Le politiche francesi in materia di consumo di alcol sono molto meno severe rispetto a quelle sul tabacco. Questo “doppio standard” non è giustificabile. Anche se i consumi sono in calo dagli anni sessanta, la Francia è uno dei paesi in cui si beve di più: 10,35 litri di alcol all’anno per ogni abitante con più di 15 anni. Eppure è la seconda causa prevenibile di morte per cancro, responsabile di 28mila nuovi casi e di 41mila decessi all’anno. Il suo costo sociale raggiunge i 102 miliardi di euro. È anche, come spesso si dimentica, una delle principali cause di violenza: si stima che l’alcol sia coinvolto nel 30-40 per cento delle condanne.

Medici, specialisti e operatori chiedono da anni una seria politica di salute pubblica. Ma sotto la pressione della lobby del vino – quasi 550mila posti di lavoro diretti e indiretti – le autorità che finanziano il mese senza tabacco non hanno mai sostenuto l’iniziativa “gennaio sobrio”, lanciata in Francia nel 2020. Anche alcune convinzioni sono dure a morire: per esempio che il consumo moderato sia privo di rischi, o che non tutti gli alcolici siano uguali. Così, quando nel 2018 la ministra della salute osò dichiarare che “il vino è un alcolico come tutti gli altri”, assimilandolo ai superalcolici, Emmanuel Macron si fece avanti: “Bevo vino a pranzo e a cena” e annunciò che, finché sarà presidente, non ci sarà “nessun inasprimento della legge”. Nel novembre 2024 il senato ha discusso una serie di emendamenti per aumentare le tasse sull’alcol. Sono stati tutti respinti. “La posta in gioco economica supera quella sanitaria”, aveva dichiarato rassegnata la senatrice socialista Laurence Rossignol. Mickaël Naassila, dell’Istituto nazionale di sanità e ricerca, ripete instancabilmente: “Abbiamo bisogno di un piano che promuova la prevenzione e dia ai consumatori informazioni adeguate. E dica la verità: l’alcol uccide”. ◆ sm

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Questo articolo è uscito sul numero 1621 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati