Un colpo di stato in Africa occidentale era una notizia quasi banale alla fine del secolo scorso, ma negli ultimi vent’anni è diventato un evento abbastanza raro da finire sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Gli ultimi due, poi, sono particolari anche perché sono avvenuti nello stesso paese, il Mali.

Il colonnello Ismael Wagué, vicecapo di stato maggiore dell’aeronautica, il 19 agosto si è presentato a una conferenza stampa trasmessa in tv annunciando che il Comitato nazionale di salute pubblica (Cnsp) aveva preso il controllo del paese. In uniforme, Wagué ha promesso stabilità. Le nuove autorità militari hanno imposto il coprifuoco, sciolto l’assemblea nazionale e promesso una transizione verso un governo civile.

Il colpo di stato è arrivato al culmine di una serie di proteste popolari simili a quelle che si sono svolte di recente in Algeria e in Sudan. Dall’inizio di giugno i maliani sono scesi in piazza in tutto il paese dopo le preghiere del venerdì per chiedere un cambiamento. In un primo tempo a Bamako i manifestanti erano tra i cento e i duecento, ma i numeri sono cresciuti notevolmente nelle ultime settimane.

Le ragioni di questo colpo di stato sono quasi identiche a quelle che avevano portato al golpe militare nel 2012. Nell’esercito c’è un diffuso malcontento a causa dell’aumento dell’insicurezza nel nord del paese, dei salari bassi e degli equipaggiamenti inadeguati, oltre a un disprezzo generale nei confronti di una classe politica incompetente e alla corruzione senza freno dei governanti. Nel 2012 l’esercito maliano stava combattendo contro una milizia tuareg ben armata che aveva attraversato il Sahel dalla Libia in seguito all’avventato intervento militare franco-britannico del 2011. Fino ad allora la milizia aveva formato la guardia del corpo del leader libico Muammar Gheddafi. Con la disgregazione della Libia, i miliziani si erano riforniti nei suoi ricchi arsenali ed erano tornati nei loro territori di origine, nei deserti del nord del Mali.

L’esercito maliano, il cui equipaggiamento si dimostrò del tutto inadeguato, fu più volte umiliato.

Nei successivi otto anni la situazione non è migliorata per i maliani, nonostante la presenza di una missione delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace formata da 15.600 unità e gli interventi militari di Francia, Stati Uniti e Regno Unito. Le truppe francesi hanno un ruolo più rilevante rispetto alle forze dell’Onu e, secondo fonti di sicurezza locali, sono state efficaci nel contrastare l’insurrezione, ma sono malviste dalla popolazione. La Francia è l’ex potenza coloniale ed esercita ancora una grande influenza nella regione, soprattutto considerato che è il tesoro francese a supportare la valuta locale, il franco Cfa.

Sempre più forti

Da quando la Libia è sprofondata nel caos, il Mali è diventato il centro dell’insurrezione internazionale islamista e della controinsurrezione, attirando nella regione vari gruppi, dal movimento locale Jamaa nusrat ul-islam wa al muslimin (Jnim) ad Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) allo Stato islamico. I ribelli si sono rafforzati in tutta la regione del Sahel e hanno dilagato, diffondendosi dal Mali settentrionale al Burkina Faso, alla Costa d’Avorio, al Niger e alla Nigeria nordorientale. In questo ambiente conflittuale la corruzione ha proliferato.

Paradossalmente il presidente appena deposto, Ibrahim Boubakar Keïta, che ha 75 anni ed è conosciuto come Ibk, era stato acclamato come l’eroe che aveva messo fine al colpo di stato del 2012, molto impopolare, con la vittoria alle elezioni del 2013. Ma la corruzione di Keïta e di suo figlio Karim e l’incapacità del governo civile di mantenere le promesse hanno alimentato la rabbia e portato alle proteste.

Da sapere
Senza accordo

**5 giugno 2020 **Cominciano le proteste contro il presidente Ibrahim Boubacar Keïta, accusato di corruzione e di aver commesso abusi nelle elezioni parlamentari di marzo e aprile.

**18-19 agosto **Dopo un ammutinamento, i soldati arrestano Keïta e il primo ministro Boubou Cissé. Il presidente si dimette. I leader militari promettono di consegnare il potere ai civili dopo un periodo di transizione.

**20 agosto **I paesi della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) annunciano la chiusura delle frontiere con il Mali e il blocco di tutti i flussi finanziari e commerciali, tranne i prodotti di prima necessità e legati alla lotta contro il covid-19.

24 agosto **I colloqui tra gli inviati della Ecowas e i leader del colpo di stato sulle condizioni per un ritorno dei civili al potere finiscono senza un accordo. **Al Jazeera


Karim è un parlamentare e ha sfruttato in modo spudorato la sua posizione per favorire i propri interessi economici. Nonostante la crisi provocata dal covid-19, ha usato un aereo militare per andare in Spagna a festeggiare il suo compleanno. I dettagli del viaggio sono finiti sui social network e hanno fatto infuriare i maliani, sempre più conservatori.

Le tensioni politiche, però, sono esplose davvero dopo il primo turno delle elezioni parlamentari alla fine di marzo. Il voto è stato segnato da rapimenti di candidati e funzionari dell’opposizione. Un leader dell’opposizione, Soumaila Cissé, è stato rapito durante la campagna elettorale tre giorni prima del voto, un fatto senza precedenti.

Nel tentativo di placare le proteste, Keïta ha organizzato una serie di vertici con gli oppositori e con delegazioni di leader regionali. Ma senza successo. I capi delle proteste si sono rifiutati di partecipare a un governo di unità nazionale. A quel punto, secondo alcune fonti a Bamako, Keïta avrebbe suscitato l’ira degli alti ufficiali dell’esercito licenziando il capo della guardia presidenziale.

Così l’esercito ha arrestato Keïta e il primo ministro Boubou Cissé e li ha trattenuti in carcere finché non si sono dimessi. In un filmato si vedono soldati sorprendentemente ben equipaggiati in tenuta da combattimento mentre accompagnano i due in carcere tra gli applausi della folla.

A mezzanotte del 18 agosto il presidente Keïta ha annunciato le sue dimissioni alla tv di stato. Chi conosce bene il paese afferma che stavolta il golpe ha il sostegno delle più alte cariche dell’esercito e Wagué potrebbe limitarsi a svolgere il ruolo di portavoce del colpo di stato, senza diventarne il leader. La differenza rispetto all’ultimo golpe è che il Mali, che già era un paese conservatore, ha subìto un grande cambiamento, trasformandosi dalla società laica e socialista del periodo che va dall’indipendenza al 1991 in una società profondamente religiosa. Dietro questa nuova religiosità c’è l’opera di due importanti imam, Mahmoud Dicko e Bouyé Haidara.

Obiettivo comune

Haidara è il leader di Nioro, una città al confine con la Mauritania. Oltre a essere un imam molto rispettato, è anche un pragmatico uomo d’affari con una grande impresa di autotrasporti. Si dice che quando starnutisce Haidara, il Mali prende il raffreddore. Dicko invece è più radicale. Circolano voci sul fatto che il Qatar finanzi le sue attività e che l’imam organizzi degli autobus per trasportare le persone alle manifestazioni in alcune aree del paese ogni settimana. L’obiettivo di Dicko è istituire in Mali la legge islamica. Entrambi gli imam hanno sostenuto le proteste.

Quello che unisce loro, la popolazione e ora anche l’esercito è la richiesta che le forze internazionali lascino il paese. I leader militari hanno contattato i tuareg del nord per avviare colloqui di pace. Fonti interne agli apparati di sicurezza affermano che la mossa è un invito agli islamisti a unirsi al golpe contro un nemico comune: le forze d’intervento straniere.

In questi giorni sono in corso diverse iniziative diplomatiche internazionali mentre gli organismi regionali, in particolare la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) e l’Unione africana (Ua), reagiscono al colpo di stato, proprio come fecero nel 2012. Il Mali potrebbe essere messo al bando oppure subire sanzioni politiche o economiche. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è riunito a porte chiuse per discutere della situazione.

Tutti questi organismi dovranno fare i conti con il fatto che, dopo otto anni di controinsurrezione, il golpe militare potrebbe permettere agli islamisti di conquistare per la prima volta un punto d’appoggio politico nel Sahel. ◆ _gim _

Tara O’Connor _ ha fondato e gestisce
l’organizzazione Africa risk consulting
ed è esperta di Africa occidentale, Sahel
e Maghreb._

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1373 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati