Nel 2019, a 46 anni, ho divorziato e ho cominciato a fare più sesso e in modo più soddisfacente di quanto avrei immaginato. Era impossibile prevedere che la fine di una relazione di più di vent’anni avrebbe segnato l’inizio di una nuova stagione di intenso erotismo: sarei stata matta a pensarlo. Ero nel pieno della mezza età, con due figlie piccole, alcune malattie croniche e un conto in banca ormai nelle mani degli avvocati divorzisti. La mia carriera era in stato comatoso, e dopo anni passati in città più grandi ero tornata a Montreal, la mia città di origine, dove vivevo la solitudine di chi esce da una relazione che ha definito quasi metà della sua vita. Poi è arrivata la pandemia.

E invece. All’inizio pensavo fosse solo la mia storia, bella e insolita. Tornare a una vita sessuale attiva a quasi cinquant’anni è stato stranamente naturale, come quando riascolti una vecchia canzone e ricordi ancora ogni parola. E c’erano i nuovi “rituali”: preparavo cenette sontuose, compravo lingerie improbabile, e facevo finta di avere sempre whisky giapponese in casa, come se fosse un’abitudine. Ma soprattutto mi accorgevo che ero diventata più brava a fare sesso, e che questo era merito dell’età. Avevo meno inibizioni, meno complessi e più amore per me stessa rispetto ai miei più tonici 24 anni. E la cultura del sesso, nel 2020, sembrava più curiosa, più accogliente. Gli stupri ai primi appuntamenti e i professori viscidi che avevano segnato i miei anni novanta erano solo un brutto ricordo; le molestie in ufficio e le demenziali cerette integrali dei primi duemila erano acqua passata. Niente più paura di restare incinta, né ansia di trovare in fretta qualcuno con cui fare dei figli. Quel che restava sembrava un privilegio: c’era il desiderio, e la libertà di soddisfarlo.

A quanto pare però non era solo la mia storia. A cinque anni dal divorzio, è chiaro che il mio percorso intimo fa parte di qualcosa di più grande, una narrazione collettiva che appartiene in modo particolare alle donne della mia generazione. I mezzi d’informazione lo confermano con implacabile frequenza.

Qualche mese fa il catalogo Netflix mi ha proposto una selezione di film chiamata “Donne che si godono la vita”, piena di storie di signore di mezza età che fanno sesso senza remore, non per disperazione, ma perché hanno finalmente capito come funziona. Nel 2024 sono usciti non uno, ma due film in cui una Nicole Kidman (58 anni) elegante e affermata intreccia una relazione con un uomo molto più giovane, e uno in cui lo stesso succede a Laura Dern (58). Gillian Anderson (56) ha pubblicato Want, una raccolta di fantasie sessuali femminili; Glynnis MacNicol (51) ha scritto I’m mostly here to enjoy myself (Sono qui per godermela), un memoir di successo su un viaggio a Parigi per scopare; Molly Roden Winter ha firmato More, un libro esplicito sul suo matrimonio aperto. E poi c’è A quattro zampe, il romanzo culto di Miranda July: una folle stravaganza sessuale di mezza età che il New York Times ha definito “il primo grande romanzo della perimenopausa”.

Naila Ruechel

Sembra essersi affermata una nuova figura culturale. Niente a che vedere con la rappresentazione tradizionale della sessualità femminile dopo “una certa età”, che, a giudicare dagli studi, sarebbe roba deprimente. Fino a poco tempo fa la ricerca sull’invecchiamento delle donne era dominata da quella che i sociologi chiamano “la prospettiva dell’infelicità”: un modello secondo cui tutto peggiora con l’età, complici malattie croniche e precarietà economica. Un quadro sconfortante della sessualità femminile a cinquant’anni: un elenco di problemi che va dalla libido in calo ai rapporti dolorosi, fino all’atrofia vaginale e alla perdita di sensibilità al seno. Pure gli studi sul carico di cura che potrebbe travolgere i nuovi partner: se hai un figlio di dieci anni, o un genitore ultraottantenne in una casa di riposo (o entrambi), è improbabile che tu vada in giro a cercare biancheria sexy da indossare a letto. E se aggiungiamo che gli uomini spesso preferiscono partner più giovani, lo scenario è ancora più avvilente.

Eppure quest’anno mi sono guardata intorno e ho visto tutt’altro. Le donne che conosco non sono un campione rappresentativo, certo, ma qualcosa dicono. Due amiche hanno lasciato il marito perché insoddisfatte della loro vita sessuale. Un’altra ha scelto il poliamore. Due, sulla cinquantina, stanno con partner trentenni; altre, come me, sono divorziate e stanno esplorando territori sessuali mai battuti prima.

L’appiattimento dell’eros

Nessuna nega di riscontrare degli elementi di verità in quegli articoli sulla “prospettiva dell’infelicità”, ma non descrivono le nostre vite attuali. E lo dico perché ogni volta che una di noi deve affrontare un’ablazione dell’endometrio per sanguinamenti infiniti, o un’isterectomia per fibromi grandi come pompelmi, o accoglie in casa un genitore anziano o i figli del nuovo compagno, la domanda che sorge, inevitabile, è sempre: che effetto avrà sulla mia vita sessuale? Ho cominciato a pensare a questo gruppo di donne come a piante perenni resistenti. Con le giuste condizioni, anno dopo anno, le perennial continuano a fiorire. Così succede per la perennial sessuale, ancora ben radicata in una vita erotica a un’età in cui magari avrebbe dovuto svanire o appassire.

Naila Ruechel

Tutto questo è ancora più sorprendente se pensiamo che sul piano culturale il sesso fisico sta svanendo. Uno dei dati più emblematici negli Stati Uniti di oggi è quello sul calo dell’attività sessuale della generazione Z e dei millennial. La colpa di questo declino è in genere attribuita allo stile di vita contemporaneo: l’atomizzazione delle relazioni sociali; gli antidepressivi che possono annientare la libido; i social media che offrono intrattenimento infinito, anche nelle serate più noiose in cui si potrebbe fare altro; il porno sempre disponibile, che propone aspettative distorte su come avviene il sesso di persona e un’alternativa più semplice. Per i giovani genitori l’intensità dell’educazione moderna dei figli prosciuga la vita sessuale. Per gli adolescenti, ossessionati dalla sicurezza personale e psicologica, il desiderio di essere immuni da ogni disagio può appiattire l’erotismo proprio dove potrebbe prosperare.

L’anno scorso ho anche visto un sondaggio che, a un primo sguardo, sembrava suggerire che le persone tra i 45 e i 55 anni facessero sesso più spesso di quelle tra i 18 e i 24. Jean Twenge, ricercatrice specializzata nelle differenze generazionali e autrice di diversi bestseller, è scettica. Eppure da analisi più approfondite tratte soprattutto dai dati del General social survey raccolti dal 1989 al 2022 è emersa con chiarezza una certa audacia erotica nella fascia di mezza età. Se si guarda alla frequenza sessuale tra i vari gruppi di età, si nota un dato interessante intorno al 2007: tra i 18 e i quarant’anni comincia un calo costante che, nel decennio successivo, diventa una discesa in picchiata. Gli adulti di oggi fanno il 30 per cento di sesso in meno rispetto ai coetanei dei primi anni duemila. Il calo riguarda tutte le età. Ma una generazione, nella sua mezza età, vive una caduta dell’attività sessuale meno marcata. Sulla base degli stessi dati, dice Twenge, “il calo per la generazione X è piuttosto contenuto”. Solo il 9 per cento.

Le perennial sessuali di questa generazione non rientrano nei soliti archetipi di donne mature, come la cougar o la milf, etichette svilenti, nate dallo sguardo maschile, che le collocavano ai margini del desiderabile. Solo ora la cultura pop comincia a proporre nuove immagini per loro, mentre quelle del passato appaiono datate, perfino grottesche. L’energia delle perennial non consiste nel rifugiarsi in una nicchia di conforto dopo la giovinezza. È, piuttosto, una postura di potere, la scelta di fregarsene sempre di più delle aspettative man mano che si invecchia. Mi piacerebbe credere che questo cambiamento sia definitivo, che la cultura stia finalmente facendo spazio alla sessualità delle donne mature. Ma non riesco a scrollarmi di dosso l’impressione che ciò che stiamo vedendo sia il risultato delle caratteristiche specifiche di una generazione di donne con esperienze formative molto diverse da quelle delle precedenti e successive: un gruppo che ha cominciato ad avere rapporti sessuali prima di ogni altra categoria documentata, donne rimaste single più a lungo rispetto ai genitori e che continuano ad avere una vita sessuale nonostante il declino generale. Non credo sia un caso che quelle di cui ho parlato finora facciano parte della generazione X, nate tra il 1965 e il 1980.

Cosa stiamo preparando per le nostre figlie, e sarà qualcosa di positivo?

Educazione analogica

La X, una generazione relativamente breve rispetto ai millennial (nati tra il 1981 e il 1996) o la Z (fine novanta inizio duemila), “ha in qualche modo schivato il proiettile”, mi ha detto Twenge. Intendeva che, mentre il nostro secolo solitario e definito dagli smartphone ha colpito la libido di tutti, alcuni ne sono stati plasmati, altri solo toccati. Quando il ventunesimo secolo è cominciato, gran parte della generazione X aveva già formato le sue abitudini sessuali. E forse è per questo che nella mezza età si sta rivelando la più sexy di sempre. “Si può dire”, ha detto Twenge, “che la X è l’ultima generazione sexy”.

Io sono nata circa a metà del periodo citato, nel 1973. Come molti coetanei ho perso la verginità presto, nel mio caso a quindici anni. Quando nel 2007 è arrivato l’iPhone e il declino della sessualità statunitense è diventato visibile, avevo 34 anni ed ero sessualmente attiva da quasi due decenni. La mia educazione sessuale era completamente analogica, cioè umana ed esplorativa, perché non esisteva un’alternativa. Internet era appena nato, i computer avevano schermi verdastri lampeggianti, e il porno non era ancora una presenza costante; se lo volevi, dovevi cercarlo in posti pubblici imbarazzanti (le edicole) o inquietanti (le salette dietro le tende a perline, i cinema sordidi). Perciò ho imparato a conoscere il sesso un po’ dappertutto: nelle case dei ragazzi, nel campo vicino alla scuola, nel retrobottega della boutique dove lavoravo, nei locali dove entravo con documenti falsi. Oggi, come madre di due figlie delle quali conosco la posizione in ogni momento, ripenso alla mia adolescenza con un certo stupore: avevo genitori e patrigni, eppure la mia infanzia mi sembra decisamente “alla Pea­nuts”, popolata di adulti assenti. Ricordo una giovinezza trascorsa ovunque, in biblioteche, piscine, parchi, caffè, metropolitane, in mezzo a gruppi casuali: ragazzi che conoscevo, altri no, ragazzi tranquilli e ragazzi problematici. Ci si aspettava che imparassimo da soli a gestire queste dinamiche interpersonali, quel grande mistero che sono gli altri.

Adulte troppo presto

C’è chi ha definito la X una generazione “dimenticata”; oppure l’ha etichettata come “trascurata” da genitori il cui egocentrismo sessantottino aveva trasformato i figli in poco più che un fastidio. Ma quel tipo di genitorialità alla buona sembra essere dipesa tanto dalle circostanze quanto da una scelta consapevole. Mia madre lavorava, era divorziata ma, a differenza delle famiglie di epoche precedenti, non poteva contare su nessun appoggio intergenerazionale per badare a me quando non era a casa; e a differenza di oggi non c’era nessun dubbio sul fatto che mio padre non si sarebbe fatto vedere quando finiva la scuola, né esistevano programmi scolastici pomeridiani per famiglie come la mia. Come tanti altri della mia generazione, tornavo a casa da sola, avevo le chiavi e guardavo Tre cuori in affitto con una scatola di cracker Ritz. Buona parte di noi ha imparato presto a cavarsela da sola. In un certo senso, la generazione X è stata l’ultima a essere cresciuta così, prima che nuovi standard di sicurezza e idee diverse sulla responsabilità genitoriale facessero dei figli una presenza più centrale nella vita quotidiana degli adulti.

Per le donne quella tenacia si sarebbe rivelata utile negli anni novanta, il decennio in cui è diventata adulta la maggior parte di chi oggi è nella mezza età. Ricordo che la prima volta che feci sesso corsi a casa per chiamare un’amica e raccontarle la novità. C’era un vero senso di sollievo nell’avvicinarsi all’età adulta, una cosa che desideravamo tantissimo senza renderci conto che era anche perché eravamo state buttate fuori troppo presto dall’infanzia (negli anni novanta il tasso di gravidanze adolescenziali era un problema non da poco, ed è calato del 78 per cento dal 1991 al 2022).

All’epoca m’interessava poco che, mentre stavamo facendo sesso, il tipo in questione fosse entrato a forza dentro di me. Quella parte era spiacevole, certo, ma mi sembrava abbastanza normale. Ripensandoci, mi sembra assurdo non aver capito di essere stata stuprata. Anche quando, qualche anno dopo, ho cominciato a sentire parlare di “stupro da appuntamento”, ricordo di essermi sentita un po’ lagnosa, o quasi un’impostora, a considerarmi una vittima. All’epoca andai avanti e finii per trovare una sorta di casa e famiglia nella scena queer dei nightclub. Non è che il sesso mi piacesse poi tanto, ma avevo molte relazioni, e se qualcosa andava storto con un preservativo, o in caso di una “penetrazione a sorpresa”, andavo in un ambulatorio a prendere la pillola del giorno dopo o a fare un test per le malattie sessualmente trasmissibili, come se stessi ordinando un caffè particolarmente spaventoso. Nel 1991, quando avevo diciotto anni e stavo cominciando l’università, facevo parte di una voguing house (comunità legate alla cultura delle ballroom che per molte persone queer sostituivano la famiglia) che vinse la prima gara di vogue a Montreal. Nel 1992 due dei cinque membri della house erano morti di aids, e uno era sieropositivo. Se penso al sesso in quegli anni, “divertimento” non è la prima parola che mi viene in mente.

Come molti coetanei ho perso la verginità presto, nel mio caso a quindici anni

Nel suo libro The naughty nineties (I terribili novanta) David Friend cita Kathleen Hanna, frontwoman della band riot grrrl Bikini Kill, che in un’intervista al New York Times raccontava il suo femminismo anni novanta dicendo che non si era limitata a sbattere contro il soffitto di cristallo: ci aveva premuto sopra i seni nudi. Con quella spavalderia sfrontata e disobbediente, la frase di Hanna incarna perfettamente lo spirito dell’epoca, eppure oggi fa sobbalzare: non sarebbe stato meglio restare vestita? Ma come dimostra Friend, il sesso impregnava ogni centimetro della cultura degli anni novanta, fino ai più alti vertici del potere: le macchie di sperma di Bill Clinton nello studio ovale o Carlo d’Inghilterra che dice all’amante Camilla Parker-Bowles che avrebbe voluto essere il suo tampax. L’atmosfera di emancipazione sessuale e girl power stava diventando sempre più di massa, ma la cultura intorno restava ben radicata in un sessismo da fumetto, con sigaro in bocca, degno di un’altra epoca. Le donne erano ancora incastrate nei ruoli sessuali più prevedibili: o a difendersi da uomini famelici, oppure, con il passare del decennio, a comparire in film e riviste come ninfette scatenate che non ne avevano mai abbastanza.

Quando finii l’università, avevo ormai integrato la mia storia sessuale piuttosto accidentata in una forma di femminismo spaccone e duro come l’acciaio, alla Camille Paglia. Questa maschera di sarcasmo era quasi obbligatoria nel giornale di Montreal dove lavoravo, e dove ho sopportato più di una riunione seduta sulle ginocchia del mio caporedattore. Non era un ambiente che mettevo in discussione. Ricordo che fantasticavo su come coltivare e incarnare una sorta di posa da maschiaccio fatale, impregnata di noia esistenziale, un tipo di femminilità ironica, disincantata, da “ne ho viste troppe”, che era sinonimo di stile e credibilità. Le donne cool non si lamentavano; alzavano gli occhi al cielo. Questa corazza protettiva era ciò che garantiva a quell’ambiente di funzionare indisturbato.

Non voglio suggerire che la perennial di oggi sia solo il risultato di tanta confusione formativa. Il punto è che l’attuale panorama sessuale, meno tossico e meno dominato dagli uomini, può sembrare un posto particolarmente accogliente, quasi indulgente, per le donne che hanno vissuto quell’epoca. Anche se la frequenza dei rapporti sessuali è calata tra i giovani, sono però anche loro ad aver contribuito a creare un mondo sessuale più gentile e più aperto, che mira ad accettare tutti i corpi e mette in discussione i generi, che promuove la cultura del consenso e riconosce ogni tipo di desiderio. Di fronte a tutto ciò, la donna della generazione X (me inclusa) dopo il divorzio potrebbe sentirsi su un altro pianeta, più accogliente. Era pronta per combattere in una giungla indossando un tubino, e ora, così tanti anni dopo, si trova in un castello gonfiabile uterino dove non solo si celebrano gli orgasmi, ma se ne parla anche in modo approfondito.

Fattori fortuiti

Come in tanti film su Netflix, l’ascesa della perennial sembra una danza intergenerazionale, una mescolanza di valori di generazioni diverse. In tanti memoir, film e serie tv le donne più grandi hanno relazioni con uomini più giovani. Non si tratta di un’ossessione da cougar; sembra più serendipità. E oltre al fatto che ora si possono comprare stimolatori clitoridei in farmacia e che anche gli uomini più insensibili sanno ormai che non possono infilarsi dentro di te senza il tuo consenso, la stessa possibilità di vivere come una perennial nasce da una serie di fattori fortuiti. Il primo: ci sono donne che si sono trovate libere dal matrimonio nella mezza età (nel 1980 l’età media del primo divorzio era intorno ai trent’anni; nel 2020, circa quaranta). Ci sono donne più istruite e con stipendi più alti che mai. Donne robuste a livello interpersonale, che ora riescono ad affrontare il sesso con più leggerezza, perché l’hanno attraversato in forme molto più complicate quand’erano giovani. E ci sono donne che, sotto molti aspetti, sono immuni alle forze annichilenti del ventunesimo secolo, perché, sessualmente e socialmente, si sono formate prima.

Quasi ogni donna con cui ho parlato per questo articolo, da Gillian Anderson alle vecchie amiche, ha detto di sentirsi in un periodo di transizione straordinario. “È come se, ora, le luci fossero accese”, ha detto Anderson. “Siamo pronte. E non è solo questione di non smettere, vogliamo farlo di più, forse c’è anche una sete di farlo proprio ora”. Anch’io ho visto la mia libido cambiare con la menopausa, come il desiderio sfrenato e la lubrificazione automatica che avevo anche solo quattro anni fa, oggi richiedono uno sforzo maggiore. A volte, nei giorni in cui ho dolori senza motivo e le pieghe tra il naso e gli angoli della bocca mi fanno sentire una triste tricheca, e i miei genitori sono arrabbiati con me per motivi che solo loro sanno, e i miei figli chiedono sempre più tempo davanti agli schermi, e il lavoro e lo stress sono a livelli che perfino una doccia sembra una meta lontana, anch’io mi sento più a mio agio nella prospettiva dell’infelicità.

Il senso di fugacità è incluso nel gioco, e questo potrebbe rendere l’esperienza di essere sessualmente attive nella mezza età ancora più speciale. Ciò che non deve essere fugace è l’effetto che questa nuova apertura potrebbe avere sulle generazioni più giovani. Quando ho divorziato mi sono spesso domandata come le mie due figlie percepissero la mia vita, chiedendomi se trovassero strana la mia “rivitalizzazione romantica”, una cosa che non pensavo potesse rimanere del tutto nascosta. Ero diversa dalla madre sposata e appiattita che avevano conosciuto. E sapevo, per la mia esperienza da figlia di divorziati, quanto ciò che accade ai genitori dopo una separazione possa influenzare il modo in cui un bambino vede l’età adulta. Ho riflettuto molto su questo: quali messaggi sulla vita, sull’età e sulla femminilità stanno ricevendo le mie figlie? Questa è forse la domanda cruciale per le perennial di oggi: cosa stiamo preparando per le nostre figlie, e sarà qualcosa di positivo?

Naila Ruechel

Alcuni aspetti del modello che stiamo costruendo sono preoccupanti, perché sembra infatti connesso, o quantomeno si sviluppa in parallelo, al fatto che oggi le cinquantenni, incluse quelle famose, possano apparire come mai prima d’ora: scolpite, luminose, toniche, con lunghe chiome, pelle senza rughe, addominali piatti e denti abbaglianti. Questi standard sono estenuanti per chiunque, ma per chi è nella mezza età lo sono ancora di più. Non importa quanto ci si ami, non credo ci sia una donna di cinquant’anni al mondo che non si sia fermata davanti allo specchio in un momento qualsiasi sentendo che una parte del suo corpo si stesse sciogliendo come una candela. Eppure l’idea generale, anche in opere più illuminate, come A quattro zampe di Miranda July, è che l’invecchiamento fisico sia qualcosa da affrontare, un ostacolo da superare per essere pronte al sesso. Per la protagonista di July il momento in cui si rende conto che il suo sedere non è più rotondo e sodo, ma lungo, “come un paio di braccia grasse”, la porta a cominciare un regime di esercizi per rassodarlo al punto da renderlo così sollevato da “soffocarla”. Il messaggio è che la perennial funziona solo se si allena. Tutto ciò di cui ha bisogno è denaro, un’incredibile quantità di tempo e impegno, e un’approfondita conoscenza su botox, filler, trattamenti al laser, ormoni bioidentici, trattamenti per i capelli alla cheratina, ringiovanimento vaginale e chissà cos’altro. Questa giovinezza estetica, che promuove una bellezza definita dalle ventenni ma che si fa strada sempre più avanti nell’età, in luoghi sempre più difficili da raggiungere, appare evidente in film come The substance (con Demi Moore a 62 anni) e Babygirl (con Nicole Kidman nei panni di una Romy criogenicamente giovane). Entrambi sembrano criticare il sessismo e l’ageismo, mentre i corpi e i volti giovanili delle protagoniste, i traguardi quasi impossibili di pilates o i ritocchi estetici sembrano recitare un ruolo da coprotagonisti.

Questa è una strada che potremmo percorrere senza pensarci troppo: quella definita dalla giovinezza, come se fosse l’unico posto a cui il sesso appartiene davvero. Potremmo abbracciare un’estetica di privilegio, dividendo le donne che possono e quelle che non possono. Temo, addirittura, che scrivendo su tutto questo, potrei contribuire a creare maggiore pressione, uno standard che fa sentire le donne inadeguate o colpevoli di “invecchiare male” se non fanno sesso o non ne sono interessate. Quello che otterremmo, in questo caso, è confinare le donne all’interno delle stesse vecchie regole per qualche anno in più, prima che siano esiliate, proprio come prima. E forse qualcuno, come le mie figlie, guarderà le cinquantenni con la camicetta sbottonata pensando che le vecchie sono delle imbarazzanti “predatrici”, ancora attaccate alla licenziosità del ventesimo secolo, e che una relativa asessualità sia la migliore opzione.

Ma la perennial in questo momento ha dalla sua qualcosa di molto meglio, che può resistere alle vecchie regole della giovinezza. Ci sono anche ricerche al riguardo: contro la prospettiva d’infelicità legata all’invecchiamento, una nuova scuola chiamata “gerontologia critica” si è concentrata sugli effetti positivi dell’invecchiamento, compreso il miglioramento della vita sessuale delle donne. Secondo Lisa Miller, autrice dello studio del 2019 The perils and pleasures of aging (I pericoli e i piaceri di invecchiare), molte donne di mezza età e oltre stanno trovando la loro “voce sessuale”, sperimentando e rivendicando il diritto di essere soddisfatte. Questo è quello che vedo intorno a me. Queste donne godono dei migliori vantaggi dell’invecchiamento, come preoccuparsi meno degli standard sociali che non hanno più motivo di seguire, o sentirsi meglio nei loro corpi proprio perché ci vivono da tanto tempo. Sarebbe un peccato se questi benefici si rivelassero solo un temporaneo stato di grazia di cui solo una piccola generazione ha potuto godere. Non si tratta solo di estendere le norme della giovinezza. Può avere un significato molto più profondo: un’accettazione che i capitoli della vita, negli ultimi decenni, sono stati rimescolati, e che ora ce ne sono più di prima.

Nuove opportunità

Non sto dicendo che i cinquanta sono i nuovi trenta. Ma che quando i traguardi della vita sono spostati, si aprono nuove opportunità. La mia figlia piccola si stupisce del fatto che io abbia il doppio dell’età di alcune delle madri al parco giochi ma non sembri una nonna. Per mia figlia è difficile da capire: sua madre vive in una categoria senza nome in cui l’età avanza ma su tanti aspetti, dalla vita sessuale a quella lavorativa, c’è una continua trasformazione. Questo potrebbe significare che non andrò mai in pensione. Ma, come dice Anderson, un altro risultato è che sono pronta in tanti modi, modi che ora restituiscono più di quanto esauriscano. Penso che la perennial abbia l’opportunità di dare forma a questa fase e di aiutare a ridefinire come un giorno sarà affrontata dalle donne più giovani. Forse ci saranno due tipi di sesso, per le giovani e per le anziane, e questo darà alle nostre ragazze qualcosa a cui guardare con speranza. ◆ svb

Mireille Silcoff è una giornalista e scrittrice canadese. Ha pubblicato la raccolta di racconti Chez L’arabe (Astoria 2014).

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Questo articolo è uscito sul numero 1624 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati