Nel 1995 la Pepsi organizzò una promozione in cui, raccogliendo dei punti, si potevano collezionare cose Pepsi: per una maglietta ci volevano 75 punti, per un paio di occhiali da sole 175 e per una giacca di pelle 1.450. E chi indossava queste tre cose insieme, come faceva il protagonista dello spot, era un vero fico anni novanta.

Gli autori dello spot, però, avevano deciso di concludere l’annuncio con un pizzico di comicità demenziale, in classico stile Pepsi: il protagonista, sfoggiando la maglietta, la giacca di pelle e gli occhiali da sole, volava a scuola a bordo di un jet Harrier. A quanto pareva, per ottenere l’aereo militare ci volevano sette milioni di punti Pepsi.

Il concetto era semplice: i pubblicitari avevano preso l’idea alla base della promozione e l’avevano ingigantita fino all’assurdo. Di per sé, sarebbe anche stato un buon esempio di umorismo, solo che non avevano fatto bene i conti. Sette milioni sembra senza dubbio un numero molto grande ma, a quanto pare, i pubblicitari non si erano preoccupati di prendere una calcolatrice per assicurarsi che fosse davvero grande abbastanza.

Fu invece qualcun altro a fare questi conti. All’epoca, un jet AV-8 Harrier II costava al corpo dei marines degli Stati Uniti più di venti milioni di dollari. E per fortuna c’era un modo facile per convertire i dollari statunitensi in punti Pepsi, perché l’azienda consentiva a chiunque di comprare punti extra al prezzo di dieci centesimi l’uno. Non ho molta familiarità con il mercato degli aerei militari di seconda mano, ma 700mila dollari per un aereo da venti milioni mi sembra un buon investimento. E questa fu, di fatto, la conclusione a cui arrivò anche John Leonard, che provò a sfruttare l’occasione.

Ma dire che “provò” è riduttivo. Ce la mise tutta. Per partecipare alla promozione bisognava compilare un modulo preso dal catalogo Pepsi Stuff, consegnare un minimo di quindici punti Pepsi originali e includere un assegno per coprire il costo degli eventuali punti aggiuntivi necessari. John fece tutto secondo i termini: usò un modulo originale, si procurò quindici punti di prodotti Pepsi e inviò un assegno di 700.008,50 dollari. Aveva davvero raccolto i soldi! Faceva sul serio.

All’inizio, la Pepsi si limitò a respingere la richiesta: “Il jet Harrier che compare nell’annuncio pubblicitario è semplicemente un espediente di fantasia, inserito per rendere divertente e spiritoso lo spot”. Leonard, però, si era già procurato gli avvocati ed era pronto alla battaglia. I legali scrissero all’azienda: “Con la presente, vi chiediamo formalmente di onorare i vostri impegni e di predisporre subito il trasferimento del nuovo jet Harrier al nostro cliente”. La Pepsi non cambiò idea. Leonard le fece causa e il caso finì in tribunale.

Nel corso del processo si discusse molto sull’esatta natura dell’annuncio pubblicitario: si trattava senz’ombra di dubbio di uno scherzo o era possibile che qualcuno lo prendesse sul serio? Le note ufficiali del giudice riconoscono che la situazione stava diventando ridicola: “In seguito all’insistenza del ricorrente nell’affermare che l’annuncio sembra essere un’offerta seria, la corte si ritrova costretta a spiegare perché si tratta di un’iniziativa spiritosa. Ora, spiegare perché uno scherzo faccia ridere è un’impresa ardua”. Comunque, ci provarono.

Al processo si discusse dello spot: si trattava senz’ombra di dubbio di uno scherzo o era possibile che qualcuno lo prendesse sul serio?

Dal commento del teenager, secondo cui volare a scuola su un Harrier “è decisamente meglio che andarci in autobus”, si evince un’inverosimile superficialità nel considerare le difficoltà e i rischi legati al pilotaggio di un caccia in un’area residenziale, rispetto all’uso dei mezzi pubblici. Nessuna scuola fornirebbe uno spazio d’atterraggio per il caccia di uno studente, o sarebbe disposta a tollerare i disagi arrecati dall’uso del jet.

Alla luce del ruolo ben documentato dell’Harrier nell’attacco e nella distruzione di bersagli aerei e di superficie, nelle ricognizioni armate, nell’interdizione aerea e nelle operazioni antiaeree offensive e difensive, risulta chiaro che la presentazione di questo velivolo come un mezzo con cui andare a scuola ogni mattina non può essere presa sul serio.

Leonard non ottenne mai il suo jet e il processo “Leonard vs PepsiCo, Inc”. ora fa parte della storia della giurisprudenza. Per quanto mi riguarda, mi rassicura sapere che, se dico qualcosa che considero una forma di “comicità demenziale”, c’è un precedente legale che mi tutela da quanti potrebbero prendermi sul serio. E se a qualcuno non piace, che si metta pure a raccogliere un numero di punti Parker sufficiente a ricevere una foto del sottoscritto con un’espressione indifferente (spese a carico del richiedente).

In seguito, comunque, la Pepsi si mosse in maniera da evitare ulteriori problemi e fece un nuovo spot alzando il valore dell’Harrier a settecento milioni di punti Pepsi. Mi sorprende che non avessero scelto questo numero fin dall’inizio: in fondo, non è che sette milioni sia una cifra più divertente, solo che nessuno si era preso la briga di fare i conti al momento di scegliere un numero enorme a caso.

Il fatto è che i nostri cervelli non sono predisposti per lavorare bene con i concetti matematici che trascendono la sfera dell’ordinario. Non fraintendetemi: noi esseri umani nasciamo con una straordinaria gamma di competenze numeriche e spaziali; perfino i bambini piccoli sono in grado di stimare il numero di puntini su una pagina e di eseguire operazioni aritmetiche elementari. Inoltre, veniamo al mondo già equipaggiati per il linguaggio e il pensiero simbolico. Tuttavia, le competenze che ci consentono di sopravvivere e di creare una comunità non corrispondono necessariamente alla matematica formale.

L’aeroporto internazionale di Vienna, Austria, 2010 (Chien-Chi Chang, Magnum/Contrasto)

Quando nasciamo non abbiamo nessuna capacità di comprendere intuitivamente le frazioni, i numeri negativi o altri strani concetti sviluppati dai matematici, ma con il tempo il cervello può lentamente imparare a usarli. Il sistema scolastico di oggi costringe i ragazzi a studiare la matematica e, dopo una sufficiente esposizione, il nostro cervello può imparare a pensare in modo matematico. Ma quando smettiamo di usare queste abilità, torna rapidamente alle sue impostazioni di fabbrica.

Ecco perché la quantità di matematica che usiamo nella società moderna è davvero incredibile e, allo stesso tempo, terrificante. Come specie, abbiamo imparato a esplorare e a sfruttare la matematica per fare cose che vanno oltre quello che i nostri cervelli sono naturalmente in grado di elaborare. Possiamo svolgere compiti di gran lunga superiori a quelli per cui è stato progettato il nostro hardware biologico. Quando operiamo oltre i confini dell’intuizione, possiamo fare cose straordinariamente interessanti, ma allo stesso tempo siamo anche molto vulnerabili. Un semplice errore matematico può passare inosservato e poi avere effetti terribili. Il mondo di oggi è costruito sulla matematica: informatica, finanza, ingegneria. Sono tutte forme differenti di matematica. Per questo, qualunque errore matematico in apparenza innocuo può avere conseguenze bizzarre. Nel libro _ Processo al Pi greco_ presento una raccolta dei miei errori matematici preferiti di ogni epoca. Non sono solo divertenti, ma anche rivelatori: per un istante alzano il sipario per mostrarci la matematica che di norma lavora dietro le quinte della realtà senza che ce ne accorgiamo. È come se, dietro la nostra stregoneria moderna, vedessimo il mago di Oz intento a fare gli straordinari con un abaco e un regolo calcolatore. È solo quando qualcosa va storto che, all’improvviso, ci rendiamo conto di quanto la matematica ci abbia portati in alto. E, di conseguenza, di quanto potrebbe essere pericolosa la caduta. Prendiamo per esempio la storia dell’aliante di Gimli.

Unità di misura

Il carburante degli aerei viene calcolato in termini di massa, non di volume. Le variazioni di temperatura possono infatti provocare espansioni e contrazioni: di conseguenza, il volume occupato dal carburante dipende dalla sua temperatura e non può quindi essere preso come una misura affidabile della sua quantità. Invece la massa rimane la stessa. Il 23 luglio 1983, il volo 143 dell’Air Canada che stava decollando da Montréal per Edmonton, in Canada, secondo i calcoli avrebbe avuto bisogno di almeno 22.300 chilogrammi di carburante (più altri 300 per il rullaggio e il resto).

Un po’ di carburante era avanzato dal volo che lo aveva portato a Montréal, e fu misurato per controllare quanto ne andava aggiunto in vista del volo successivo. Solo che sia il personale di terra addetto alla manutenzione sia l’equipaggio fecero i loro calcoli usando le libbre al posto dei chilogrammi. La quantità di carburante richiesta era espressa in chili, ma loro fecero il rifornimento all’aereo usando le libbre. E una libbra corrisponde a 0,45 chili. Di conseguenza, l’aereo decollò con circa la metà del carburante di cui avrebbe avuto bisogno per arrivare a Edmonton: il Boeing 767 sarebbe rimasto a secco a metà del volo.

Per un incredibile colpo di fortuna, l’aereo doveva però fare scalo a Ottawa, dove i livelli di carburante sarebbero stati controllati di nuovo prima di ripartire. L’aereo atterrò senza problemi, con gli otto membri dell’equipaggio e i 61 passeggeri ignari del fatto che avevano rischiato di rimanere senza carburante durante il volo. È un caso di disastro evitato per un soffio che ci ricorda come l’uso di unità sbagliate possa mettere in pericolo la vita delle persone.

Poi però, per un incredibile colpo di sfortuna, gli addetti che controllarono il carburante a Ottawa fecero esattamente lo stesso errore scambiando libbre e chilogrammi, e l’aereo ricevette l’autorizzazione per il decollo con una quantità di carburante neanche lontanamente sufficiente, che finì del tutto mentre era in
volo.

Così, com’era inevitabile, dopo aver lasciato Ottawa l’aereo finì il carburante durante il volo ed entrambi i motori si spensero

Leggendo questa storia, vi saranno suonati diversi campanelli d’allarme: è talmente incredibile che anche i più creduloni avrebbero dei dubbi. Un aereo avrà degli indicatori che mostrano quanto carburante è rimasto, no? Le automobili li hanno, e se una macchina finisce la benzina semplicemente si ferma, causando un problema fastidioso, ma non letale: vi tocca camminare fino al distributore più vicino. Anche un aereo, se resta senza carburante si ferma, ma prima di fermarsi cade dal cielo per qualche migliaio di metri. I piloti avrebbero dovuto essere in grado di dare un’occhiata all’indicatore del carburante e vedere che era quasi finito. E non stiamo parlando di un aereo leggero con un indicatore inaffidabile: era un Boeing 767 nuovo di zecca, da poco comprato dalla Air Canada. Un Boeing 767 nuovo di zecca… ma con un indicatore del carburante inaffidabile.

Indicatori malfunzionanti

Il Boeing 767 è stato uno dei primi aerei a essere equipaggiato con ogni sorta di dotazione avionica, e in effetti gran parte della cabina di pilotaggio del 767 Air Canada era piena di quadranti elettronici. E molto spesso con le cose elettroniche va tutto benissimo, finché qualcosa non va storto. Dato che a migliaia di metri di quota non si può contare sull’assistenza stradale, nell’aviazione la ridondanza è tutto. Gli aeroplani devono avere con sé i pezzi di ricambio, già montati. L’indicatore elettronico del carburante era collegato ai sensori nei serbatoi attraverso due canali separati: così se i dati che arrivavano da ciascun canale coincidevano, l’indicatore poteva mostrare con sicurezza l’effettivo livello del carburante. I dati provenienti dai sensori nei serbatoi (uno per ciascuna ala dell’aereo) arrivavano a un processore che poi controllava gli indicatori del livello del carburante. Solo che il processore in questione non funzionava bene.

Un volo prima del suo disastroso viaggio, il Boeing 767 si trovava a Edmonton e un tecnico aeronautico certificato, Yaremko, stava cercando di capire perché gli indicatori del carburante non funzionavano. Scoprì che, se disabilitava uno dei canali dei sensori che arrivavano al processore, gli indicatori ricominciavano a funzionare. Così disattivò l’interruttore del circuito di quel canale, lo segnalò mettendoci sopra un pezzo di nastro con la scritta “non operativo” e annotò il problema sul registro. Anche se era in attesa di un nuovo processore con cui sostituire quello difettoso, l’aereo poteva ancora soddisfare i requisiti della Lista dell’equipaggiamento minimo (necessari per volare in sicurezza) se veniva eseguito un controllo manuale del carburante. A quel punto quindi il doppio controllo del carburante era costituito da un indicatore con un solo canale dei sensori e da qualcuno che guardava nel serbatoio e misurava di persona la quantità di carburante prima del decollo.

È qui che torna valida la teoria del “formaggio svizzero”: il disastro passa attraverso i buchi nei diversi controlli che avrebbero potuto identificare e risolvere il problema.

L’aereo fu pilotato da Edmonton a Montréal dal capitano Weir, che aveva frainteso una conversazione con Yaremko e pensava che il problema all’indicatore fosse un vecchio difetto e non qualcosa che si era appena verificato. Così, quando consegnò l’aereo al capitano Pearson a Montréal, gli spiegò che l’indicatore del carburante aveva un problema ma che bastava fare un controllo manuale. Il capitano Pearson, dal canto suo, interpretò questa informazione come se volesse dire che gli indicatori del carburante nella cabina erano completamente fuori uso.

Mentre a Montréal i due piloti erano impegnati in questa conversazione, un tecnico di nome Ouellet stava controllando l’aereo. Non comprendendo il significato della nota scritta da Yaremko riguardo all’indicatore, decise di testarlo di persona, cosa che richiedeva di riattivare l’interruttore. Questo fece spegnere tutti gli indicatori e Ouellet decise di ordinare un nuovo processore, dimenticandosi di disattivare nuovamente l’interruttore. Il capitano Pearson entrò quindi in cabina e vide tutti gli indicatori del carburante spenti e l’interruttore di un canale segnalato come “non operativo”, che era esattamente quello che si aspettava di trovare dopo aver frainteso le parole del capitano Weir. A causa di questa sfortunata catena di eventi, un pilota era pronto a far volare un aereo senza nessun indicatore del carburante in funzione.

il libro

Questo articolo è un adattamento dal libro Humble Pi. When math goes wrong in the real world _(Riverhead 2019), pubblicato in Italia con il titolo _Processo al Pi greco (Rizzoli 2020).


Certo, se la quantità di carburante fosse stata calcolata in modo corretto, non ci sarebbero comunque stati problemi. Ma erano i primi anni ottanta e il Canada aveva appena cominciato la transizione dalle unità imperiali a quelle metriche. Di fatto, i nuovi Boeing 767 furono i primi aerei della Air Canada a usare le unità metriche, mentre tutti gli altri apparecchi della compagnia misuravano ancora il loro carburante in libbre.

A rendere ancora più complicate le cose, per la conversione dal volume alla massa veniva usato un fattore dal nome enigmatico: “gravità specifica”. Se si fosse chiamato “libbre per litro” o “chilogrammi per litro”, il problema sarebbe stato evitato. Invece no. Così, dopo aver misurato in centimetri la profondità del carburante nel serbatoio e aver convertito con successo quel valore in litri, tutti fecero la conversione in peso usando una gravità specifica di 1,77, che indica il numero di libbre per litro di carburante a quella temperatura. Ma la gravità specifica corretta dei chilogrammi per litro sarebbe stata circa 0,8. E questo errore nella conversione fu fatto sia prima di decollare da Montréal sia durante il successivo scalo a Ottawa.

Così, com’era inevitabile, dopo aver lasciato Ottawa l’aereo finì il carburante durante il volo ed entrambi i motori si spensero a pochi minuti l’uno dall’altro. Nella cabina risuonò un segnale d’allarme, bong!, che nessuno aveva mai sentito prima. Io divento ansioso quando il mio computer portatile emette un suono che non ho mai sentito, non posso neanche immaginare cosa provi chi sta pilotando un aereo.

Un talento provvidenziale

Il problema principale quando si spengono entrambi i motori è che – guarda un po’ – l’aereo non ha più potenza per volare. Un problema più piccolo, eppure importante, è che tutti i quadranti elettronici all’avanguardia di cui la cabina era piena avevano a loro volta bisogno di energia per funzionare. E dato che la prendevano direttamente da un generatore collegato ai motori, anche tutta l’avionica si spense. Ai piloti restavano solo i quadranti analogici: una bussola magnetica, un orizzonte artificiale, un indicatore della velocità aerea e un altimetro. Ah, dimenticavo: anche i flap e le alule che normalmente controllano la velocità di discesa prendevano l’energia dai motori, ed erano quindi a loro volta fuori gioco.

Per un colpo di fortuna, il capitano Pearson era anche un esperto pilota di alianti, un talento che si rivelò all’improvviso straordinariamente utile: riuscì infatti a far planare un Boeing 767 per più di 60 chilometri, fino al campo d’aviazione di una base militare dismessa nella città di Gimli. La pista d’atterraggio era lunga solo 2,2 chilometri, ma il capitano riuscì a toccare terra a meno di 250 metri dal suo inizio.

E, per un secondo colpo di fortuna, il carrello d’atterraggio frontale non scese: l’attrito del muso dell’aereo sul terreno poté così ridurne provvidenzialmente la velocità, consentendo al velivolo di fermarsi prima di raggiungere il termine della pista (con grande sollievo delle persone radunate in tende e caravan nell’area retrostante, che all’epoca era usata per le gare di dragster).

C’è un particolare da tenere presente quando si spengono tutti i motori di un 767: l’aereo diventa molto più silenzioso. Diverse persone si spaventarono a morte quando videro un jet di linea materializzarsi all’improvviso sulla pista d’atterraggio dismessa, come se fosse uscito dal nulla. Diventò famoso come il Gimli glider, l’aliante di Gimli.

Fu infine ritirato nel 2008 e ora si trova in un centro di smaltimento per aerei in California. Un’intraprendente azienda ha comprato alcune sezioni della sua fusoliera e vende targhette per i bagagli fatte con il metallo del Gimli glider. Immagino che l’idea alla base di questa trovata commerciale è che, dato che l’aereo ha avuto la fortuna di sopravvivere a una situazione così pericolosa, il semplice fatto di possederne una parte dovrebbe essere di buon auspicio. Va però detto che la stragrande maggioranza degli aerei, oltre a non schiantarsi, non deve neanche fare atterraggi d’emergenza; quindi, a dirla tutta, il Gimli glider potrebbe portare sfortuna.

A ogni modo, ho comprato un pezzo della fusoliera e l’ho attaccato al mio computer portatile, che ora non sembra bloccarsi né più né meno del solito. ◆ dd

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Questo articolo è uscito sul numero 1369 di Internazionale, a pagina 110. Compra questo numero | Abbonati