Scendendo la scaletta che porta nella grotta di Fels (Hohle Fels), in Germania, ho la sensazione di viaggiare nel tempo. Una volta arrivati in fondo, Nicholas Conard, l’archeologo che dirige il vicino museo di Blaubeuren, mi mostra uno strato di roccia. “Questo è di ventimila anni fa”. Poi indica un metro più in basso: “Qui siamo a 40mila anni fa”. M’intimoriva l’idea di trovarmi dove i nostri primi antenati umani hanno vissuto e respirato tanto tempo fa. Ma è stato quello che avevano inventato a ispirare il mio viaggio. Hohle Fels è il luogo in cui, nel 2008, Conard e i suoi colleghi hanno scoperto il primo strumento musicale conosciuto, un flauto scavato in un osso di avvoltoio che si pensa risalga a circa 40mila anni fa. È il prodotto di quelle che io sostengo siano state due rivoluzioni parallele della cognizione umana. Nel corso dei miei studi sul cervello attraverso la lente dell’autismo ho dedicato molto tempo all’empatia, per capire il suo ruolo nella nostra evoluzione e come sia ancora oggi alla base dell’interazione umana. Ma più o meno nello stesso periodo in cui sono avvenuti i cambiamenti cerebrali che ci hanno permesso di provare empatia, si è verificato un altro insieme di cambiamenti altrettanto importante: l’evoluzione di una rete cerebrale specializzata nella ricerca di schemi (pattern) – chiamiamola meccanismo di sistematizzazione – che costituisce il fondamento di ogni invenzione umana, compresa quella degli strumenti musicali.

Per l’umanità le conseguenze di questa doppia rivoluzione sono state profonde. E le mie ultime ricerche mi fanno pensare che nelle persone affette da disturbi dello spettro autistico la rete per la ricerca di schemi è più forte che mai e può aiutarci a capire perché i tratti autistici spesso si sovrappongono a una straordinaria inventiva. Se consideriamo l’evoluzione umana nel lungo periodo, l’uso di utensili semplici risale a più di due milioni di anni fa. Sono state trovate anche prove di progressi nella tecnologia primitiva. Per esempio asce più sofisticate, circa 1,7 milioni di anni fa. Ma tra i primi ominidi, per circa due milioni di anni gli strumenti di pietra ebbero poche funzioni basilari: frantumare, tagliare e raschiare. Non è stata riscontrata nessuna evoluzione, nessun segno d’invenzione “generativa”. I nostri antenati in gran parte apportarono un solo cambiamento, al quale rimasero fedeli per milioni di anni, e non sembra fossero capaci di inventare continuamente, basando ogni nuovo progresso sul precedente, né di produrre una varietà d’invenzioni.

Livelli di empatia

Quando la nostra specie, Homo sapiens, emerse per la prima volta circa trecentomila anni fa, si cominciarono a vedere i segni di una maggiore inventiva nel costruire utensili e tipi di lame. Tuttavia dalla documentazione archeologica risulta che la vera esplosione d’invenzioni avvenne circa centomila anni fa, con le incisioni e i primi gioielli. Segni dell’uso di “armi da lancio”, come l’arco e la freccia, apparvero 70mila anni fa e gli aghi da cucito 60mila anni fa. Bisogna aspettare altri 16mila anni per avere i primi esempi d’incisioni su ossa che sembrano rappresentare un conteggio. In questo settore di ricerca in rapida evoluzione si scoprono continuamente nuovi artefatti. Ciò che più mi ha colpito, però, è il primo strumento musicale: il flauto d’osso scavato della Hohle Fels.

Dopo la mia visita alla grotta, Conard mi ha fatto ascoltare la registrazione del suono ottenuto da una replica di quel flauto. Era commovente. Erano le stesse note che i nostri antenati sentirono 40mila anni fa. Il flauto d’osso ha cinque fori, segno che veniva usato per suonare melodie con la scala pentatonica ancora oggi prevalente in molte tradizioni musicali. Quindi i nostri antenati non stavano solo inventando strumenti complessi, ma sistemi complessi come la musica.

Questa esplosione di manufatti nella documentazione archeologica indica che gli esseri umani avevano sviluppato la capacità d’invenzione generativa. Tra quarantamila e diecimila anni fa assistiamo all’emergere della scultura, della pittura rupestre, dell’agricoltura e dell’osservazione del cielo di notte. Sono stati trovati esempi di scrittura, matematica, religione e dell’uso della ruota che risalgono a cinquemila anni fa. Gli esseri umani non hanno mai smesso di inventare, come dimostra la recente messa a punto dei vaccini contro il covid-19.

Ma cosa è cambiato? Nel mio nuovo libro, The pattern seekers (I cercatori di schemi), sostengo che i due circuiti cerebrali che guidarono questa rivoluzione cognitiva cominciarono a evolversi, sorprendentemente più o meno nello stesso periodo, tra centomila e settantamila anni fa. Uno di questi, il circuito dell’empatia, diede luogo a una serie di nuovi comportamenti, tra cui la capacità d’ingannare, l’insegnamento, la riflessione, le strategie sociali e la comunicazione basata su riferimenti condivisi, compresa la narrazione di storie. Questo spiega perché gli esseri umani moderni furono in grado di creare armi da lancio e gioielli: stavano cominciando a capire quello che gli altri potevano pensare, sapere, intendere, sentire, volere e credere.

North Carolina, Stati Uniti, 2018 (Mary Berridge)

Studio il circuito dell’empatia con i miei colleghi da 35 anni. Oggi sappiamo che coinvolge come minimo una rete complessa di dieci regioni del cervello. L’empatia ha almeno due aspetti: c’è l’empatia cognitiva, nota anche come teoria della mente, che è la capacità d’immaginare quello che l’altro sta pensando; e l’empatia affettiva, la tendenza a rispondere allo stato mentale di un’altra persona con un’emozione appropriata. Anche se sono stati riscontrati esempi di empatia in alcuni animali, non esistono prove convincenti del fatto che un animale possa attribuire convinzioni false a un altro o che sia capace d’ingannare e d’insegnare in modo flessibile, a differenza di un bambino di quattro anni. L’altra scoperta che abbiamo fatto è che la genetica influisce su questa capacità. I livelli di empatia seguono una curva a campana, con la maggior parte delle persone distribuita al centro e una piccola percentuale agli estremi. In alcuni studi recenti che hanno coinvolto circa 80mila persone, la nostra équipe internazionale ha esaminato le correlazioni tra varianti genetiche comuni e tratti particolari. E ha scoperto che alcuni geni sono associati alla posizione di ognuno di noi su quella curva.

Mentre l’educazione e le nostre prime esperienze influiscono sicuramente su quanto riusciamo a essere empatici, la scoperta che l’empatia è anche in parte genetica fa pensare che sia una conseguenza della selezione naturale. È facile capire perché fosse altamente adattativa. Per esempio, aiutava le persone a costruire trappole in cui sarebbero cadute le prede o a leggere la mente dei neonati per soddisfare i loro bisogni emotivi e fisici, e farli così sopravvivere fino all’età della riproduzione per trasmettere i geni.

Ma il circuito dell’empatia non basta. Può spiegare perché nella documentazione archeologica troviamo gioielli, strumenti musicali, sculture e pitture rupestri: forse c’era un pubblico al quale queste cose interessavano. Ma non può spiegare come gli esseri umani moderni siano diventati capaci di questo genere di invenzioni. Per realizzare fino in fondo una rivoluzione cognitiva della nostra capacità d’invenzione, gli esseri umani devono aver sviluppato un altro nuovo circuito cerebrale.

Qui entra in gioco il meccanismo di sistematizzazione, che ha permesso di cercare schemi in un modo diverso. Usando l’apprendimento associativo i nostri antenati ominidi potevano vedere schemi semplici: A è associato a B, per esempio l’uso di un martello per schiacciare le noci era associato a una ricompensa gustosa. E arrivarono a creare strumenti semplici. Ma gli esseri umani moderni erano alla ricerca di schemi più complessi del tipo “se (condizione), e, allora”. Questo li ha portati a inventare strumenti più elaborati e consente a noi di farlo ancora oggi. Prendo in prestito il concetto del “se, e, allora” dal matematico britannico dell’ottocento George Boole, alla cui analisi del pensiero logico è attribuita l’invenzione del computer. In termini ingegneristici, gli schemi “se, e, allora” sono l’equivalente di quelli input-operazione-output: se prendo un input (inserimento di dati) e faccio (o osservo) un’operazione, vedo un cambiamento nell’output (il risultato finale). Un’operazione può essere una gamma di azioni, ma le più interessanti sono le azioni causali, che cambiano l’input in un nuovo output per un motivo specifico. “E” nell’algoritmo “se, e, allora” è la parola magica. Il meccanismo di sistematizzazione ci ha consentito non solo di trovare gli schemi del “se, e, allora”, ma anche di confermarne la correttezza attraverso la ripetizione. Da qui nasce l’invenzione generativa: gli esseri umani diventarono sperimentatori.

È stato l’inizio della musica: se soffio in quest’osso cavo e copro un buco, allora produco il suono a. Se soffio nell’osso e scopro un altro buco, allora ottengo il suono b: cambiando la variabile, nasce l’invenzione. Dal motore del cervello che consente l’invenzione nascono bellissime sequenze musicali di note, motivi e schemi ritmici.

L’invenzione di armi come l’arco e la freccia, che potevano colpire a distanza, segue la stessa logica: se attacco una freccia a una fibra elastica e allento la tensione della fibra, la freccia partirà. Così l’invenzione dell’agricoltura: se prendo un seme di pomodoro e lo pianto in un terreno umido, ottengo una pianta di pomodoro.

Da sapere
L’autismo

◆ Le manifestazioni dell’autismo sono molto varie, per questo si parla di spettro autistico. Esistono livelli di gravità diversi, da forme più sfumate ad altre acute, a cui spesso si accompagna un ritardo mentale. L’autismo rappresenta una delle sindromi più complesse e, nelle forme gravi, più difficili da gestire tra quelle che emergono nell’età evolutiva. Le bambine e i bambini affetti da autismo hanno difficoltà nell’interazione, nella comunicazione e nelle attività di gioco. Il linguaggio verbale, se è presente, risulta spesso non adeguato al contesto, con scarso uso dei gesti comunicativi. Le attività di gioco sono per lo più di tipo ripetitivo e isolate rispetto al gruppo dei coetanei. Altre caratteristiche dell’autismo sono la difficoltà a esternare i propri sentimenti e a leggere i sentimenti altrui, una diversa sensibilità agli stimoli ambientali (per esempio una più bassa o eccessiva sensibilità ai rumori e agli stimoli sensitivi tattili o gustativi), un deficit dell’immaginazione. Le cause dell’autismo sono spesso ignote. Angsa


Il ruolo fondamentale di questo modello di ricerca nella storia del progresso umano mi ha fatto pensare: con il circuito dell’empatia, sappiamo che sul possesso di questa capacità esistono differenze individuali che corrispondono a differenze genetiche. Vale anche per la sistematizzazione? Anche questa è stata attivamente selezionata nell’arco della nostra evoluzione? È possibile. Studiando i tipi di cervello io e i miei colleghi abbiamo esaminato più di 630mila soggetti e abbiamo trovato differenze individuali nella capacità di sistematizzazione distribuite su una curva a campana.

Per stabilire se queste differenze corrispondessero a differenze genetiche, nel 2020 abbiamo condotto uno studio su 50mila persone. Come per l’empatia, abbiamo scoperto che le varianti genetiche comuni erano associate al punto in cui ognuno si trovava sulla curva: se era poco interessato agli schemi “se, e, allora”, se era nella media o se sistematizzava senza sosta, cioè era un ipersistematizzatore. Il fatto che la nostra tendenza più o meno spiccata a sistematizzare sia in parte legata alla nostra genetica significa, ancora una volta, che questa capacità è il prodotto della selezione naturale. Non è difficile immaginare che gli ipersistematizzatori avessero vantaggi adattativi che gli permisero di sopravvivere e trasmettere i loro geni. Forse erano le persone da cui si andava quando un bambino era malato o se bisognava riparare un oggetto. Oppure erano loro a inventare modi nuovi e migliori di fare le cose, e così accumulavano più risorse.

I dati ci hanno rivelato un altro aspetto affascinante: la maggior parte delle persone tende alla sistematizzazione o all’empatia, piuttosto che alla ricerca di un equilibrio tra le due. Questo fa pensare che la predominanza dell’una o dell’altra possa aver rappresentato un vantaggio in nicchie ecologiche diverse. E porta a una nuova idea di come si sia evoluta la nostra mente inventiva. Ma potrebbe anche insegnarci qualcosa sull’autismo, che ho studiato a lungo.

Da sapere
Che tipo di cervello hai?

◆ Per capire meglio l’equilibrio tra empatia e sistematizzazione, io e i miei colleghi chiediamo a chi partecipa ai nostri studi di compilare due questionari: uno per determinare il quoziente di sistematizzazione (Sq) e l’altro per stabilire il quoziente di empatia (Eq). In entrambi i casi le persone devono scegliere se sono molto d’accordo, in parte d’accordo, in parte in disaccordo o molto in disaccordo con dieci affermazioni. Tra le domande del questionario sull’Sq, ci sono per esempio “m’interessa conoscere il percorso che un fiume segue nel suo viaggio verso il mare” e “quando ascolto un brano musicale, noto sempre com’è strutturato”. In quello dell’Eq, invece, alcune affermazioni sono “non riesco sempre a capire perché qualcuno si sia sentito offeso da un’osservazione” e “riesco a intuire rapidamente quello che prova una persona”.

Assegniamo un punteggio a ogni affermazione per vedere come il soggetto si colloca nelle due dimensioni. La nostra ricerca ha dimostrato che la neurodiversità umana può essere suddivisa in appena cinque tipi di cervello e che di solito empatia e sistematizzazione si bilanciano: maggiore è una, minore è l’altra.

Tipo E Sono le persone il cui livello di empatia è superiore a quello di sistematizzazione. Questo gruppo costituisce circa il 30 per cento della popolazione.

Tipo S Sono le persone il cui livello di sistematizzazione è superiore a quello di empatia. Anche questo gruppo rappresenta circa il 30 per cento della popolazione.

Tipo B Chi non mostra differenze nella sua tendenza a entrare in empatia o a sistematizzare. Di nuovo, circa il 30 per cento della popolazione.

Tipo E estremo Le persone con un grado di empatia molto alto e un meccanismo di sistematizzazione a livelli medi o bassi. Sono circa il 3 per cento della popolazione.

Tipo S estremo Le persone con un meccanismo di sistematizzazione molto alto e una capacità di empatia a livelli medi o bassi. Anche queste sono circa il 3 per cento della popolazione.

Di recente abbiamo creato uno strumento online che consente a chiunque di rispondere ai nostri questionari da casa, contribuendo così alla ricerca. Potremo usare questi dati per trovare la risposta a domande importanti, per esempio: i cinque tipi di cervello variano in base alla cultura, all’età, al sesso, alle condizioni neurologiche, all’occupazione, alla biologia e all’esperienza? E quali vantaggi dà ogni tipo di cervello?

Chi vuole partecipare alla nostra ricerca può visitare il sito yourbraintype.com.

Simon Baron-Cohen, New Scientist


Una scoperta importante

Tra le persone che chiamo ipersistematizzatori, inserirei alcuni degli inventori più famosi della storia come Thomas Edison, Isaac Newton e Nikola Tesla.

Secondo i biografi, Edison era così immerso nei suoi esperimenti che la moglie dovette spostare un materasso nel suo studio per farlo dormire, mentre Newton continuava a tenere le sue lezioni al Trinity college dell’università di Cambridge anche se nessuno studente le frequentava, perché il suo contratto di lavoro lo prevedeva. Entrambi usavano il loro talento di sistematizzatori in una nicchia in cui quelle capacità erano apprezzate.

È lecito pensare che, nel migliore dei casi, quegli scienziati avessero dei tratti autistici. Ero interessato a capire meglio il collegamento. Rivedendo i dati del nostro studio sui tipi di cervello, abbiamo scoperto che i 36mila partecipanti con diagnosi di autismo avevano maggiore probabilità di essere sistematizzatori o ipersistematizzatori, un dato che vale sia per gli uomini sia per le donne.

Abbiamo anche scoperto che tra le 600mila persone senza una diagnosi di autismo prese in considerazione dallo studio, quelle che lavoravano nei settori della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria o della matematica avevano un maggior numero di tratti autistici rispetto alle altre. Tra i matematici dell’università di Cambridge abbiamo riscontrato un tasso di autismo diagnosticato più alto rispetto alle persone impegnate nelle discipline umanistiche o alla popolazione generale.

In media nei test di riconoscimento di schemi e ragionamento meccanico le persone con disturbi dello spettro autistico riescono meglio di quelle che non ne hanno. Questo legame fra tratti autistici, diagnosi specifica e sistematizzazione sembra essere genetico. I genitori di bambini con autismo si occupano più spesso di discipline scientifiche e mostrano capacità più accentuate di riconoscimento degli schemi. Tutte queste associazioni sono convincenti, ma per stabilire con maggiore certezza il legame tra autismo e sistematizzazione abbiamo condotto un altro studio di associazione genetica su larga scala. E abbiamo riscontrato una sovrapposizione tra le varianti genetiche comuni associate all’autismo e quelle associate all’ipersistematizzazione: c’era nel 26 per cento dei casi. Significa che alcuni geni dell’autismo non codificano solo per l’autismo, ma anche per la capacità di sistematizzazione.

Quest’intuizione fa pensare che l’autismo non sia un caso genetico, ma sia intrecciato con la nostra capacità d’invenzione e sia stato attivamente selezionato nell’arco della nostra evoluzione. Troppo spesso le persone con disturbi dello spettro autistico sono state emarginate, stigmatizzate ed escluse. Alcuni studi condotti dal nostro laboratorio hanno dimostrato che due terzi degli adulti con disturbi dello spettro autistico avevano avuto istinti suicidi, un terzo aveva tentato il suicidio e la maggior parte aveva una cattiva salute mentale con livelli alti di ansia e depressione.

Sia chiaro: i problemi di salute mentale non fanno intrinsecamente parte dell’autismo. Sono il segno di una mancanza di sostegno e inclusione nella società. I livelli di disoccupazione tra gli adulti con disturbi dello spettro autistico sono inaccettabilmente alti ed è accertato che la disoccupazione può minare il nostro senso d’inclusione, autonomia e valore per la società. Spero che la scoperta del legame tra autismo e inventiva contribuisca al crescente movimento per il rispetto della diversità dei nostri cervelli. Le persone ipersistematizzatrici rientrano nella neurodiversità che si riscontra in ogni popolazione. E il loro tipo di cervello, compresi i geni a esso associati, guida il progresso umano attraverso l’invenzione da più di 70mila anni.

Abbiamo il dovere civico di supportare le persone affette da autismo nel mondo del lavoro, sia per il loro benessere mentale sia per massimizzare la probabilità d’innovazioni future.◆ bt

Simon Baron-Cohen è uno psicologo britannico. Dirige il centro di ricerca sull’autismo dell’università di Cambridge, nel Regno Unito. In Italia ha pubblicato Teoria della mente e autismo (Erickson 1999) e La scienza del male (Raffaello Cortina Editore 2012).

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Questo articolo è uscito sul numero 1403 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati