Il 21 maggio la Corte di giustizia dell’Unione europea ha ordinato alla Polonia di sospendere i lavori nella miniera di lignite di Turów, a pochi passi dal confine con la Germania e la Repubblica Ceca. La decisione è arrivata in seguito a una denuncia presentata da Praga per danni ambientali. La Repubblica Ceca sostiene che la miniera inquina le sua falde acquifere e accusa il governo polacco di aver prorogato la licenza dell’impianto fino al 2044 senza consultare i paesi confinanti, come previsto dalle norme europee. Falliti i negoziati diplomatici, i cechi si sono rivolti alla giustizia europea.

Alcuni osservatori ritengono che un compromesso sia possibile in tempi brevi. Il procedimento giudiziario potrebbe infatti trascinarsi per mesi, se non anni, costringendo la miniera a rimanere inattiva. Per il governo di Varsavia è un problema serio: Turów, infatti, alimenta la quarta centrale polacca, che fornisce fino al 7 per cento dell’elettricità del paese.

A prescindere dall’esito, la controversia è utile per capire l’approccio dell’Europa centrale alla transizione verde, già in corso in occidente. Il piano di rilancio dell’Unione europea investe molto sulla tutela del clima: Bruxelles chiede che il 37 per cento dei fondi sia usato per progetti che riducano le emissioni di gas serra. Ma tra i piani nazionali ci sono differenze evidenti. Repubblica Ceca e Polonia, per esempio, non si avvicinano nemmeno lontanamente alla soglia del 37 per cento.

Secondo diversi centri studi e ong, i paesi entrati per ultimi nell’Unione europea pensano che per loro realizzare le nuove politiche verdi sarà particolarmente gravoso, in quanto sono ancora alle prese con i problemi ereditati dal passato comunista e con le trasformazioni industriali seguite al cambio di regime. Šimon Batík, analista della rete Cee Bankwatch , ha riassunto in tre punti le ragioni dell’arretratezza della regione sulle politiche ambientali: scarso coinvolgimento dei cittadini; mancanza di visione strategica su come usare i fondi in arrivo; investimenti insufficienti nelle cosiddette soluzione basate sulla natura. La verità è che i cittadini centroeuropei non sono interessati a questi temi, come dimostra il caso di Turów. Il problema della miniera è molto sentito nella regione colpita, ma a Praga nessuno se ne cura. In Polonia, invece, Turów è considerata un pilastro della sicurezza energetica nazionale e della stabilità sociale a livello locale.

Inoltre, sta salendo il prezzo delle quote che i produttori devono acquistare sul mercato per poter emettere CO2 oltre determinati limiti, come stabilito dai meccanismi europei. Produrre energia dal carbone è quindi sempre più costoso. Esattamente come succede a Turów.

L’ultimo spauracchio

Le divergenze negli approcci europei alla rivoluzione verde non sono riconducibili a una spaccatura tra est e ovest. Come ha dimostrato uno studio dello European council on foreign relations, i paesi dell’Unione non si dividono in due campi contrapposti, ma “formano gruppi in cui posizioni e interessi si sovrappongono”. Tuttavia le disparità regionali esistono. Secondo un sondaggio di Eurobarometro, solo il 17 per cento dei cechi e il 15 per cento dei polacchi considerano la questione ambientale il problema più pressante, contro il 31 per cento dei tedeschi.

Il green deal europeo, che punta ad azzerare le emissioni nette entro il 2050, è un piano ambizioso, legato alle nuove tecnologie e all’economia sostenibile. Come dimostra il caso di Turów, però, è difficile farlo accettare a persone che solo da pochi anni sono uscite dal caos delle trasformazioni economiche dopo il 1989. Con la transizione all’economia di mercato ancora incompleta, molti abitanti dell’Europa centrale considerano il green deal l’ennesima minaccia, imposta stavolta nel nome dell’“ideologia ambientalista”.

Non tutti capiscono che le economie dell’Europa centrale devono cambiare radicalmente se vogliono garantire una prosperità a lungo termine alla loro popolazione. Per non parlare poi dei rischi legati al cambiamento climatico. ◆ as

Martin Ehl è un giornalista ceco, scrive sul quotidiano Hospodářské noviny.

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Questo articolo è uscito sul numero 1412 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati