Qualcosa di dolce e di tenero soffia sopra Montpellier. Davanti al museo Fabre, sotto l’immenso tiglio che la copre come un ombrello c’è una ragazza prigioniera di un bozzolo di corde, come se il suo paracadute fosse rimasto intrappolato fra i rami. Curiosamente una rete di corde posate per terra collega questa marionetta viva agli spettatori che la circondano, seduti sul prato.

L’apparizione porta il nome di Sève Bernard. In coppia con Camille Boitel dal 2018 nella compagnia L’Immediat, è lei a interpretare Définition de l’oeuvre d’art comme acte de confiance aux spectateurs-ices. E di fatto l’accordo concluso tra Sève Bernard e il pubblico ha qualcosa d’incredibile. Improvvisamente si distingue la sua voce: “Forse non lo sapevate, ma in questo momento mi sto attaccando a voi. Ho fiducia in voi. E voi avete fiducia in me? Non so se io tengo a voi o se voi tenete a me. Voi tenete a me? Si può sostenere qualcuno quando non lo si conosce?”. Alcune persone si avvicinano e prendono l’estremità di un filo. E si comincia. Guidati dalla ballerina, saranno in una trentina a issarla con attenzione fino in cima all’albero e a farla riscendere altrettanto dolcemente, a testa in giù.

Ultimo appuntamento

Questa performance di una bellezza trasparente, e la cui leggerezza nasconde un rischio appena percettibile ma molto reale, ha aperto il 22 giugno il 45° festival Montpellier Danse, che si conclude il 5 luglio. Questa esibizione fa parte di un programma di performance estemporanee proposte all’aperto gratuitamente ai cittadini di Montpellier, che sono venuti numerosi malgrado una temperatura superiore ai 30 gradi.

Un estratto dello spettacolo Clowns di Hofesh Shechter, trasmesso da Bruno Guillore e ben rappresentato dai giovani elementi più bravi di Epsedanse, è stato messo in scena sempre il 22 giugno davanti al museo Fabre e sarà ripreso in altre sette città francesi. Sulla sabbia del cortile dell’Agora, _Of the heart. An etude _di Armin Hokmi, artista iraniano che si è trasferito a Berlino, ha offerto una prima versione, tutta basata sul gioco ritmico di gomiti e spalle del suo prossimo lavoro, annunciato per il 2026, ancora una volta a Montpellier Danse.

Questa edizione del festival è molto particolare perché, oltre al forfait all’ultimo minuto della compagnia israeliana Batsheva di Tel Aviv, è stata anche l’ultima firmata da Jean-Paul Montanari (1945-2025), direttore artistico della manifestazione dal 1983 al 2024 insieme a Maïwenn Rebours.

Forme(s) de vie (Shonen)

Il festival ha un carattere particolare e ricorda in ogni momento il suo sostegno fedele ai coreografi più diversi, con la presenza fino al 5 luglio di artisti come Pierre Pontvianne, Nadia Beugré, David Wampach, Mathilde Monnier, Salia Sanou o Mourad Merzouki.

Presenti al festival con due rappresentazioni, Camille Boitel e Sève Bernard hanno creato la loro nuova pièce sul palcoscenico all’aperto del teatro dell’Agora. Circondati dai quattro complici e da 28 appassionati coinvolti nell’avventura, si gettano nel vero senso della parola in questo spettacolo volontariamente senza titolo. Dare un nome al loro lavoro imprigiona e intrappola coloro che “vogliono cambiare le tracce della normalità”.

Tra danza, circo e teatro, si ritrovano i motivi che caratterizzano tutte le creazioni di Camille Boitel fin dal suo primo lavoro, _L’homme de hus _(2003), indimenticabile lotta di un uomo con cento cavalletti ribelli. La rappresentazione è caratterizzata dallo squilibrio e dalla caduta, un tema presente anche in molti spettacoli di circo degli ultimi anni, come il crollo degli esseri umani e degli oggetti in un inverosimile caos magicamente organizzato.

L’opera senza titolo di Boitel e Bernard (L’immediat)

Questo crollo generale è caratterizzato da una partizione visiva e ritmica molto coerente. Sotto la direzione nervosa di una coppia di falsi gemelli, una grande scala si piega in quattro rendendo pericolosamente instabile un’impalcatura, che come per miracolo oscilla in bilico sul vuoto mentre un riflettore esplode in volo. La gravità trascina tutto verso il basso e curiosamente suscita le risate del pubblico. Il meccanismo burlesco di Camille Boitel e Sève Bernard disinnesca l’elemento tragico che incombe. Lo spettacolo termina con un balletto di tende nere che celebra l’amore travolgente per il teatro e per gli incidenti sublimati dall’arte.

Protesi umane

In un registro più delicato, la performance intitolata Forme(s) de vie (2021) di Eric Minh Cuong Castaing, Aloun Marchal e Marine Relinger mette in evidenza con delicatezza la grande vulnerabilità dei due intepreti: l’ex pugile Kamel Messelleka, vittima di un ictus una decina di anni fa, e la ballerina Elise Argaud, che soffre del morbo di Parkinson. Sostenuti da ballerini “protesi umane”, secondo l’espressione del coreografo, ritrovano lentamente la loro mobilità: Kamel Messelleka riprende i suoi gesti sportivi, mentre Elise Argaud si rialza.

Attraverso questa lotta violenta, l’energia si diffonde e compone una solida catena umana in marcia. Rivendicando una pratica transdisciplinare e inclusiva, Eric Minh Cuong Castaing, dal 2007 alla guida della compagnia Shonen, inserisce la sua ricerca in contesti diversi, tra cui istituti di rieducazione motoria e centri di cure palliative. Così durante la pièce vengono proiettate le immagini della “Maison” di Gardanne (vicino a Aix-en-Provence), che descrivono il suo lavoro e quello della sua équipe.

Completamente diversa, la produzione Thikra. Night of remembering, concepita dal coreografo Akram Khan con la scultrice saudita Manal Al Dowayan, ha espresso la sua forza visiva e sonora sul palcoscenico dell’Opéra Comedie. Probabilmente il fatto che questo spettacolo, con quattordici ballerine esperte di bharata natyam e di danza contemporanea, sia stato creato nel quadro grandioso del deserto e delle rovine di Al Ula in Arabia Saudita spiega la strana sensazione di vuoto e di sproporzione che caratterizza l’esibizione.

Sotto il patrocinio di Afalula, l’agenzia francese che accompagna la Commissione reale saudita nella trasformazione di Al Ula in luogo culturale, l’opera è stata affidata ad Akram Kahn, che poi ha incontrato Manal Al Dowayan. E alla fine è lei che ha guidato il coreografo britannico alla scoperta del suo paese e in particolare della tribù degli Umfaraz, dove le donne ballano con i loro lunghi capelli neri in occasione dei matrimoni. Questa fonte di ispirazione ha dato vita a un’impressionante coreografia. Ma la volontaria ritualizzazione del progetto si dissolve in una vaghezza narrativa che i quadri d’insieme, per quanto efficaci, non riescono a salvare. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1621 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati