La cartagloria è un oggetto liturgico con tre tabelle che riportano preghiere e orazioni, posto sull’altare, che serviva al sacerdote durante la messa in latino. Rosa Matteucci s’inserisce tra le pagine del romanzo familiare e del memoir, piegandole, insieme al sacro, al ritmo del tragico e del comico. Libro dalla lingua seriosa e dall’andatura spassosa, Cartagloria racconta le disavventure spirituali di una figlia. La narratrice descrive così, non troppo drammaticamente, l’approdo alla vita: “È stato sempre una battaglia di Austerlitz; la mia infanzia fu una sanguinosa, interrotta lotta all’arma bianca dove la sceneggiatura voluta da Dio non prevedeva armistizio, ritirata, resa al nemico”. La scrittura di Cartagloria appare la vera protagonista, ma forse ancor più lo è il tempo: nella sua totale assenza in una lingua che però non s’impolvera; nel racconto di frammenti legati al tramonto di un’epoca. Dall’India a Lourdes seguiamo la protagonista mentre calca una via crucis del sacro alla ricerca di un posto nel mondo o forse di un altare. Tutto comincia infatti sul sagrato della prima comunione, “senza famiglia, indegna di ricevere Gesù”. La accompagniamo nella ricerca, come fossimo pure noi uno dei cagnolini con cui è cresciuta, senza sapere bene dove ci condurrà, e alla fine resta il sospetto di non scoprirlo mai, ma di essere stati – come davanti a un gioco di prestigio – molto creduloni. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati