Quando una compagnia aerea non ha più bisogno di un aereo, di solito lo trasferisce in un deposito all’aperto, dove resta fermo sull’asfalto accanto ad altri aerei indesiderati. Visti dall’alto, gli aerei dismessi sembrano i resti sbiaditi di uno scheletro dimenticato da tempo. Il deposito più grande d’Europa si trova in un aerodromo della fine degli anni trenta a Teruel, nella Spagna orientale, dove il clima secco è clemente con le componenti metalliche degli apparecchi. Molti aerei sono a Teruel di passaggio, in attesa di manutenzione o di cambiare proprietario. A volte il limbo di un aereo si conclude quando viene smontato e ridotto in pezzi di ricambio e metallo da riciclare.

A febbraio Patrick Lecer, amministratore delegato della Tarmac Aerosave, l’azienda che controlla il deposito di Teruel e altri tre in Francia, aveva già un occhio puntato sulla Cina. Lecer ha lavorato nell’aviazione abbastanza a lungo da ricordare il blocco dei voli durante l’epidemia di sars del 2003. Quest’anno, quando il covid-19 ha cominciato a diffondersi in Asia, sapeva cosa sarebbe successo. “Abbiamo cominciato a fare spazio nei nostri depositi, cercando di incastrare gli aerei per liberare fino a tre o quattro posti in ogni struttura”, racconta. Alla fine di marzo, dopo la cancellazione di tutti i voli tra gli Stati Uniti e l’Europa, gli aerei hanno cominciato ad arrivare in massa nei depositi della Tarmac Aerosave. Nessuno sapeva per quanto tempo sarebbero rimasti lì. Il 3 aprile, in un solo giorno, il deposito di Teruel ha dato ospitalità a cinque Boeing 747 e due Boeing 777. Nelle settimane successive sono arrivati aerei da Lufthansa, Air France, Etihad e British Airways. Prima della pandemia Teruel ospitava 78 apparecchi. A giugno erano 114, un numero vicino alla capienza massima di 120-130. A luglio Lecer mi ha raccontato che anche gli altri tre depositi erano “quasi al limite”. Era piuttosto giù di morale. Aveva appena passato due ore al telefono con una compagnia che voleva inviargli altri trenta aerei. “Lavoro in questo campo da quasi quarant’anni e non ho mai visto niente di simile. La situazione è grave, tragica”.

Rispetto agli altri settori colpiti dalla pandemia di covid-19, il trasporto aereo ha subìto un doppio danno. Il primo, naturalmente, deriva dalla paura del contagio: nessun’altra attività economica dipende tanto dalla possibilità di piazzare un cliente a stretto contatto con un estraneo per ore, mentre trasporta individui potenzialmente malati da un continente all’altro. Il secondo danno è più indiretto ed è legato alle conseguenze della crisi economica. C’è un assioma nel settore dell’aviazione secondo il quale i viaggi aerei sono legati a doppio filo al pil di un paese: quando le persone hanno maggiore disponibilità di denaro, tendono a volare di più. In un contesto difficile come quello attuale, nessuno compra biglietti aerei.

In passato è successo che le compagnie aeree fossero danneggiate da uno di questi due fattori. Durante l’epidemia di sars, volare era rischioso per la salute, ma l’economia globale non era in crisi. Nel 2008, invece, il denaro scarseggiava a causa della crisi finanziaria, ma non c’erano preoccupazioni per la salute. Nei centodieci anni di storia dei voli commerciali, i problemi economici e quelli sanitari non si sono mai presentati contemporaneamente. Fino a quest’anno.

Per i consumatori, gli investitori e le compagnie aeree, una vita senza voli era inimmaginabile prima della pandemia. Per l’aviazione commerciale gli ultimi vent’anni sono stati un periodo di grande crescita. Nel 1998 le compagnie aeree vendevano 1,46 miliardi di biglietti per voli di vario tipo. Nel 2019 il numero era salito a 4,54 miliardi. Ma il 2020 ha rovinato tutto: all’inizio di marzo l’International air transport association (Iata, l’organizzazione che riunisce 290 compagnie aeree di 120 paesi) ha illustrato due possibili scenari, il più estremo dei quali prevedeva una perdita di entrate per 113 miliardi di dollari. Secondo la Cirium, una società di ricerca specializzata nel settore dell’aviazione, a metà aprile nei depositi c’erano circa 14.400 aerei per il trasporto di passeggeri (il 65 per cento della flotta mondiale). Tra le compagnie che rischiano il collasso o sono già fallite ci sono Virgin Australia, Virgin Atlantic e Flybe nel Regno Unito; South African Airways, Latam e Avianca in Sudamerica; Compass e Trans States negli Stati Uniti. L’associazione di categoria Airlines for American ha calcolato che gli Stati Uniti erano scesi sotto i centomila passeggeri al giorno l’ultima volta nel 1954. La Emirates è talmente disperata che ha promesso di pagare 1.765 dollari per il funerale di tutti i passeggeri che dovessero morire a causa del covid-19 dopo aver volato sui suoi aerei.

Amburgo, Germania, 6 agosto 2020 (Aufwind-Luftbilder, Visum/Luz)

A giugno la Iata ha rivisto le sue previsioni: nel 2020 le entrate diminuiranno di 419 miliardi di dollari, esattamente la metà di quanto le compagnie aeree hanno incassato nel 2019. Sono dati sconvolgenti anche per i veterani del settore. Boet Kreiken, responsabile dei rapporti con la clientela della compagnia aerea olandese Klm, ricorda una riunione convocata all’inizio della pandemia nella sede dell’azienda, vicino all’aeroporto Schiphol di Amsterdam. I suoi colleghi avevano raccolto gli ultimi dati sulle nuove prenotazioni ed elaborato previsioni catastrofiche per l’estate. “Ho vissuto tante crisi nella mia carriera: la guerra in Iraq, l’11 settembre, la sars, il vulcano islandese”, racconta Kreiken. “So cosa significa vivere un periodo d’emergenza. Ma questa volta è diverso. Osservavo le tabelle e mi sono perso in pensieri pessimistici. Per due volte hanno dovuto dirmi ‘Boet, devi dare inizio alla riunione!’”.

Prima della pandemia le compagnie aeree stavano già affrontando una situazione complicata. L’aviazione rappresenta il 12 per cento delle emissioni di anidride carbonica del settore dei trasporti. A causa del prezzo ridotto dei biglietti e della facilità d’uso delle app, in pochi secondi possiamo aumentare questo flusso di emissioni senza neanche accorgercene. Un volo andata e ritorno da New York a Londra produce 976 chilogrammi di anidride carbonica, più di quanta ne produca in un anno una persona in Madagascar o in Colombia.

L’anno scorso la Klm ha presentato un’iniziativa che sembrava un appello a farle fare meno affari. “Avete sempre bisogno di incontrarvi di persona? Non potreste prendere il treno?”, chiedeva la voce narrante di uno spot pubblicitario. “Siamo tutti costretti a volare ogni tanto. Ma la prossima volta pensate a volare responsabilmente” (“C’è voluto coraggio per farlo”, ricorda un dirigente della Klm. “Abbiamo dovuto presentare la proposta al consiglio d’amministrazione per tre volte prima che l’approvassero”). Lo spot, per quanto coraggioso, rientrava in una tendenza generale. Oggi più che mai le persone sono invitate a ridurre i consumi, anche se i governi e le grandi aziende fanno molto meno di quanto potrebbero per tagliare le emissioni. Allo stesso tempo le compagnie aeree garantiscono che questa necessità di moderazione sarà solo temporanea, e che un qualche tipo di salvezza tecnologica – aerei a batteria o alimentati a idrogeno – ci permetterà di tornare presto alle nostre abitudini.

Negli anni settanta e ottanta il carburante degli aerei è rimasto economico

Quest’anno, mentre gli incassi del settore precipitavano e i dirigenti cercavano di far funzionare le compagnie aeree nonostante la maggioranza degli apparecchi fosse bloccata a terra, è emersa una nuova speranza tecnologica. Il futuro dell’aviazione in questo momento sembra legato alla scoperta di un vaccino efficace contro il covid-19. Il problema di quanto dovremmo volare ha lasciato il posto a una questione fondamentale: torneremo mai a volare regolarmente? E quando?

La Klm si considera la compagnia aerea più vecchia del mondo, nel senso che è la più vecchia ancora attiva con il nome originale. A ottobre, quando la compagnia olandese ha compiuto un secolo di vita, l’amministratore delegato Pieter Elbers si sentiva particolarmente euforico. Elbers è entrato alla Klm nel 1992, quando aveva 22 anni, e ha lavorato in tutto il mondo prima di raggiungere il vertice dell’azienda, nel 2014. Mi ha raccontato che quell’anno il margine di profitto (rapporto tra gli utili e il fatturato) della compagnia aerea era appena del 2 per cento. “L’anno scorso siamo arrivati all’8 per cento, quindi l’atmosfera era estremamente positiva”. A dicembre Elbers aveva visitato un’infinità di sedi sparse per il mondo per celebrare il centenario, così aveva deciso di festeggiare l’anno nuovo nella sua casa di Amsterdam. Un paio di settimane dopo, quando la compagnia partner della Klm in Cina ha cominciato a cancellare i voli, Elbers ha sentito le prime voci su uno strano virus in circolazione. Convinto che il governo cinese avrebbe contenuto la malattia, si è limitato a ridurre il numero di rotte cinesi della Klm, riassegnando alcuni aerei alle rotte statunitensi. Ma a febbraio la pandemia aveva ormai raggiunto l’Europa, e a marzo il governo olandese ha imposto il lockdown. Negli uffici della Klm sono rimasti solo Elbers e cinque o sei dirigenti, alle prese con la crisi. Ogni giorno Elbers usciva di casa alle 6.30 del mattino e guidava per mezz’ora su strade deserte: “Stavamo tutti nel mio ufficio, perché è abbastanza grande da permettere di mantenere le distanze”. A volte visitava l’aeroporto di Schiphol e restava a guardare gli aerei fermi e i terminal vuoti.

Metabolismo lento

Di solito il metabolismo dell’aviazione è piuttosto lento: i nuovi aerei si ordinano con anni d’anticipo, mentre la formazione dei piloti e la creazione di nuove rotte richiedono tempo e cura. Durante la pandemia, però, è stato indispensabile prendere decisioni insolitamente affrettate. Alla fine di marzo, per esempio, i piloti di un volo Klm diretto a Shanghai stavano sorvolando Novosibirsk, in Russia, quando hanno scoperto che gli equipaggi di tutti i voli in arrivo avrebbero dovuto restare in quarantena per quattordici giorni in un ospedale statale cinese. La regola ancora non esisteva quando l’aereo era decollato da Amsterdam, le circostanze erano cambiate durante il volo. I dirigenti della compagnia si sono affannati a ottenere un’esenzione dalle autorità cinesi e olandesi per consentire all’equipaggio di restare a bordo dell’aereo a Shanghai e riportarlo nei Paesi Bassi diciotto ore dopo.

Sempre a marzo Elbers ha messo a terra tre Boeing 747, enormi apparecchi dai grandi consumi che sarebbero stati dismessi in ogni caso. Ma poche settimane dopo gli stessi aerei sono stati frettolosamente riesumati e allestiti per trasportare equipaggiamenti medici e dispositivi di protezione individuale dalla Cina ai Paesi Bassi. Inoltre bisognava organizzare complicati voli per rimpatriare gli olandesi all’estero. Duemila persone sono state rimpatriate dall’Australia. Il primo volo da Sydney è partito con 48 ore di preavviso, ma la Klm non percorreva quella rotta da vent’anni. È stato necessario aggiornare e ricaricare sui computer di bordo le rotte e i permessi.

Pechino, Cina, 30 giugno 2020 (Nicolas Asfouri, Afp/Getty Images)

Di solito i dirigenti delle compagnie aeree si riuniscono due volte all’anno per dividersi gli slot per decollo e atterraggio negli aeroporti di tutto il mondo in vista della nuova stagione. “Non siamo abituati a prendere decisioni su due piedi”, spiega Vincent van Hooff, capo delle operazioni di volo della Klm. “Ma con la pandemia la situazione è cambiata drasticamente. Non sapevamo se il giorno dopo sarebbe stato possibile volare a Londra né se ci sarebbe stato bisogno di altri slot per i voli di rimpatrio. All’improvviso ci sembrava di essere una compagnia di voli charter”.

In questo caos gli effetti della pandemia sull’aviazione sono sembrati improvvisi e devastanti. Ma Richard Aboulafia la pensa diversamente: “Non c’è niente di nuovo. Semplicemente sta succedendo più rapidamente”, assicura. Aboulafia è vicepresidente del settore analisi del Teal Group, una società di ricerca specializzata nel settore dell’aviazione. Aboulafia cura una newsletter mensile piuttosto apprezzata nell’ambiente. “Cari abitanti di questi cieli minacciosi”, ha scritto a maggio immaginando gli sviluppi del settore dopo la fine della pandemia. Secondo Aboulafia, le compagnie aeree faranno scorta di contanti. Sceglieranno aerei più piccoli ed efficienti. Preferiranno le rotte dirette, ignorando le reti di hub ed evitando di collegare due città passando per un grande aeroporto in una grande metropoli. Ma questi cambiamenti, ha osservato, erano già in corso nel 2019. La pandemia li ha solo resi più pratici.

Aboulafia mi ha detto che un modo per comprendere queste tendenze è usare la misurazione più amata del settore: il posto per miglio. Se un aereo con trecento posti vola per mille miglia, il risultato sono 300mila miglia per posto. Le compagnie aeree mettono costantemente a confronto i ricavi per posto miglio offerto (revenue per available seat mile, Rasm) e il costo per posto miglio offerto (cost per available seat mile, Casm). “Fino a quando il Rasm è superiore al Casm, anche di poco, le cose vanno bene”, spiega.

Teruel, Spagna, 18 maggio 2020. Il deposito per aeroplani della Tarmac Aerosave (David Ramos, Getty Images)

Negli anni settanta e ottanta, fatte salve un paio di impennate dei prezzi, il carburante degli aerei (Jet A-1) costava poco. Di conseguenza, per mantenere il Rasm al di sopra del Casm, le compagnie non dovevano preoccuparsi troppo della spesa per il carburante. Così hanno sviluppato l’amato modello hub and spoke, che fa passare da un unico aeroporto (hub) una serie di collegamenti con altri aeroporti (spoke). Per assicurarsi che un aeroporto diventasse un proprio hub, le compagnie prenotavano la maggior parte degli slot disponibili, in modo da poter dominare il mercato nell’area circostante. Per esempio, dopo che negli Stati Uniti la Delta Airlines ha trasformato l’aeroporto di Atlanta in un hub, un cliente ha scoperto che volare nella regione con un’altra compagnia era molto più costoso.

Nel modello degli hub i passeggeri si spostavano in massa da uno snodo all’altro, prima di disperdersi seguendo flussi più ridotti che li portavano alle destinazioni finali. Per i voli tra hub le compagnie usavano aerei di grandi dimensioni come il 747, con l’idea di caricare a bordo fino a 500 passeggeri. Questi aerei consumano enormi quantità di carburante, e il consumo totale aumentava con l’aggiunta dei voli per collegare gli hub e i piccoli aeroporti. Tuttavia il costo del Jet A-1 era così basso che questo fattore non aveva quasi alcuna importanza. Inoltre, a prescindere dal tipo di aereo, la fase di decollo comportava sempre un grande consumo di carburante. La fase in cui i consumi erano minori era quella di crociera, a migliaia di metri di quota. Di conseguenza sembrava logico caricare un gran numero di passeggeri per un singolo decollo e tenerli in fase di crociera il più a lungo possibile. Il problema era che le compagnie non sempre riuscivano a riempire gli aerei al massimo della capienza. La conseguente battaglia dei prezzi ha avuto effetti disastrosi sul Rasm. Un libro pubblicato nel 2007 da Adam Pilarski, ex capo economista dell’azienda aerospaziale McDonnell-Douglas, evidenziava questi problemi fin dal titolo: Perché non possiamo fare soldi con l’aviazione?

Storia d’amore

All’inizio degli anni novanta e per buona parte degli anni duemila il prezzo del carburante è cresciuto stabilmente, costringendo le compagnie aeree a rivedere la loro storia d’amore con il Jet A-1. Nel 1989 un barile di petrolio costava dieci dollari, ma nel 2008 era arrivato a 147 dollari. Negli anni d’incertezza in seguito agli attentati dell’11 settembre molte compagnie aeree hanno registrato una riduzione nel volume dei passeggeri e nel frattempo sono state costrette a saldare i pagamenti per aerei ordinati anni prima. In un contesto normale avrebbero reagito aumentando il prezzo dei biglietti, ma proprio in quel momento, grazie alla deregolamentazione del settore, si sono affermate le compagnie low cost, che riuscivano a ridurre i costi dei voli eliminando lussi come i pasti a bordo e lo spazio tra i sedili. “Quella rivoluzione è stata brutale”, racconta Aboulafia. “Non potevamo più lavorare come in passato”. Anche il modello degli hub è entrato in crisi. Ogni città cercava di costruire un aeroporto degno di questo nome, e i passeggeri non volevano più perdere tempo con gli scali tra un volo e l’altro. Per mantenere i costi al di sotto dei ricavi serviva una nuova strategia.

La prima mossa è stata quella di spendere meno per il Jet A-1. Di solito le compagnie aeree aumentano l’efficienza rispetto al combustibile dell’1 o 2 per cento all’anno, e spesso questi miglioramenti sono dovuti a piccoli adeguamenti, come l’uso di sedili più leggeri o la riduzione delle riserve d’acqua nei bagni. Nel 2017, riducendo il peso della carta nelle riviste a bordo, la United Airlines ha risparmiato quasi 770mila litri di carburante in un anno, per un costo di 290mila dollari. Aboulafia mi ha spiegato che una decina d’anni fa molte compagnie hanno introdotto una forma di lavaggio intenso che riduceva l’attrito eliminando dal velivolo maggiori quantità di olio, carcasse di insetti e sporcizia varia rispetto al sapone tradizionale. Allo stesso tempo molte compagnie hanno cominciato a partecipare al mercato dei future dei carburanti (contratti con cui si compra la merce a un prezzo stabilito subito ma con consegna futura), cercando di proteggersi dagli improvvisi aumenti di prezzo. La Delta Airlines ha addirittura comprato una raffineria di petrolio vicino a Filadelfia.

Alla fine dell’estate la Klm ha annunciato il taglio di cinquemila posti di lavoro

Ma il grande balzo nell’efficienza è arrivato con i nuovi modelli di aerei, che le compagnie hanno cominciato a ordinare all’inizio del millennio. Il Boeing 787, per esempio, è stato presentato con la promessa di ridurre il consumo di carburante del 20 per cento rispetto al fratello maggiore, il 767. Van Hooff ricorda che quando la Klm ha introdotto il primo 787 nella sua flotta, nel 2015, un pilota abituato ai 747 era stato scelto per il primo volo a Dubai. “Il 747 è bellissimo, ma in un volo come quello brucia circa undicimila chili di carburante all’ora. Il pilota era abituato a entrare nella cabina e vedere circa centomila chili nell’indicatore del carburante. E invece ha notato che erano appena cinquantamila. Ha chiamato la sala di controllo e ha chiesto: ‘Siete sicuri che basti?’. Naturalmente sapeva che quella quantità era sufficiente, ma non riusciva a ignorare il suo istinto, sentiva che avrebbe avuto bisogno di più carburante”.

Le compagnie aeree hanno usato i 787 e altri nuovi modelli per le rotte dirette, abbandonando il sistema degli hub. Secondo Aboulafia oggi le compagnie comprano sempre più spesso aerei piccoli con un unico corridoio per destinarli alle rotte dirette, e dismettono gli apparecchi più vecchi e ingombranti. Anche prima della pandemia la Emirates aveva già deciso di non comprare più l’Airbus A380, un aereo che costa 500 milioni di dollari e può trasportare fino a 868 persone, ed è talmente grande che molti aeroporti hanno dovuto ricostruire le piste d’atterraggio e i gate per accoglierlo. A luglio la British Airways ha deciso di ritirare i trentuno Boeing 747 ancora presenti nella sua flotta.

Il prezzo dei biglietti è rimasto contenuto, e non solo a causa della concorrenza delle compagnie low cost. Peter Morris, ex capo economista della Iata, racconta che nel 1995 il 25 per cento del prezzo di un volo derivava dalla produzione e dalla vendita del biglietto: gestione dei rapporti con le agenzie di viaggi, commissioni e stampa del tagliando. Internet ha cancellato queste voci di spesa, sostituendola con una battaglia degli algoritmi. Oggi i sistemi automatici avvertono immediatamente una compagnia se un concorrente ha ridotto il prezzo del biglietto su una rotta, in modo da permettere ai suoi analisti di decidere se il prezzo può essere adeguato. Kreiken definisce questo sistema “distruzione reciproca assicurata”. Secondo i vertici dell’aviazione, è uno dei motivi per cui le compagnie aeree non riescono a realizzare profitti. Ma Morris non ha tempo per queste “storie strappalacrime con accompagnamento di violino. La verità”, dice, “è che il settore non è mai stato tanto redditizio come negli ultimi anni”. Le compagnie aeree hanno ridotto le spese e convinto un enorme numero di persone a volare spesso, al punto che i ricavi superano stabilmente i costi nonostante i prezzi ridotti. A dicembre del 2019 l’aviazione globale ha registrato un bilancio positivo per l’undicesimo anno consecutivo.

Addio al celibato

I biglietti economici sono fondamentali per tenere in piedi un’illusione alimentata dall’aviazione negli ultimi vent’anni: che il prezzo per un volo comprende non solo i costi di trasporto ma anche quelli dell’impatto ambientale. In questo modo un biglietto di andata e ritorno da 42 sterline per un addio al celibato a Bratislava non suscita alcun rimorso. L’ironia dello spot creato l’anno scorso dalla Klm, con l’invito a “volare responsabilmente”, è che è arrivato dopo anni in cui le compagnie hanno fatto di tutto per spingere i consumatori a volare irresponsabilmente. Lo spot chiedeva con discrezione: “Avete sempre bisogno di incontrarvi di persona?”, come se le compagnie non si fossero adoperate incessantemente per convincere i passeggeri che un viaggio per vedere un cliente o un collega era l’ideale e allo stesso tempo la cosa più economica. Poi è arrivato il covid-19, e la prospettiva di un incontro di persona è svanita. Per la prima volta negli ultimi decenni, volare è tornato a essere un lusso.

Alla fine di aprile, nel pieno del blocco dei voli, 166 aerei della Klm (su un totale di 204) sono rimasti a terra. Invece di trasferirli in un deposito, la compagnia ha deciso di tenerli a Schiphol, lontani dai gate o parcheggiati fianco a fianco, a zig-zag, su una pista rinforzata per impedire che il peso complessivo danneggiasse l’asfalto. Parcheggiare gli aerei è un’operazione divertente e delicata. Il detto “il tempo è denaro” è particolarmente calzante nel campo dell’aviazione. Perfino gli aerei destinati a restare fermi a lungo devono essere pronti per tornare in volo il prima possibile per dare un senso al loro costo esorbitante.

In una mattinata di agosto Ton Dortmans, il capo degli ingegneri e dei tecnici della Klm, mi ha spiegato in videoconferenza come la sua squadra ha preparato gli aerei per il “riposo” primaverile ed estivo. I serbatoi sono stati svuotati, anche se non del tutto. “C’è comunque bisogno di un po’ di peso a causa del forte vento che abbiamo qui ad Amsterdam”, ha precisato. Per lo stesso motivo le eliche dei compressori sono state bloccate con le cinghie, per evitare che vorticassero all’infinito nei giorni ventosi e si usurassero lentamente. I serbatoi dell’acqua sono stati prosciugati. Gli ingegneri hanno stampato in 3d alcune coperture per i piccoli fori disseminati sulla superficie dell’aereo, al cui interno si nascondono i sensori per la misurazione dell’altitudine e della pressione. Le coperture servivano a tenere lontani l’umidità e gli insetti.

Ogni sette giorni qualcuno saliva sull’aereo e attivava i motori per quindici minuti, in modo da mantenerli operativi. L’aria condizionata veniva accesa per ridurre l’umidità. “Per le gomme vale lo stesso discorso delle automobili. Capita che si sgonfino”, spiega Dortmans. Per questo motivo un rimorchiatore muoveva gli aerei avanti e indietro ogni mese per preservare le ruote e gli assali. Ma le sorprese non sono comunque mancate. In assenza del rombo dei motori, a Schiphol sono tornati gli uccelli. Un giorno un ingegnere ha raccontato a Dortmans di aver trovato un uccello che stava costruendo un nido in una cavità nel generatore ausiliario. “Sento sempre i cinguettii e ora trovo questo. Mi sembra di essere nei boschi”, ha detto.

Le compagnie aeree hanno bisogno di passeggeri per ripagare i prestiti

I piloti, diversamente dagli aerei, non possono essere accantonati in un deposito. La Klm ne paga tremila, e ogni novanta giorni devono effettuare un minimo di ore di volo, tre decolli e tre atterraggi per mantenere l’autorizzazione a pilotare un aereo. Durante il lockdown i piloti “appiedati” hanno dovuto fare i turni per usare i nove simulatori della Klm. Dall’esterno i simulatori sembrano enormi caschi da motociclista. Dopo essersi arrampicato all’interno e aver chiuso il portellone, il pilota fa un’esperienza molto simile a quella di un volo reale. Ma alla fine dell’estate molti piloti non volavano ormai da mesi, e Van Hooff ha imposto la presenza di un istruttore per il primo volo di ogni pilota dopo la pausa.

Nel frattempo volare era diventato una sfida, perché la vecchia routine era stata completamente stravolta. Da una settimana all’altra i piloti trovavano cambiamenti nelle rotte e negli apparecchi, ed erano costretti a rispettare regolamenti in continua evoluzione. Le regole imposte negli Stati Uniti erano così imprevedibili (alcuni stati imponevano l’uso di mascherine, altri permettevano all’equipaggio di uscire dall’albergo, altri ancora chiedevano il confinamento) che van Hooff ha dovuto creare una squadra il cui unico compito era verificare l’elenco delle regole più volte al giorno e trasmettere le formazioni agli aerei in volo sull’Atlantico. Una fonte di un’altra compagnia aerea, che ha chiesto di mantenere l’anonimato, racconta che dopo un volo a New York all’apice dell’emergenza l’equipaggio non ha ritenuto opportuno andare in città per pernottare in albergo e ha dormito nelle cabine di business class.

La Klm, ovviamente, ha dovuto gestire un’ondata di disdette e cancellazioni. Il numero di passeggeri si è ridotto del 95 per cento, dai 9 milioni nel primo trimestre del 2020 ad appena 500mila nel secondo. Per gestire le richieste di rimborso la compagnia ha temporaneamente assegnato ottocento dipendenti all’assistenza ai clienti. I dipendenti hanno lavorato dal proprio salotto o dalla camera da letto. Quando a Manila e Santiago i call center sono rimasti vuoti a causa del lockdown, il personale ha preso i computer e ha continuato a rispondere alle chiamate da casa. “I problemi sono raddoppiati, triplicati”, racconta Kreiken, responsabile dei rapporti con la clientela della Klm.

Alla fine di luglio Elbers ha annunciato che la Klm aveva perso la cifra record di 800 milioni di euro nel primo semestre dell’anno fiscale. La compagnia ha ricevuto un finanziamento dallo stato olandese: un miliardo di euro in prestiti diretti e altri 2,4 miliardi di prestiti bancari garantiti dal governo, con una serie di requisiti: taglio dei costi, rispetto di nuove normative per l’ambiente e ristrutturazione della compagnia. Elbers ha mandato un messaggio ai dipendenti in cui ha ammesso che le condizioni erano particolarmente “dure”.

Alla fine dell’estate la Klm ha annunciato il taglio di 4.500 o cinquemila posti di lavoro su un totale di 33mila dipendenti, tra licenziamenti, pensionamenti volontari e scadenza di contratti a tempo determinato. Lo stesso è successo in tutto il settore. L’American Airlines ha in programma un taglio di quarantamila posti di lavoro, la British Airways dodicimila, la Qantas seimila, la Ryanair 3.250. Secondo la Iata quest’anno l’aviazione registrerà perdite per 84,3 miliardi di euro. La cifra non tiene conto di una possibile seconda ondata della pandemia. “Sarà una maratona, non uno sprint”, ripete Elbers ai colleghi. Nella nota inviata a luglio ai dipendenti, il manager ha sintetizzato le priorità della Klm in un’unica parola: “Sopravvivenza”.

Analisi approssimativa

Al momento non esiste una stima complessiva delle tonnellate di emissioni di anidride carbonica (CO2) evitate dalla pandemia, in parte perché il virus è ancora in circolazione. Secondo un’analisi approssimativa, la cancellazione di un milione di voli nel mese di marzo ha scongiurato l’equivalente delle emissioni registrate nel Regno Unito nell’arco di un mese. A marzo ho incontrato Andreas Schäfer, professore di energia e trasporti dell’Energy institute dello University college di Londra. Schäfer passa le giornate a studiare l’aviazione e le emissioni, e si era preparato per illustrarmi una grande quantità di dati. Ma quel pomeriggio il suo computer faceva i capricci. Ogni volta che Schäfer faceva un’osservazione, aveva il tempo di approfondire il concetto mentre Power Point o Acrobat Reader caricavano le tabelle con i numeri.

Schäfer mi ha spiegato che tra il 1980 e il 2015 le emissioni di CO2 dell’aviazione sono aumentate del 2,2 per cento all’anno. Non è un dato sorprendente, perché a prescindere dall’aumento dell’efficienza rispetto al combustibile, il numero di passeggeri è aumentato costantemente. Quanti sono i passeggeri in più? Schäfer ha cercato di aprire un altro documento, e dopo cinque minuti di attesa ha esclamato: “Eccoci, ci siamo!”. Nei trentacinque anni che separano il 1980 e il 2015, anche se gli aerei hanno usato il 2 o 3 per cento di carburante in meno ogni anno, la richiesta di biglietti aerei è aumentata del 5,4 all’anno. Da questa progressione deriva il contributo dell’aviazione alla crisi climatica.

“Sia le compagnie aeree sia l’industria aerospaziale sono preoccupate per le emissioni e per l’opinione della gente”, spiega Schäfer. Nel 2013 l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao), l’organismo delle Nazioni Unite che stabilisce gli standard per le compagnie aeree, ha fissato nuovi obiettivi per l’efficienza del carburante e per le emissioni di anidride carbonica. Tre anni dopo ha adottato un programma per ridurre le emissioni dell’aviazione civile. Il Corsia, l’acronimo con cui è noto il programma, punta a dimezzare le emissioni delle compagnie internazionali rispetto ai livelli del 2005. Le compagnie aeree, inoltre, hanno promesso di compensare economicamente qualsiasi aumento eccessivo delle emissioni dopo il 2020.

Da sapere
Una mano dallo stato
Aiuti concessi dai governi alle compagnie aeree in seguito alla pandemia, per tipo di aiuto, miliardi di dollari, 2020 (Fonte: Iata)

I benefici apportati da un motore migliore o da sedili più leggeri non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi fissati, e le compagnie aeree lo sanno bene. Esmée van Veen, dirigente del settore per la sostenibilità della Klm, spiega che nel 2008 la compagnia aerea ha avviato un programma per la tutela dell’ambiente, basato sull’efficienza dei consumi, sui biocarburanti e su un programma di compensazione volontaria delle emissioni che usa il denaro versato dai passeggeri per finanziare un progetto di rimboschimento a Panamá. “Abbiamo stabilizzato le nostre emissioni, ora siamo pronti a ridurle”, sottolinea van Veen. Nel 2011 la Klm ha effettuato il primo volo commerciale in cui il biocherosene, prodotto usando olio da cucina riciclato, è stato inserito nella mescola di carburante. “Non è molto. Per il momento rappresenta circa lo 0,2 per cento del totale”, ammette il manager.

Van Veen illustra le fasi di un progresso che alla fine potrebbe trasformare il volo in un’attività a impatto zero dal punto di vista delle emissioni, ma sottolinea che molto dipende dall’efficacia delle nuove tecnologie. Entro il 2030 gli aerei della Klm che decolleranno dai Paesi Bassi useranno un carburante composto al 14 per cento da biocombustibile e cherosene “sintetico”, in modo da ridurre sia la necessità di scavare nuovi pozzi di petrolio sia le emissioni prodotte dall’industria petrolifera. Il cherosene sintetico – un carburante creato in raffineria – dovrebbe essere composto in parte dall’anidride carbonica prelevata dall’aria. In questo modo le emissioni sarebbero inferiori dell’80 per cento rispetto al Jet A-1. Per le distanze brevi potrebbero essere usati aerei ibridi, alimentati dalle batterie e dal carburante. Secondo van Veen entro la metà del prossimo decennio “assisteremo al lancio del primo aereo alimentato a idrogeno in Europa”. L’aereo a idrogeno è il sogno ricorrente dell’aviazione, l’equivalente della fusione a freddo o delle auto che si guidano da sole.

Da sapere
Fatturato a picco
Entrate globali della compagnie aeree, miliardi di dollari. (Fonte: Iata/Le Monde)

Tuttavia altre persone con cui ho parlato si sono mostrate più scettiche rispetto sia al Corsia sia alla nascente tecnologia verde. Schäfer ritiene che gli obiettivi del Corsia siano limitati e siano stati fissati in modo da non mettere troppo in difficoltà l’aviazione. La base del Corsia è un programma per la compensazione delle emissioni, e la compensazione è tradizionalmente economica. Brandon Graver, ricercatore del Consiglio internazionale per i trasporti puliti, ha visto che la maggioranza del denaro delle compensazioni è usata per coprire i costi amministrativi e non per finanziare progetti concreti. Al momento non è neanche scontato che questi progetti portino a una riduzione permanente delle emissioni. “Si sente continuamente parlare di nuovi alberi piantati, ma solo una piccola percentuale di questi alberi sopravvive più di un anno”. Graver definisce le compensazioni “indulgenze moderne”. Paghiamo per farci perdonare i nostri peccati, ma anche per avere il permesso di peccare ancora.

Il problema è che tuttora non disponiamo delle tecnologie che dovrebbero portarci verso un futuro con voli meno inquinanti. Al momento la produzione di biocarburanti e degli altri combustibili alternativi è estremamente ridotta. Nel 2017 la squadra di Graver ha calcolato che tutto il biocarburante disponibile al mondo manterrebbe gli aerei del pianeta in volo per un totale di dieci minuti (tra l’altro gli esperti di questioni ambientali temono che i biocarburanti, realizzati con prodotti come l’olio di palma, possano rivelarsi più dannosi che utili). Anche se il carburante sintetico dovesse diventare un’alternativa percorribile, all’inizio costerà più di dieci dollari al litro, sottolinea Schäfer. “Oggi il petrolio costa circa tre dollari al litro. Perché le compagnie aeree dovrebbero passare al combustibile sintetico?”. Inoltre una batteria abbastanza piccola e potente da trasportare un aereo attraverso l’Atlantico o da Parigi a Perth è ancora un miraggio. Nel breve periodo – un concetto fondamentale nella lotta al cambiamento climatico – l’unico modo di ridurre le emissioni degli aerei è quello di volare meno. L’idea sembrava assurda fino a quest’anno, quando siamo stati costretti a vivere senza gli aerei.

Due fenomeni

Nei prossimi anni le compagnie aeree saranno influenzate da due fenomeni. In primo luogo le entrate resteranno piuttosto basse e incerte. La Iata prevede che il numero di passeggeri tornerà ai livelli di prima della pandemia solo nel 2023, ma altri esperti parlano addirittura del 2024 o 2025. Allo stesso tempo molte compagnie dovranno investire in progetti per la tutela dell’ambiente, attraverso la compensazione o il finanziamento della ricerca. Hanno già dovuto convincere l’Icao ad ammorbidire alcune norme. In Europa i governi hanno imposto una serie di condizioni per la tutela dell’ambiente all’interno dei piani di salvataggio delle compagnie aeree. In cambio di un finanziamento da sette miliardi di euro, per esempio, l’Air France si è impegnata a dimezzare le emissioni dei voli interni entro il 2024 e a limitare i voli a corto raggio che possono essere sostituiti dai viaggi in treno.

Anche negli Stati Uniti il governo ha messo a punto un piano di salvataggio per l’aviazione da 25 miliardi di euro, anche se negli ultimi cinque anni le quattro maggiori compagnie aeree del paese hanno speso quasi quaranta miliardi di euro solo per riacquistare le loro azioni e far lievitare la quotazione in borsa. Negli Stati Uniti sono in pochi a preoccuparsi per il cambiamento climatico. “Gli statunitensi si preoccupano della sostenibilità più o meno quanto si preoccupano di cambiare le cartucce d’inchiostro nel fax”, ammette Aboulafia.

Da sapere commerciali
Tutti a terra
Flotta delle compagnie aeree commerciali, numero di aeroplani, migliaia. (Fonte: Iata)

Resta il fatto che le compagnie aeree hanno bisogno di passeggeri, per ripagare i prestiti o per bilanciare le emissioni. Sia negli Stati Uniti sia in Europa, dove la crescita stava già rallentando, il ritorno dei passeggeri non è affatto garantito. Questo vale soprattutto per i passeggeri della business class. “Il covid-19 offre alle aziende l’occasione per ripensare le spese di viaggio”, sottolinea Jeff Pelletier, capo della società di analisi Airline Data. I passeggeri della business class rappresentano il 12-15 per cento del totale su un aereo, ma in alcune rotte contribuiscono per il 75 per cento ai profitti generati da un volo. “Non tutte le aziende del mondo taglieranno i voli in business class per i loro manager, ma di sicuro alcune lo faranno. Preferiranno spendere un paio di dollari per una riunione su Zoom”.

Dennis Lau prevede una ripresa immediata nei paesi asiatici come Cina e India, mercati che crescono più rapidamente degli altri e dove i voli sono sempre più abbordabili. Secondo Lau, analista di Hong Kong che lavora per la Cirium, “il cambiamento climatico non fa parte delle priorità dell’aviazione in Asia”. Per molti governi della regione, il Corsia è l’ennesimo caso in cui i paesi occidentali promuovono la tutela dell’ambiente dopo aver inquinato per decenni, ostacolando lo sviluppo economico dell’Asia. La Cina, l’India e la Russia hanno accettato di partecipare al Corsia solo dal 2027. Inoltre, secondo Lau, molti dubitano che il programma sarà rispettato in modo scrupoloso. “Cosa si fa se un paese si rifiuta di comunicare le sue emissioni?”.

Durante le ricerche per questo articolo ho sentito dire spesso che gli effetti della pandemia finiranno per esaurirsi e che l’economia mondiale, dopo essersi aperta ai voli economici, non può essere fermata. Secondo questa tesi le persone torneranno immediatamente a volare quando avranno la percezione che i viaggi in aereo saranno di nuovo sicuri. Ma nel frattempo ci attende un periodo di consolidamento. Molte compagnie aeree rischiano di fallire, mentre altre saranno rilevate dai giganti del settore. Le flotte saranno ridotte, come ha confermato Aboulafia nella sua newsletter. Gli aerei saranno più piccoli, con un unico corridoio, e saranno usati sulle rotte dirette, anche perché il covid-19 è ancora in agguato e nessuno vuole passare più tempo del necessario in un aeroporto. In questi aerei asettici e funzionali volare sarà un’esperienza più austera, ma anche più lussuosa, perché si volerà di meno.

A giugno gli ingegneri della Klm hanno cominciato a tirare fuori alcuni aerei dall’ibernazione. Hanno sostituito i rubinetti dei bagni danneggiati, riparato le guarnizioni e controllato le luci d’emergenza. “La penultima cosa da fare è verificare i sistemi antincendio e i controlli di volo”, spiega Ton Dortmans, il capo degli ingegneri della Klm. “Per ultimo, invece, si accendono i motori e si attivano tutti i sistemi per verificare che funzionino ancora: aria condizionata, navigazione e tutto il resto”. Per un breve periodo abbiamo avuto la sensazione di poter tornare a viaggiare senza pensieri. Ma la pandemia ha ripreso forza in tutto il continente. A metà agosto avrei dovuto visitare la sede della Klm ad Amsterdam, ma il governo britannico ha introdotto l’obbligo di autoisolamento per tutti i passeggeri di ritorno dai Paesi Bassi, così ho cancellato il mio viaggio.

Dortmans ha preparato un piano di riserva per l’inverno. “È un problema che dobbiamo affrontare ora. Se avremo un inverno freddo, forse dovremo modificare la sistemazione degli aerei. Dobbiamo pensare all’acqua e al carburante, e alle temperature sotto zero”. Dortmans teme che se davvero i suoi aerei resteranno fermi per più di 180 giorni durante l’inverno, potrebbe dismetterne alcuni. Forse gli aerei della Klm arriveranno a Teruel, o magari nel deposito del deserto californiano del Mojave, dove resteranno al caldo e all’asciutto. In attesa di capire se serviranno ancora. ◆ bt

Samanth Subramanian è un giornalista britannico. Scrive regolarmente per il Guardian. Collabora anche con il New Yorker e il New York Times Magazine.

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Questo articolo è uscito sul numero 1380 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati