Le forze progressiste di tutto il mondo festeggiano a ragione la vittoria di Zohran Mamdani, primo sindaco socialista di New York, perché ciò dimostra che anche l’ala più di sinistra del partito democratico può mobilitare gli elettori quanto la destra populista. Tuttavia la vittoria di Mamdani, come lui stesso sa, lo espone ad atti di sabotaggio: è interesse vitale dello “stato profondo”, sia di quello repubblicano sia di quello democratico, che il suo mandato sia un fiasco. Del resto lo stesso Trump aveva invitato i newyorchesi a votare per l’altro candidato democratico, Andrew Cuomo: con Mamdani sindaco i populisti trumpiani e il blocco tradizionale dei democratici antitrumpiani improvvisamente parlano la stessa lingua. Faranno tutto il possibile perché fallisca. Per la sinistra dunque non è solo tempo di agire, ma anche di riflettere.

Gli Stati Uniti si stanno trasformando da un paese bipartitico a uno formato da quattro partiti: la scena politica è occupata da repubblicani dell’establishment, democratici dell’establishment, populisti dell’alt-right e socialisti democratici. Ci sono già idee di coalizioni trasversali: Joe Biden aveva lasciato intendere che avrebbe potuto nominare un repubblicano moderato come vicepresidente, mentre Steve Bannon ha accennato un paio di volte al fatto che la sua coalizione ideale è quella tra Trump e Bernie Sanders. Ma mentre il populismo di Trump ha imposto agevolmente la sua egemonia sui repubblicani, la frattura interna al Partito democratico è sempre più profonda: la battaglia tra l’ala maggioritaria e quella di Bernie Sanders è l’unico vero conflitto politico in corso negli Stati Uniti. Come ha scritto Emma Brockes sul Guardian: “La più grande minaccia per Zohran Mamdani non è Donald Trump, è la vecchia guardia democratica”.

Mamdani ha vinto perché ha fatto per la sinistra quello che Trump ha fatto per la destra: non si è preoccupato di perdere consensi al centro e ha confermato la sua posizione radicale

Abbiamo dunque a che fare con due antagonismi, quello tra l’attuale inquilino della Casa Bianca e l’establishment liberal (su questo si giocava la messa in stato d’accusa di Trump durante il suo primo mandato) e quello tra la corrente di Sanders e tutte le altre. Il tentativo di mettere in stato d’accusa Trump è stato una mossa disperata per riconquistare la guida morale degli Stati Uniti. Un esercizio d’ipocrisia, considerato che l’oscenità di Trump ha portato allo scoperto le storiche lacune morali dei democratici. Non si torna indietro: la vita politica statunitense dev’essere reinventata. E questo Bernie Sanders l’ha capito.

Mamdani ha vinto perché ha fatto per la sinistra quello che Trump ha fatto per la destra: non si è preoccupato di perdere consensi al centro e ha confermato la sua posizione radicale. I quattro soggetti nella politica statunitense non sono allo stesso livello: abbiamo due partiti morenti vittime della loro inerzia, privi di una visione seria (repubblicani e democratici di stampo tradizionale), ai quali si affiancano due movimenti emergenti: i populisti trumpiani e i socialisti democratici. L’unica vera sfida elettorale sarebbe quella fra Trump e i socialisti democratici. Quindi i politici come Mamdani dovrebbero uscire dal Partito democratico? Secondo me serve un pragmatismo di principio.

Un paio di mesi fa i mezzi d’informazione hanno raccontato due iniziative di lancio di un nuovo partito. Prima Elon Musk ha annunciato il debutto dell’America party, promuovendolo come una sfida al sistema bipartitico. Non è chiaro se sia mai stato formalmente registrato. Musk è nato fuori dagli Stati Uniti e non può candidarsi alla presidenza, perciò non aveva detto chi l’avrebbe guidato. Il tentativo è fallito subito perché Musk ha dato priorità al tecnofeudalesimo rispetto al populismo.

Nel Regno Unito Zarah Sultana e Jeremy Corbyn hanno annunciato la creazione di un nuovo partito di sinistra e il loro progetto è sembrato promettente (secondo i sondaggi la metà dell’elettorato laburista sarebbe pronto a votarlo), ma l’incertezza rimane. I due, inoltre, hanno cominciato a scontrarsi pubblicamente. Nel Regno Unito la vera sfida elettorale del momento sarebbe quella tra l’estrema destra del Reform party di Nigel Farage e il nuovo partito di sinistra, con i laburisti e i conservatori messi ai margini.

Dunque non esiste una soluzione preconfenzionata a questo dilemma: a volte bisogna cercare di conquistare un grande partito; altre volte è necessaria una scissione. Io credo che Mamdani abbia fatto bene a restare nel Partito democratico. Se fosse entrato in competizione con le altre tre forze (repubblicani e democratici tradizionali, e trumpiani) avrebbe perso. Ora dovrebbe gradualmente prendere il controllo della sezione newyorchese del Partito democratico, oltre a parlare ai lavoratori e agli agricoltori che di solito votano Trump.

Il futuro di Mamdani sta nei trumpiani delusi, non nel centro. Solo uno come lui ha la possibilità di conquistare gli elettori che giustamente non si fidano di chi comanda nello “stato profondo”. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1640 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati