A luglio del 2018 la nave Caprera era appena rientrata alla base, nell’Italia meridionale. La piccola nave da guerra italiana aveva contribuito a intercettare ottanta barche cariche di migranti al largo delle coste libiche, impedendo a più di settemila persone di raggiungere l’Europa. Per il suo operato la Caprera aveva ottenuto il plauso di Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’interno. Salvini, contrario all’immigrazione irregolare, si era complimentato con l’equipaggio della nave per aver difeso “i mari e la nostra sicurezza: onore!”. Il problema: l’equipaggio della Caprera si dedicava anche al contrabbando.
Lo stesso giorno del rientro in Italia, durante un’ispezione della nave, la guardia di finanza trovò 700mila sigarette importate illegalmente e diverse scatole di Cialis, un farmaco per curare le disfunzioni erettili. La merce contrabbandata era stata comprata mentre la Caprera era ormeggiata a Tripoli, da maggio a luglio del 2018, nell’ambito di una missione per contrastare il traffico di esseri umani condotta dalla marina militare italiana.
“Mi sono sentito come Dante nella sua discesa all’inferno”, racconta il tenente colonnello della guardia di finanza Gabriele Gargano, l’ufficiale che ha organizzato la perquisizione e la successiva indagine. “Ho partecipato a molte operazioni di contrasto al contrabbando, ma non avevo mai visto settanta sacchi di sigarette su una nave militare”.
La scoperta ha offuscato quello che le autorità europee avevano presentato come uno sforzo risoluto, ma basato su princìpi giusti, per frenare i flussi migratori verso il continente. All’epoca gli stati europei, soprattutto l’Italia, stavano chiudendo i porti, criminalizzando gli equipaggi privati che cercavano di salvare i migranti nel Mediterraneo e affidando le operazioni di ricerca e soccorso alla guardia costiera libica.
Violato l’embargo
A Brindisi è in corso un processo in cui cinque marinai sono accusati di aver partecipato alle attività di contrabbando. Ma l’indagine è andata ben oltre la vicenda della Caprera.
Una serie di fatture, che il New York Times ha visto, dimostrano che i marinai della Caprera hanno acquistato le sigarette in Libia usando un metodo che sarebbe stato ideato dall’equipaggio di una seconda nave italiana, la Capri, ormeggiata a Tripoli a gennaio del 2018. Secondo altri atti giudiziari ottenuti dal New York Times, una terza nave da guerra italiana coinvolta nella missione sarebbe stata perquisita a Napoli a maggio di quest’anno. Anche in questo caso le autorità sospettavano un’attività di contrabbando.
“La faccenda potrebbe essere molto più vasta e riguardare altre imbarcazioni”, ammette Gargano, che sta indagando sulle persone che si trovavano a bordo di almeno un’altra nave. “Prevediamo nuovi sviluppi”.
I documenti consultati dal New York Times e le interviste con gli inquirenti e con funzionari italiani rivelano come l’equipaggio di una nave così importante per rafforzare l’azione dell’Unione europea contro la tratta di esseri umani abbia portato avanti un’attività criminale sottocoperta.
I marinai avrebbero comprato le sigarette con soldi provenienti da un fondo cassa di varie migliaia di euro finanziato dallo stato italiano
Nel 2019 una commissione delle Nazioni Unite ha stabilito che la marina italiana aveva violato un embargo sulle armi, fornendo riparazioni a una nave da guerra libica. Ma i documenti indicano che la Caprera potrebbe aver violato l’embargo in almeno altre tre occasioni. Dalle carte risulta anche che i vertici della missione hanno evitato di comunicare in modo tempestivo alla guardia costiera italiana che c’erano dei migranti nel Mediterraneo meridionale, in modo da permettere alle autorità libiche di intercettarli e riportarli in Libia, un paese devastato dalla guerra.
Il New York Times può confermare il coinvolgimento della Caprera nell’operazione di contrabbando grazie alle interviste fatte alla polizia giudiziaria, ai marinai della missione, alla guardia costiera libica, a quella italiana e agli avvocati degli accusati. Testimonianze che si uniscono ai messaggi WhatsApp, alle fotografie e alle trascrizioni delle intercettazioni contenute negli atti giudiziari e in un’indagine militare.
“Sono un po’ nella merda”, ammetteva un marinaio della Caprera, Antonio Mosca, in un messaggio inviato dopo il sequestro della nave. “La capitaneria di porto è a bordo. Stavamo scaricando i sacchi con le sigarette”.
L’accordo con Tripoli
Per ricostruire gli eventi che hanno portato la Caprera a Tripoli bisogna partire dal 2011, quando le rivolte in tutto il Medio Oriente crearono un vuoto di potere in gran parte della regione, inclusa la Libia. Il caos spinse centinaia di migliaia di persone a fuggire in cerca di un rifugio sicuro in Europa. Molti migranti partirono dalla Libia. Per fermare questo esodo, nel 2017 il governo italiano firmò un accordo con il governo di Tripoli, sostenuto dalle Nazioni Unite.
L’Italia prometteva appoggio logistico e finanziario, in parte con i soldi dell’Unione europea, per ricostruire la guardia costiera libica. In base ai termini dell’accordo, l’Italia donò alla Libia alcune vecchie imbarcazioni della propria guardia costiera. Inoltre mandò le sue navi a Tripoli per coordinare le attività contro l’immigrazione irregolare.
Dato che la guardia costiera libica non possedeva le radio necessarie per comunicare con le imbarcazioni in mare, le operazioni erano dirette segretamente a bordo delle navi militari italiane, nonostante Tripoli avesse promesso di poterle gestire autonomamente.
Questa tesi è stata confermata da due marinai che hanno partecipato alla missione, da un comandante della guardia costiera libica, dagli atti dell’inchiesta e da Salvini, che mesi fa aveva dichiarato al New York Times: “Hanno coordinato le attività di salvataggio”.
◆ Il 1 dicembre 2020 comincerà a Brindisi il processo, con rito abbreviato, nei confronti di quattro militari italiani accusati di aver trafficato sigarette di contrabbando dalla Libia all’Italia sulle navi della marina. Gli imputati sono ** Marco Corbisiero**, ufficiale della marina, in carcere dall’11 maggio scorso, e i sottufficiali Roberto Castiglione, Antonio Filogamo e Antonio Mosca, questi ultimi agli arresti domiciliari. I quattro militari sono accusati di aver detenuto, trasportato in Italia 690 chili di sigarette di contrabbando, vendute poi ad altri militari. Corbisiero è imputato anche di peculato e istigazione alla corruzione. Nella vicenda è coinvolto il maggiore della guardia costiera libica Hamza Ben Abulad, non rintracciato dalle autorità italiane. Avrebbe fornito sigarette e confezioni di Cialis a Corbisiero in cambio della gestione esclusiva dei pezzi di ricambio che la marina italiana acquistava per riparare le motovedette libiche, sulla base di un accordo tra i due paesi per limitare il flusso migratorio verso l’Italia. Internazionale
L’obiettivo dell’Italia era far sì che la guardia costiera libica impedisse ai migranti di raggiungere le acque internazionali, evitando in questo modo che fossero soccorsi da imbarcazioni private e dalla guardia costiera italiana, e quindi portati in salvo in Europa.
Secondo un’intervista a un comandante della guardia costiera italiana e in base ai registri visionati dal New York Times, per raggiungere questo scopo a volte i marinai delle navi militari italiane a Tripoli tardavano a trasmettere le informazioni al loro comando a Roma. I registri testimoniano che, durante un intervento coordinato dai marinai italiani nel novembre del 2017, in cui molti migranti annegarono, l’ambasciatore italiano a Tripoli e il funzionario che si occupava delle questioni marittime chiesero alla guardia costiera italiana di ritirare le proprie navi dalla zona per consentire libertà d’azione alla guardia costiera libica.
La foto con la torta
Stando ai documenti, anche prima che i marinai cominciassero le attività di contrabbando, la Caprera avrebbe violato in almeno tre occasioni i termini di un embargo delle Nazioni Unite sulle armi. L’embargo vieta agli attori internazionali di fornire armi a qualsiasi fazione coinvolta nella guerra civile libica, nonché di aggiustare dotazioni militari. “Abbiamo riparato le armi dei libici nonostante l’embargo”, ha ammesso uno degli ingegneri della Caprera in una conversazione telefonica intercettata dalla guardia di finanza. “Se si viene a sapere è un casino”. La marina italiana non ha commentato alcun aspetto della vicenda.
Le operazioni di contrabbando sulla Caprera cominciarono nel 2018, quando i marinai del reparto ingegneristico della nave presero a riempire una stanza con sacchi di sigarette. I prodotti acquistati in Libia venivano venduti in Italia con un forte aumento del prezzo e aggirando gli alti dazi sulle importazioni.
Tra le prove principali raccolte dagli investigatori ci sono le foto scattate a maggio del 2018 alla festa di congedo di Marco Corbisiero, 44 anni, capo ingegnere, che aveva concluso il suo incarico a bordo della Caprera. Le immagini, condivise sul gruppo WhatsApp della nave, mostrano Corbisiero sorridente davanti a una grande torta al cioccolato. Alle sue spalle si vedono diversi sacchi di sigarette di contrabbando.
Gli sms e la trascrizione delle telefonate intercettate dalla polizia indicano che Corbisiero era una figura di spicco nel contrabbando. Ipotesi confermata dagli inquirenti: è uno dei cinque marinai attualmente sotto processo a Brindisi. Il suo legale, Fabrizio Lamanna, ha dichiarato che il suo cliente è stato trasformato in un capro espiatorio. Gli estratti conto indicano che Corbisiero, a partire dal 2017, ha ricevuto decine di migliaia di dollari da privati cittadini, tra cui diversi marinai italiani. Gli inquirenti ritengono che il denaro fosse un anticipo per le sigarette di contrabbando. L’uomo avrebbe incassato più di 1o0mila euro dalla vendita delle sigarette, guadagnando più di 75mila euro sulla spesa fatta in Libia per acquistarle. La maggior parte fu caricata sulla Caprera quando Corbisiero non era più a bordo. Quando la Caprera attraccò a Brindisi, la stanza dove erano stipati i sacchi di sigarette era talmente piena che gli agenti non riuscivano a entrare.
Gli investigatori ritengono che i marinai abbiano acquistato le sigarette con soldi provenienti da un fondo cassa di varie migliaia di euro finanziato dallo stato italiano. Per coprire l’attività illecita, i marinai versavano il denaro a un intermediario, un ufficiale della guardia costiera libica di nome Hamza Bin Abulad, 39 anni, addestrato in Italia dalla guardia di finanza e incaricato di favorire i contatti tra gli italiani e i colleghi libici. L’intermediario dava ai marinai italiani una serie di ricevute per acquisti apparentemente legittimi, come pezzi di ricambio, con il timbro di una società inesistente di nome Tikka (“fiducia” in arabo).
Confezioni di Cialis
“Una triste ironia”, afferma Gargano: “Le ricevute, infatti, servivano ai marinai per nascondere l’uso di denaro pubblico per comprare sigarette e confezioni di Cialis. È probabile che le ricevute della Tikka non abbiano coperto solo il traffico di sigarette. Le 18 fatture testimoniano pagamenti per quasi 125mila euro, ma secondo gli inquirenti per le sigarette ne sono stati spesi meno di 26mila. Questo significa che la maggior parte dei servizi e dei prodotti acquistati tramite la Tikka è ancora sconosciuta.
A metà luglio del 2018 la Caprera attraccò a Brindisi con quello che, secondo la guardia di finanza, è il più grande carico di contrabbando mai trovato su una nave da guerra del paese. La truffa fu scoperta perché un marinaio vide i suoi colleghi scaricare vari sacchi di sigarette sul molo di Brindisi e inviò una foto al capitano della nave Oscar Altiero.
“Comandante, mi dispiace disturbarla. In questi sacchi ci sono i famosi pacchetti di sigarette”, scriveva il marinaio.
La nave fu sequestrata dalla guardia di finanza, dando il via a un’indagine durata ventidue mesi. In Libia, Hamza Bin Abulad non è stato perseguito. Di recente è stato promosso a capo ingegnere della guardia costiera. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1379 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati