Il comitato che assegna il Nobel per la pace ha l’abitudine di usare il premio per incoraggiare i difensori della democrazia. Nel 1980 l’argentino Adolfo Pérez Esquivel ricevette il riconoscimento per “il suo impegno in difesa della democrazia e dei diritti umani contro le dittature del Cono sud”. Negli anni successivi, i paesi della regione governati da un regime militare cominciarono la transizione democratica. Nel 2016, pochi giorni dopo la vittoria del no in un referendum per approvare o respingere l’accordo di pace tra il governo di Bogotá e il gruppo guerrigliero delle Farc, il Nobel fu assegnato al presidente colombiano Juan Manuel Santos. A novembre il governo e la guerriglia firmarono la pace. Sono solo due esempi che riguardano l’America
Latina, ma ne esistono altri sparsi per il mondo.

Il Nobel per la pace assegnato il 10 ottobre alla leader dell’opposizione venezuelana María Corina Machado è un riconoscimento generale del desiderio della società venezuelana di liberarsi del regime chavista. Il premio riporta l’attenzione sulle elezioni presidenziali del 28 luglio 2024, vinte in maniera irregolare da Nicolás Maduro.

A tutti quelli che considerano imminente un intervento militare, anche alla luce dei recenti attacchi degli Stati Uniti contro le imbarcazioni venezuelane nel mar dei Caraibi, il Nobel fa presente che non sarebbe una buona idea. Machado sostiene senza nasconderlo l’operato di Donald Trump alla Casa Bianca, ma non perché vuole un conflitto armato. Negli ultimi anni, durante varie riunioni e interviste che ho avuto l’opportunità di realizzare con lei a Caracas, ha sempre difeso una soluzione pacifica alla crisi del suo paese e non ha mai affermato di volere un intervento militare. Allo stesso tempo, però, ha sempre detto di non voler negoziare con Maduro, per un motivo semplice: il leader venezuelano, nel corso di più di dieci negoziati di pace mediati da altri paesi, ha sempre promesso elezioni libere che poi sono state regolarmente truccate.

Per Machado la soluzione al problema venezuelano non passa necessariamente dal dialogo, ma da una diplomazia aggressiva e dal rispetto della volontà della società civile (secondo un sondaggio di Datanálisis, quasi il 90 per cento dei venezuelani è contro il governo autoritario di Maduro).

Posizioni di destra

Le idee di Machado non rispecchiano quelle di tutta l’opposizione venezuelana, per via delle sue posizioni di destra, conservatrici e legate al cattolicesimo più estremo. Alle elezioni del 2024 Machado ha ottenuto l’appoggio di tutte le forze dell’opposizione, ma ha molte divergenze con la generazione più giovane, quella di Juan Guaidó, Leopoldo López e altri leader che l’accusano di non essere abbastanza progressista. La verità è che nessuno di loro è riuscito a emarginarla, perché Machado ha una storia particolare: è stata una delle principali avversarie di Maduro all’assemblea nazionale prima ancora che i governi del suo predecessore e mentore politico, Hugo Chávez, prendessero una deriva autoritaria.

L’anno scorso Machado ha coinvolto migliaia di persone nella sua campagna elettorale. Dei nostri incontri avvenuti a Caracas conservo l’immagine di una donna dalla determinazione incrollabile. Oggi non può salire su un volo nazionale, girare per il paese in moto o in auto né tantomeno andare a trovare i suoi figli che vivono negli Stati Uniti, perché il governo glielo impedisce.

Purtroppo Maduro non presta la minima attenzione alla pressione internazionale, come abbiamo visto dopo le elezioni irregolari del 2024. In questo senso il Nobel assegnato a Machado, che vive nascosta in un luogo segreto in qualche posto del Venezuela, forse non avrà nessun effetto sui potenti del paese. Ma almeno dimostra che il mondo non ha dimenticato i problemi del Venezuela e del suo governo autoritario. E questa è una buona notizia. ◆ as

Sylvia Colombo è una giornalista brasiliana che si occupa di America Latina.

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Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati