Dopo l’attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023, la domanda si è posta più volte e sta riemergendo mentre aumenta la pressione internazionale su Tel Aviv: lo stato ebraico diventerà uno stato paria? La questione sembra preoccupare la società israeliana, visto il crescente clamore suscitato dalle critiche contro l’esercito e il governo. Il 20 maggio il leader dell’opposizione di sinistra, Yair Golan, ha rilasciato dichiarazioni senza precedenti alla radio: “Un paese sano non fa la guerra ai civili, non uccide bambini per hobby e non si pone l’obiettivo di espellere le popolazioni”.
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Le parole di Golan arrivano nel momento in cui i paesi europei hanno inasprito i toni nei confronti di Tel Aviv, che il 17 maggio ha lanciato un’operazione militare su vasta scala a Gaza prima di annunciare la ripresa – molto limitata – dell’ingresso degli aiuti umanitari nell’enclave che da marzo era sottoposta a un blocco totale.
Alcuni avvenimenti in Cisgiordania hanno contribuito ad approfondire la frattura tra Israele e l’Europa. Dopo che l’esercito israeliano ha sparato quelli che ha definito dei colpi “di avvertimento” durante una visita di diplomatici organizzata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp)nei territori occupati, Roma, Parigi, Madrid e Lisbona hanno dichiarato di voler convocare gli ambasciatori di Israele.
Alla preoccupazione degli israeliani di vedere il loro paese relegato ai margini della scena diplomatica internazionale, si aggiunge la percezione di una guerra infinita, portata avanti senza un obiettivo chiaro e a scapito della vita degli ostaggi. Il 21 maggio a Gerusalemme, nel corso di una conferenza stampa, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato: “Chi ci chiede di fermare i combattimenti prima di aver raggiunto i nostri obiettivi ci chiede in realtà di lasciare Hamas al potere”.
Anche se si è detto pronto a prendere in considerazione un cessate il fuoco temporaneo per riportare a casa altri ostaggi israeliani, il 22 maggio lo stato ebraico ha richiamato la sua squadra di negoziatori da Doha, dov’erano in corso i colloqui sulla tregua. Israele protestava perché Hamas continua a pretendere la fine della guerra. Questo atteggiamento potrebbe far crescere il malcontento di una parte della popolazione israeliana, che da mesi accusa Netanyahu di prolungare i combattimenti per assicurarsi la sopravvivenza politica.
L’inchiesta di Haaretz
Tra l’altro, la società è stanca di pagare per lo sforzo bellico. Per la sua ultima offensiva, il 17 maggio l’esercito israeliano ha chiamato alle armi decine di migliaia di riservisti. Questo succedeva dopo che alcuni collettivi di riservisti e di esponenti degli apparati militari e di sicurezza si erano uniti agli appelli delle famiglie degli ostaggi per chiedere la fine delle operazioni militari a Gaza. Un grido di rabbia che ora potrebbe riemergere dopo la pubblicazione di un’inchiesta del quotidiano di centrosinistra Haaretz secondo la quale dal 7 ottobre 2023 si sono suicidati 35 soldati israeliani in servizio: molti erano stati chiamati a combattere nonostante le sofferenze psicologiche e i riconosciuti problemi di stress post-traumatico, poiché il governo di Tel Aviv teme di rimanere a corto di personale.
Queste informazioni compromettono l’immagine del governo all’interno del paese. Dall’inizio della guerra Tel Aviv ha moltiplicato gli sforzi per limitare il flusso di immagini provenienti dall’enclave palestinese. “Ne sono uscite poche sui mezzi d’informazione israeliani, e solo sui giornali di sinistra”, commenta Laure Foucher, ricercatrice della Fondation pour la recherche stratégique, un centro studi francese indipendente.
Alle restrizioni sulla circolazione delle informazioni si aggiunge la loro manipolazione. “Israele potrà anche continuare a ignorare la realtà, a prendere tempo e ad aggrapparsi alla narrazione per cui ‘tutti sono antisemiti’. Il prezzo da pagare è la vita degli ostaggi, dei soldati e di decine di migliaia di palestinesi, e la trasformazione di Israele in uno stato paria messo al bando dalla comunità internazionale”, ha scritto Haaretz in un editoriale.
◆ Il 27 maggio 2025 la Gaza humanitarian foundation (Ghf), un’organizzazione creata pochi mesi fa e sostenuta dagli Stati Uniti, ha annunciato di aver cominciato la distribuzione degli aiuti alimentari nella Striscia di Gaza. Migliaia di persone si sono precipitate nel punto della città di Rafah dove si sono svolte le operazioni e si è scatenato il caos. I soldati israeliani hanno sparato per disperdere la folla e secondo le Nazioni Unite più di quaranta persone sono rimaste ferite. Due giorni prima Jake Wood, il capo della Ghf, si era dimesso dichiarando di non poter svolgere la sua missione “nel rispetto dei princìpi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza”. Le Nazioni Unite e le ong hanno chiarito che non parteciperanno alla distribuzione degli aiuti della Ghf, accusata di essere al servizio d’Israele.
◆ Israele continua a bombardare la Striscia di Gaza senza sosta. La difesa civile di Gaza registra decine di morti ogni giorno. Il 26 maggio i raid hanno ucciso almeno 52 persone, di cui 33 erano rifugiate in una scuola nella città di Gaza. Due giorni prima è stata colpita una casa a Khan Yunis, uccidendo nove dei dieci figli di una coppia di medici.
◆ Continuano le violenze israeliane anche nel resto della Palestina. Il 26 maggio folle di israeliani di estrema destra hanno insultato e aggredito i palestinesi durante il corteo annuale in occasione della giornata di Gerusalemme, che commemora l’occupazione israeliana della parte orientale della città nel 1967.
◆ Il 22 maggio il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha nominato il generale di divisione David Zini come nuovo capo del servizio di sicurezza interno Shin bet, sfidando la giustizia e una parte consistente della società israeliana. La procuratrice generale dello stato Gali Baharav-Miara ha definito la nomina “illegittima e illegale”. Il precedente capo dello Shin bet, Ronen Bar, aveva aperto un’inchiesta su alcuni funzionari legati a Netanyahu, sospettati di aver ricevuto tangenti dal Qatar. Afp, Bbc
Mancanza di idee
Il governo israeliano si è affrettato a usare questa narrazione poco dopo che due dipendenti dell’ambasciata israeliana a Washington sono stati uccisi la sera del 21 maggio da un uomo che inneggiava alla “liberazione della Palestina”. Il ministro degli esteri israeliano Gideon Saar ha affermato che dietro quel crimine, caratterizzato come antisemita, c’era l’istigazione “dei dirigenti e dei leader di numerosi paesi e organizzazioni internazionali, soprattutto in Europa”.
Si può supporre che il governo israeliano cercherà di sfruttare gli omicidi per recuperare credito al livello internazionale, anche presso gli Stati Uniti, che recentemente hanno dato segni di frustrazione. “Queste orribili uccisioni, evidentemente motivate dall’antisemitismo, devono finire, ora!”, ha scritto il presidente statunitense Donald Trump sulla piattaforma social Truth.
Resta da vedere se Netanyahu riuscirà ad approfittare dell’attentato per riconquistare favori all’estero e per placare la collera della popolazione. È una strategia che potrebbe rivelarsi complicata, dal momento che si moltiplicano le decisioni percepite dall’opinione pubblica israeliana come attacchi allo stato di diritto.
“Il compito a Netanyahu è facilitato dal fatto che l’opposizione non ha un progetto né un’idea chiara su come affrontare la questione palestinese”, commenta Foucher. “I progetti di Yair Golan su Gaza non sono diversi da quella di Netanyahu, almeno per quanto riguarda i passi da compiere verso la fine della guerra”. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1616 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati