le campagne di vaccinazione nei decenni della guerra fredda debellarono il vaiolo, immunizzarono milioni di bambini contro morbillo, parotite e altre malattie pediatriche, e stimolarono la cooperazione scientifica tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
A più di tre mesi dall’introduzione dei vaccini contro il covid-19, solo dieci paesi, con meno di metà della popolazione mondiale, hanno già somministrato tre quarti di tutte le dosi disponibili. Finora i paesi ricchi hanno scelto di aiutare le altre nazioni con i soldi invece che con dosi di vaccino. A eccezione dell’Arabia Saudita, tutti i grandi donatori del Covax sono regimi democratici. A febbraio i paesi del G7 si sono impegnati a far arrivare il loro contributo complessivo a 7,5 miliardi di dollari, con gli Stati Uniti che hanno promesso quattro miliardi di dollari. Secondo dati aggiornati al 25 marzo, il Covax ha distribuito 32 milioni di dosi a sessanta paesi, il 6 per cento di tutti i vaccini somministrati a livello globale. Molti dei governi che donano quantità importanti di dosi sono guidati da politici autoritari o si stanno muovendo in una direzione antidemocratica. La Cina ha regalato dosi a 49 paesi e il suo ministero degli esteri ha annunciato di voler estendere le donazioni ad altri trenta. La Russia sta fornendo vaccini gratuiti a tredici paesi e gli Emirati Arabi Uniti li stanno mandando in altri cinque. L’India, che secondo il Freedom house e l’Istituto svedese V-Dem sta scivolando verso l’autoritarismo, fornisce vaccini gratuiti a più di 43 paesi.
I politici occidentali hanno giustamente osservato che il Covax prevede di fornire molte più dosi di vaccino a molti più paesi di quelli che possono distribuire la Cina o la Russia, ma avrà bisogno di scorte, non solo di soldi. Di fronte ai ritardi nella produzione e alla carenza di materie prime, gli Stati Uniti e l’Unione europea stanno dando la priorità alle loro campagne di vaccinazione, limitando le esportazioni di cui il Covax avrà bisogno per incidere. Gli Stati Uniti e molti paesi europei si sono impegnati a donare le dosi di vaccino in eccesso una volta soddisfatte le loro necessità interne, ma pochi hanno spiegato quando succederà e chi saranno i destinatari.
Offerta sbagliata
La Cina e l’India hanno promesso, in media, meno di 300mila dosi a ogni paese che hanno deciso di aiutare. Le donazioni russe sono altrettanto limitate: nella maggior parte dei casi meno di ventimila dosi (in alcuni solo venti), campioni gratuiti inviati ai paesi che stanno valutando l’acquisto di vaccini che molti russi non sono disposti a fare. Finora gli Emirati Arabi Uniti hanno promesso non più di centomila dosi per paese.
Anche se in alcuni stati queste quantità sono state sufficienti per avviare una campagna di immunizzazione – e assicurare ai donatori la fiducia di quei governi – non bastano per soddisfare la domanda locale né le esigenze globali.
La distribuzione non uniforme dei vaccini non è necessariamente una cosa ingiusta, se le scarse dosi iniziali sono destinate agli stati in cui la crisi sanitaria è più grave e dove quei vaccini possono ottenere risultati migliori.
Ma a giudicare dai fatti, i donatori, sia i paesi autoritari sia quelli democratici, non sembrano seguire questi criteri. Al contrario, gli elementi a disposizione fanno pensare che le loro decisioni si basino su valutazioni geopolitiche più che epidemiologiche.
Da novembre 2020 la regione dell’Asia e del Pacifico – dove gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone, l’India, la Russia e le potenze regionali minori stanno lottando per esercitare un’influenza – ha registrato solo l’8 per cento dei casi di covid-19 nel mondo, ma ha ricevuto più della metà di tutti i vaccini donati.
Nel complesso Cina e India, che si scontrano su alcune questioni territoriali, forniranno due milioni di dosi alla Birmania, 1,8 milioni al Nepal, 1,1 milioni alla Cambogia e 900mila all’Afghanistan, anche se negli ultimi quattro mesi questi paesi hanno registrato un numero relativamente basso di casi di covid-19.
Cina e Russia hanno fatto avere più di 300mila vaccini al Laos, cioè più di dodicimila dosi per ogni caso segnalato di recente in quel paese. A marzo Stati Uniti, India, Giappone e Australia – i paesi del Quadrilateral security dialogue (Quad) – si sono impegnati a produrre e a distribuire un miliardo di dosi ai paesi della regione entro la fine del 2022.
Dosi olimpiche
Questi esempi di diplomazia dei vaccini fanno pensare che le donazioni servano a rafforzare l’influenza politica più che a garantire una distribuzione equa e a porre fine alla pandemia. Quasi tutti i paesi a cui la Cina ha promesso vaccini hanno aderito alla Belt and road initiative, la nuova via della seta promossa da Pechino. La Cina si è anche offerta di fornire vaccini per le forze di pace delle Nazioni Unite e per gli atleti che dovrebbero partecipare alle Olimpiadi di Tokyo quest’estate e ai Giochi invernali di Pechino il prossimo anno.
Al contrario, i paesi dell’America Latina, di parti dell’Africa e dell’Europa centrale e orientale, tutti con scorte inadeguate, hanno ricevuto molte meno donazioni di quelle necessarie per contrastare i recenti picchi di contagi. Secondo i dati aggiornati al 25 marzo, nemmeno una dose era stata spedita a Panamá, in Perù, in Sudafrica e in Ucraina, paesi a basso e medio reddito che negli ultimi cinque mesi hanno registrato nel complesso circa tre milioni di casi. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1405 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati