Avete presente quei sogni a occhi aperti in cui all’improvviso vi ritrovate a possedere una fortuna? Potreste comprarvi un castello o un’isola tropicale dove rifugiarvi, ma anche aiutare tutti i vostri amici e fare del bene. Ma se si trattasse di una cifra davvero grande? Se vi ritrovaste con mille miliardi di dollari da spendere e un anno di tempo per farlo? E se le regole del gioco fossero che bisogna spenderli per il mondo, facendo una vera differenza per la vita delle persone, per la salute del pianeta o per il progresso scientifico?

Mille miliardi di dollari sono una cifra enorme, ma in rapporto all’economia mondiale lo sono certamente di meno: corrispondono all’incirca all’1 per cento del pil globale. È quanto spendono gli Stati Uniti ogni diciotto mesi per le loro forze armate. È una cifra che si può mettere insieme abbastanza facilmente attraverso lo specchietto per le allodole del quantitative easing (alleggerimento quantitativo), che ufficialmente è l’acquisto in massa di titoli di stato da parte di una banca centrale, ma in realtà somiglia in modo sospetto alla creazione spontanea di soldi. Dopo la crisi finanziaria del 2008, nei soli Stati Uniti sono stati immessi nel sistema più di 4.500 miliardi di dollari. Anche tutte le altre grandi economie del mondo hanno fatto ricorso a questo metodo magico per creare i soldi.

E non sono solo i governi a possedere fortune del genere. Due delle più grandi aziende del mondo, la Microsoft e Amazon, valgono più di mille miliardi di dollari ciascuna. Il valore di borsa della Apple si aggira intorno ai duemila miliardi di dollari. L’1 per cento più ricco del mondo è proprietario della cifra astronomica di 162mila miliardi di dollari, pari al 45 per cento della ricchezza globale. All’inizio del 2020 i fondi di private equity (società specializzate in investimenti a medio e lungo termine nel capitale di aziende non quotate) detenevano 1.450 miliardi di dollari di quella che loro chiamano “polvere secca” e tutti gli altri liquidità: una montagna di soldi che se ne stanno lì in attesa di essere investiti. Provate a immaginare cosa ci potreste fare.

Dopo l’esplosione della pandemia di covid-19, improvvisamente si è trovato il denaro che serviva, proprio com’era successo dopo la crisi del 2008. Sono stati approvati nel mondo piani di sostegno alle economie del valore di decine di migliaia di miliardi di dollari, che sono state spezzettate, suddivise, allocate, risucchiate. E se potessimo spendere noi tutto quel denaro? Se potessimo dirottarne un pezzo, raschiarne via un po’ qua e un po’ là dai governi e dalle banche, o creare mille miliardi di dollari con un nostro quantitative easing e spenderli prima che qualcuno se ne accorga? Immaginate quante possibilità. Pensate cosa potremmo fare.

Prendiamo l’assistenza sanitaria. Si potrebbe debellare la malaria. Anzi, si potrebbe tentare di trovare una cura per tutte le malattie. Poniamo che il nostro obiettivo sia proteggere l’umanità dalla prossima pandemia, creare un nuovo settore di studi della biologia umana, trasformare l’esperienza umana curando, prevenendo o trattando tutte le malattie note. Se avete l’impressione che mi stia lasciando trascinare dall’entusiasmo, sappiate che queste idee in realtà sono progetti: gli scienziati ci stanno già pensando, anzi ci stanno già lavorando, ma sono ostacolati dalla carenza di risorse.

Vlotho, Germania, aprile 2020 (Ingmar Björn Nolting, Laif/Contrasto)

Noi non abbiamo ancora visto in pieno gli effetti del covid-19. Sono già morte più di tre milioni di persone, e altre centinaia di milioni si sono viste stravolgere la vita o sono rovinate sul piano economico. Si stima che il danno per l’economia sia pari a duemila miliardi di dollari, ma la cifra è in aumento. La tragedia, però, avrebbe potuto essere anche più grave. In assenza di freni, come si legge in un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nel 2020 il covid-19 avrebbe potuto uccidere quaranta milioni di persone. Inoltre, l’agente patogeno alla base del covid-19 avrebbe potuto essere più virulento e distruttivo. La triste realtà è che se siamo stati colpiti da questa pandemia non significa che non possa scoppiarne un’altra anche peggiore. Il covid-19 ha cambiato il mondo, e gli effetti della sua tragedia continueranno a essere avvertiti per anni. Noi però dobbiamo usarla per accrescere la consapevolezza di cosa siano le malattie pandemiche.

Quello che è successo ci dà un’idea della minaccia rappresentata dalla crisi climatica. La nostra reazione a questa pandemia dimostra che siamo in grado di adattarci e di cambiare stile di vita, e che i governi, quando serve, sono capaci di trovare soldi da spendere, in particolare per i progetti di sanità pubblica.

Il rischio rappresentato dalle pandemie lo conoscevamo già. Il Regno Unito cataloga e valuta tutte le emergenze che potrebbero abbattersi sul paese: un “registro del rischio”, appunto. Ebbene, all’inizio del 2020 in cima all’elenco c’era una pandemia d’influenza. Nel paese si sono tenute esercitazioni su vasta scala per capire cosa sarebbe potuto succedere al sistema sanitario nazionale, all’economia e alla popolazione, se fosse scoppiata una pandemia simile a quella di spagnola del 1918. Dunque, sapevamo già cosa c’era in ballo. Ora ne abbiamo anche fatto un’esperienza diretta.

Mosca, Russia, giugno 2020 (Nanna Heitmann)

Nel 2018 una malattia ha contagiato 228 milioni di persone e ne ha uccise circa 405mila, in maggioranza bambini sotto i cinque anni e per lo più nell’Africa subsahariana. È la malaria, che circola nel mondo da sempre, tanto che potrebbe essere responsabile della morte della metà di tutti gli esseri umani mai vissuti. La malaria è il flagello più grave del mondo, ma si può prevenire e curare, e siamo stati davvero bravi a farlo: negli ultimi vent’anni i morti per malaria sono diminuiti del 50 per cento. Eppure c’è ancora. E allora, se siamo in cerca di progetti che ci proiettino nel futuro e rappresentino un’eredità preziosa per chi verrà dopo di noi, sconfiggere il nemico più letale del genere umano non sarebbe male.

A questo punto, nella nostra lista figurano il covid-19 e la malaria. Ma quali altre malattie potremmo debellare se avessimo mille miliardi di dollari da spendere? La tubercolosi è una malattia batterica che uccide ogni anno quasi due milioni di persone, in gran parte nei paesi poveri e a medio reddito. Finora il fattore che ha impedito di debellarla non è stata la mancata comprensione della biologia di questo male, ma la carenza cronica di risorse, sommata alla resistenza dell’agente patogeno ai trattamenti antibatterici. Questo però si può cambiare. E possiamo affrontare anche altre malattie tropicali, per esempio la schistosomiasi, una malattia parassitica debilitante che ogni anno colpisce duecento milioni di persone.

Un’iniezione di liquidità

Ma proviamo a pensare più in grande, non fermiamoci all’idea di curare tutte le patologie infettive: puntiamo a un mondo libero da tutte le malattie. Migliaia di scienziati e di medici lottano già per trattare e curare i più temuti killer del mondo, come il cancro, le malattie cardiovascolari e quelle neurologiche: con un’iniezione di liquidità potremmo accrescere le loro possibilità di successo e provare a trasformare radicalmente l’esperienza umana eliminando qualunque malattia. Ma se si vogliono conseguire su scala globale progressi immensi nella salute pubblica e renderli sostenibili, c’è una cosa seria, ambiziosa, difficile, complessa e costosa da fare. E non mi sembra che i miliardari ne parlino né ci investano. Sto parlando dell’assistenza sanitaria universale. Nel 1993 la Banca mondiale pubblicò il Rapporto sullo sviluppo mondiale, la sua prima analisi della salute nel pianeta. Destinato ai ministri delle finanze, il rapporto diceva che la spesa sanitaria avrebbe potuto aumentare non solo il benessere, ma anche la prosperità delle persone. Per celebrare il ventennale della pubblicazione, una commissione internazionale istituita dalla rivista medica The Lancet preparò un quadro degli investimenti necessari per “una grandiosa convergenza” della salute pubblica mondiale entro il 2035. Con quest’espressione la commissione indicava il piano per riportare sia i decessi da malattie infettive sia la mortalità materna e infantile nei paesi a basso e medio reddito ai livelli riscontrati nei paesi a medio reddito che avevano ottenuto i risultati migliori, cioè la Cina, il Cile, la Costa Rica e Cuba. Una convergenza su vasta scala, secondo The Lancet, potrebbe prevenire qualcosa come dieci milioni di morti nel 2035.

Il netto calo delle persone disposte a vaccinarsi era motivo di forte preoccupazione già prima della pandemia di covid-19

La commissione lanciò quattro messaggi chiave. Il primo coincideva con l’argomento economico che probabilmente si sente ripetere di più nei corridoi del potere: l’assistenza sanitaria assicura grandi ritorni degli investimenti. Evitando lunghi periodi di malattia si accresce il valore degli anni di vita aggiuntivi, che nel gergo fatto di sigle degli esperti si chiama Valy, value of additional life years. Questo valore genera un ritorno economico tra nove e venti volte superiore agli investimenti fatti nell’assistenza sanitaria. Colpisce il fatto che spendere cifre apparentemente colossali assicura spesso grandi ritorni economici.

Il secondo punto è che la convergenza è raggiungibile in meno di una generazione. Questo significa, presumibilmente, che gli investitori possono pensare di guadagnarci anche in modo relativamente rapido. Quanto ai governi, dopo la consistente spesa iniziale possono confidare di pareggiare il bilancio in tempi abbastanza brevi. E poter vedere un effetto nel giro di qualche anno aiuterà a trasformare la convergenza da un obiettivo ideale a una politica attuabile.

Il terzo punto è che i governi non stanno usando abbastanza le politiche fiscali in materia di sanità. Nei paesi a basso e medio reddito, aumentando le imposte sul tabacco e l’alcol si possono ridurre nettamente le morti dovute a malattie non trasmissibili e a lesioni varie. Per esempio, un aumento del 50 per cento del prezzo delle sigarette in Cina potrebbe prevenire venti milioni di morti e generare ogni anno, per i prossimi cinquant’anni, venti miliardi di dollari di entrate fiscali. In India lo stesso aumento di prezzo nel medesimo periodo di tempo risparmierebbe quattro milioni di morti e aumenterebbe le entrate fiscali di due miliardi di dollari all’anno. Anche ridurre i sussidi alle imprese del settore dei combustibili fossili avrebbe l’effetto di migliorare la salute generale, soprattutto perché calerebbe l’incidenza delle malattie respiratorie.

Ma il più importante è il quarto punto: l’assistenza sanitaria per tutti è il modo più efficiente di realizzare la convergenza sul terreno della salute globale. Il documento di The Lancet è stato scritto prima del covid-19, ma la reazione dei vari paesi a quest’emergenza dimostra che l’assistenza sanitaria universale protegge efficacemente anche dalle pandemie.

Jeremy Farrar dirige il Wellcome trust, un fondo che con la sua dotazione di circa trenta miliardi di dollari è una delle principali organizzazioni filantropiche al mondo che si occupano di ricerche in campo medico. Grazie alla sua esperienza nel settore della salute globale, Farrar è in una buona posizione per consigliarci come spendere i nostri mille miliardi di dollari. “Lo zoccolo duro della spesa dovrà essere nel campo dell’assistenza sanitaria universale”, mi ha detto. Occorre un sistema di sanità pubblica equo per migliorare la salute materna e infantile, per potenziare le cure di fine vita e per combattere le epidemie. “Quasi qualsiasi altra cosa non è equa, non è efficiente e non garantisce di soddisfare in modo sostenibile le esigenze sanitarie”.

A metà del 2020, quando gli Stati Uniti avevano già superato i due milioni e mezzo di casi di covid-19 e i numeri aumentavano a un ritmo allarmante, Cuba aveva registrato appena 2.448 casi su una popolazione di 11,3 milioni di persone. Uno dei motivi del successo di Cuba nel riportare sotto controllo l’epidemia è probabilmente il suo forte sistema di assistenza sanitaria, che dispone di 8,19 medici ogni mille abitanti, il rapporto più alto del mondo.

Se sviluppassimo un vaccino universale contro l’influenza, saremmo protetti da una delle più gravi minacce alla salute della nostra specie

Ma mille miliardi di dollari non bastano a cambiare il sistema sanitario mondiale. Quindi ecco un’idea: stanziamo un po’ dei nostri soldi per mettere in piedi un sistema di assistenza sanitaria universale in un solo paese, che diventa una bandiera, uno spot pubblicitario rivolto agli altri paesi sui vantaggi dell’assistenza sanitaria universale. Scegliamo un paese grande, affinché la trasformazione rappresenti un faro ma anche una sfida: l’Etiopia. Con i suoi cento milioni di abitanti, l’Etiopia ha una grande economia, ma circa tre medici ogni mille abitanti. La mortalità materna e infantile è relativamente alta, soprattutto perché la maggior parte delle donne partorisce in casa senza l’aiuto di levatrici con una formazione moderna. Aggravano i problemi sanitari l’insufficienza dei servizi di nettezza urbana e le carenze nutrizionali.

Ora, se aiutassimo a trasformare il sistema sanitario dell’Etiopia, uno dei numerosi vantaggi sarebbe che un personale medico addestrato sarebbe più incline a restare nel suo paese invece di emigrare. Dovremo prendere esempio e imparare da altri paesi, compresa l’Indonesia, che ha lanciato un ambizioso tentativo di introdurre un sistema di assistenza sanitaria universale. Si chiama Jaminan kesehatan nasional e nel 2019 copriva già 221 milioni di persone, pari all’83 per cento della popolazione.

A questo punto, avremo speso parte dei soldi per una dimostrazione dell’assistenza medica universale. Un’altra bella porzione andrebbe spesa per mettere a punto e distribuire vaccini. Se prima del covid-19 questa non era considerata una priorità, oggi lo è. Ormai tutti hanno capito fin troppo bene che lo sviluppo, la sperimentazione e l’equa distribuzione di un vaccino è un’impresa colossale e costosa dai risultati tutt’altro che garantiti.

Illustra efficacemente il compito che abbiamo davanti la lotta contro la poliomielite, malattia provocata da un virus che colpisce soprattutto i bambini e che può provocare paralisi irreversibile e in certi casi la morte. Lo sforzo per debellarla è stato coronato da un successo straordinario: i casi sono scesi dai 350mila all’anno del 1988 agli appena 33 del 2018. Nel 1988 il virus della polio era endemico in 125 paesi, oggi invece lo è solo in due: l’Afghanistan e il Pakistan. Tuttavia questo virus è altamente contagioso: un solo bambino contagiato potrebbe provocare in tutto il mondo centinaia di migliaia di nuovi casi all’anno. Pertanto va eradicato del tutto, come lo è stato il vaiolo nel 1980. Potremmo incentivare la spinta all’eradicazione potenziando i finanziamenti, le misure di sicurezza e le risorse per il personale che opera in quelle regioni affrontando sfide incredibilmente impegnative. Nel nord della Nigeria decine di medici e infermieri che lavoravano alla vaccinazione contro la polio sono stati uccisi da uomini armati che si ritiene appartengano all’organizzazione terroristica Boko haram. Per espandere la somministrazione del vaccino antipolio, dovremo inoltre far capire sempre meglio che è sicuro. In Afghanistan, per esempio, dovremo contrastare la diffusione della propaganda antivaccinista. In tutti i paesi dovremo poi migliorare il monitoraggio delle malattie e la raccolta di dati, per valutare meglio i progressi della campagna di eradicazione, oltre a darci da fare per soddisfare le esigenze fondamentali – acqua pulita e forniture alimentari – delle persone che abitano in aree isolate, dove il virus resiste a oltranza. Il lavoro svolto per debellare il virus della polio ha prevenuto un milione e mezzo di morti e diciotto milioni di casi di paralisi.

Nel 2019 l’Oms ha compilato un elenco delle grandi minacce alla salute umana, una delle quali è il problema di quella che definisce diplomaticamente vaccine hesitancy, l’esitazione a vaccinarsi, che nei paesi ricchi come gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Giappone è un problema non meno grande che in paesi più poveri. Il netto calo del numero delle persone disposte a vaccinarsi era motivo di forte preoccupazione già prima della pandemia di covid-19, ma ora la preoccupazione è molto più grande. La diffidenza verso i vaccini costa terribilmente cara. Secondo le previsioni, in Giappone il calo del numero di persone che nel 2013 si sono vaccinate contro il virus del papilloma umano (Hpv) – dovuto alle notizie su un insieme di presunti effetti avversi – provocherà cinquemila decessi per cancro della cervice uterina che si sarebbero potuti prevenire. Insomma, oltre a esporre le persone alle patologie e alla morte, questa riluttanza, sommata alla propaganda degli antivaccinisti, ostacola l’eradicazione delle malattie.

In quell’elenco del 2019, con ammirevole preveggenza l’Oms ha incluso quella che ha etichettato “malattia X”. Ha cioè lasciato uno spazio bianco per “rappresentare l’esigenza di prepararsi per un agente patogeno ignoto che potrebbe provocare una grave epidemia”; e quello spazio l’ha puntualmente riempito, l’anno dopo, il sars-cov-2, che ha compiuto (quasi certamente) il salto di specie dai pipistrelli agli esseri umani. Effettivamente all’epoca era del tutto prevedibile che un qualche animale ci avrebbe passato una malattia grave. Gli esempi non mancavano: l’hiv, la rabbia, l’antrace, il virus ebola, l’influenza, due coronavirus come mers e sars, e infine la peste bubbonica, tutte patologie zoonotiche che ci sono state passate da animali. Ce n’è anche un’altra, il virus nipah, che attualmente suscita grave preoccupazione: ha fatto due salti di specie, dai pipistrelli della frutta ai maiali e poi agli esseri umani ed è stato isolato per la prima volta nel villaggio di Nipah in Malesia, nel 1999. Il suo tasso di letalità è sconvolgente: tra il 40 e il 75 per cento; quello del coronavirus è del 3 per cento. Non ci sono trattamenti e vaccini contro il nipah, e se il virus mutasse e diventasse più facilmente trasmissibile da un essere umano all’altro… insomma, avete capito. Occorre quindi un istituto internazionale per la protezione e la risposta alle pandemie, da porre forse sotto l’ombrello dell’Oms.

Nel 2009, quando minacciava d’imporsi la pandemia d’influenza detta “suina” causata dal virus H1N1, furono messi a punto dei vaccini che i paesi ricchi si affrettarono a requisire. L’alleanza internazionale per i vaccini Gavi è un ente che sovvenziona il costo dei vaccini per fare in modo che i paesi più poveri possano permetterseli. È qualcosa che dovremmo fare per i vaccini contro tutti i coronavirus, sempre che non lo facciano i governi del mondo per bontà, cosa su cui non possiamo contare. Dovremmo inoltre sostenere la Cepi (Coalizione per l’innovazione in tema di preparazione alle epidemie), un’organizzazione che lavora alla messa a punto di vaccini contro numerose patologie emergenti, tra cui anche il covid-19. Per completare i trial dei vaccini, la Cepi ha bisogno di due miliardi di dollari nell’immediato, e poi di ulteriori finanziamenti per potenziare la capacità produttiva, così da assicurare che ci siano abbastanza vaccini per tutti. Sembra una barca di soldi, ma quando saremo in grado di agevolare il ritorno a una vita lavorativa e a un’economia normali, rientreremo degli investimenti fatti per sostenere la Cepi nella sua missione di rendere disponibili vaccini validi a prezzi equi e abbordabili.

La ricerca di base

Quindi possiamo contribuire a migliorare i tassi di vaccinazione in tutto il mondo. Ma possiamo cambiare la situazione anche sul piano della ricerca di base. Infatti lo sviluppo dei vaccini si basa tuttora in larga misura su una tecnologia vecchia di due secoli, e comunque disponiamo di vaccini solo per meno di trenta malattie. Ecco perché l’arrivo di un vaccino efficace non solo contro il covid-19, ma anche contro l’hiv, la malaria e la tubercolosi, costituirebbe una svolta radicale.

Poi ci sono le malattie infettive emergenti, che sono state individuate solo a partire dagli anni quaranta, e sono più di 320. Daremo un sostegno finanziario ai vaccini basati su tecnologie nuove, compresi quelli a rna e dna. Sono quelli che contengono le istruzioni genetiche per fabbricare le proteine che si trovano sulla superficie della cellula virale o batterica all’origine di una certa malattia: quando il vaccino genetico viene somministrato all’organismo, le sue cellule leggono le istruzioni e fabbricano queste proteine, stimolando il sistema immunitario a mettere in campo le difese e in questo modo proteggendo il soggetto nel caso che venga in contatto con l’agente patogeno. Sono vaccini a rna sia quello Pfizer-Biontech sia quello Moderna.

Se sviluppassimo un vaccino universale contro l’influenza, saremmo protetti da quella che tutt’ora è una delle più gravi minacce alla salute della nostra specie, cioè lo scoppio di una pandemia d’influenza. Era ciò che ci preoccupava quando è spuntato il coronavirus; e forse è stato proprio il fatto che il covid-19 fosse causato da un coronavirus e non da un virus dell’influenza a prendere in contropiede alcuni governi. Ecco perché la messa a punto di un vaccino antinfluenzale universale sarebbe decisiva e aiuterebbe anche a contrastare l’aumento della resistenza ai preparati anti-microbici. Difatti l’evoluzione di supermicrobi immuni ai trattamenti – insomma, il problema della resistenza agli antibiotici – è un’altra voce dell’elenco dell’Oms. Ogni anno muoiono più di un milione e mezzo di persone infettate da un agente patogeno resistente agli antibiotici, e il problema potrebbe facilmente aggravarsi.

Nuovi agenti patogeni

Jessica Metcalf, una biologa dell’università di Princeton che studia le malattie infettive, ha proposto di creare un osservatorio immunologico globale con un programma di raccolta di campioni dai sistemi immunitari della popolazione. Questo permetterebbe agli scienziati di rilevare i segnali di nuovi agenti patogeni appena emergono. Per quanto riguarda la malaria, possiamo poi contribuire agli sforzi dell’Oms, che contro questa malattia ha adottato una strategia decennale del costo di 8,7 miliardi di dollari all’anno. Dove potremmo arrivare se ci aggiungessimo, poniamo, cento miliardi?

Da sapere
Di cosa muoiono i più poveri
Principali cause di morte nei paesi a basso reddito, migliaia di morti. (Fonte: Oms)

In epidemiologia l’idea classica è eradicare il comune raffreddore dando contemporaneamente a tutti un farmaco magico: zac, via il raffreddore. Ma noi, con il nostro tesoro inatteso, potremmo cercare di fare in modo che chiunque ne abbia bisogno, ovunque si trovi, riceva i migliori farmaci antimalarici disponibili, costituiti al momento dalle terapie combinate a base di artemisinina. Tuttavia, pur con tutti i nostri soldi, non riusciremmo a raggiungere tutte le persone che abitano in zone isolate. Inoltre, se non mettessimo sotto controllo la densità delle popolazioni di zanzare, la malaria si riaffaccerebbe subito, quindi non dovremmo combattere solo la malattia, ma anche l’insetto. È noto, infatti, che la malaria è causata da un microorganismo parassita, il plasmodio, portato da certe zanzare. Sono anni che proviamo a debellarla, ma ogni volta il parassita, o l’insetto, o tutti e due, reagiscono adottando strategie evolutive di resistenza ai nostri metodi di controllo, e tornano in forze. Dunque dobbiamo sterminare il serbatoio di zanzare, e per farlo ci serve un metodo per battere l’evoluzione. Sta lavorando a una soluzione un consorzio internazionale di ricerca chiamato Target malaria: quest’organizzazione si propone di usare il gene drive, una tecnica di modificazione genetica, per rendere infertili le femmine dell’insetto, ma – è ormai dimostrato – senza che sviluppino una resistenza. Con un colossale programma di modificazione e allevamento dispiegato su scala sufficientemente vasta nelle zone incolte, possiamo quindi eliminare le popolazioni locali di zanzare della malaria.

Vi state chiedendo se sia ecologicamente saggio eliminare un’intera specie da una zona del mondo? È una preoccupazione fondata. Sappiate, però, che abbiamo spesso tentato di eliminare le zanzare con l’aiuto di sostanze chimiche dagli orrendi e nocivi effetti collaterali: su questo piano sopprimere una specie senza usare insetticidi è un progresso. Per giunta sono pochi gli animali che si cibano di zanzare portatrici della malaria, e secondo uno studio sugli effetti dello sterminio delle zanzare è improbabile che questo abbia grosse conseguenze sull’ecosistema locale.

Sembra esagerato e perfino arrogante presumere di poter curare, prevenire e trattare tutte le malattie da qui alla fine del secolo. Cori Bargmann, genetista e neuroscienziata che dirige la Chan Zuckerberg initiative, propone però uno sguardo più lungo: “Se torniamo indietro di altrettanto tempo”, afferma la ricercatrice, “vedremo allora che sarebbe stata impensabile buona parte della medicina moderna, dai trapianti d’organo alla stimolazione cerebrale profonda fino alle manipolazioni del sistema immunitario che usiamo oggi nelle terapie oncologiche”. Insomma, tra ottant’anni avremo quasi certamente realizzato cambiamenti che faranno apparire il meglio dell’odierna medicina come un’accozzaglia di rozze congetture. Potremmo perfino aver ridotto l’incidenza delle malattie a un’estrema rarità.

Quando finalmente si poserà il polverone della catastrofe prodotta dal covid-19, dovremmo aver imparato che impedire alle malattie di diffondersi, o almeno limitarne la diffusione il più possibile, non serve solo a risparmiare vite umane e a migliorare il nostro benessere fisico e mentale, ma salva i posti di lavoro e l’economia. E avremo capito che la prevenzione delle malattie per mezzo dei vaccini dev’essere equa e allo stesso tempo globale. Investire oggi nell’assistenza sanitaria e nella preparazione alle future minacce sanitarie previene decessi e devastazione economica. E apre la via a una vita più lunga e felice, a una più piena espressione delle potenzialità umane.  ◆ ma

Rowan Hooper è un giornalista del settimanale britannico New Scientist. Quest’articolo è un adattamento dal suo ultimo libro How to spend a trillion dollar: saving the world and solving the biggest mysteries in science (Profile 2021). Il libro uscirà in Italia per Il Saggiatore nel primo trimestre del 2022.

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Questo articolo è uscito sul numero 1409 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati