Mentre scrivo Aleksej Navalnyj, figura di punta dell’opposizione al regime di Vladimir Putin, sta lottando per la vita dopo essere stato avvelenato a Tomsk, il 20 agosto. Molti sono convinti che a ordinare l’attentato sia stato il Cremlino, ma la scomoda verità è che sotto Putin in Russia l’omicidio politico non è più monopolio dello stato.
Certo, non è escluso che la colpa sia del Cremlino. Considerato il fastidio di Mosca per le mobilitazioni in Bielorussia, il suo timore per le recenti proteste contro il governo a Chabarovsk, nell’estremo oriente russo, e il risentimento mostrato dai russi di provincia verso il potere centrale, con il suo impegno a livello locale Navalnyj potrebbe aver superato la linea rossa che delimita le forme di opposizione accettabili per il potere. D’altra parte lo stesso Navalnyj ha sempre sostenuto di essere in vita solo perché da morto avrebbe rappresentato un problema ancora più serio per il regime. Forse aveva ragione. Tra l’altro è chiaro che le autorità sono state colte di sorpresa. Prima i medici hanno ammesso la presenza di un veleno, poi hanno detto che si era trattato di un calo di zuccheri. La polizia ha cercato di sminuire la vicenda, e solo in seguito ha ammesso la presenza di tracce chimiche insolite. Inizialmente si è detto che Navalnyj non poteva volare perché rappresentava un pericolo per gli altri, poi perché non era sicuro per la sua salute. I notiziari hanno subito dichiarato che non c’era stato nessun avvelenamento, poi hanno detto che i colpevoli erano gli statunitensi o i britannici.
L’incompetenza e l’incoerenza sono comuni al Cremlino e tra le forze di sicurezza russe. Tuttavia, più che l’avvelenamento dell’ex spia Sergej Skripal nel 2018 nel Regno Unito, il caos attuale ricorda l’omicidio dell’oppositore Boris Nemtsov nel 2015, commesso da sicari ceceni. All’epoca giravano diverse versioni contrastanti e l’indagine fu insabbiata appena emersero i primi segnali del coinvolgimento del presidente ceceno Ramzan Kadyrov. A quel punto Putin scomparve dalla scena per due settimane, forse incapace di scegliere tra un intervento deciso contro i ceceni e la paura di scatenare una nuova guerra, e Kadyrov se la cavò con poco più di un rimprovero. Lo stesso è successo nel 2017 con la fine politica del ministro dello sviluppo economico Aleksej Uljukaev, orchestrata da Igor Sečin, capo dell’azienda petrolifera di stato Rosneft. Anche in quel caso Putin è apparso in difficoltà e alla fine ha lasciato correre.
Questo è uno degli effetti collaterali del sistema in vigore nella Russia di Putin, dove la benevolenza del presidente è la risorsa più preziosa e gli incarichi formali sono molto meno importanti della possibilità di risultare utili al capo. Putin non è un maniaco del controllo. Al contrario, preferisce fissare obiettivi di largo respiro e lasciar intendere quali siano i suoi desideri. Così personaggi ambiziosi e cinici operano basandosi su quale pensano sia la volontà di Putin o giustificando i propri interessi in quanto coincidenti con quelli dello stato.
Nel caso di Navalnyj i potenziali nemici non mancano. È possibile che il mandante sia qualcuno su cui Navalnyj stava indagando, convinto che il Cremlino avrebbe perdonato un’azione diretta contro un personaggio sgradito. O un esponente politico che temeva la strategia elettorale di Navalnyj a livello locale, basata sul principio del voto utile. O ancora qualche pezzo grosso del sistema, che non deve preoccuparsi di cosa pensa un presidente indebolito e comunque considera scontata la sua indulgenza.
◆ L’oppositore russo Aleksej Navalnyj ha avuto un grave malore sull’aereo che il 20 agosto lo stava riportando dalla città di Tomsk, in Siberia, a Mosca. Il caso è subito sembrato un avvelenamento. Dopo due giorni di ricovero in Russia, con i medici che hanno più volte cambiato versione sulle sue condizioni, Navalnyj è stato trasferito in coma farmacologico all’ospedale della Charité a Berlino. Non è più in pericolo di vita, ma gli esami hanno confermato la presenza di tracce di avvelenamento; la sostanza usata è una potente neurotossina.
Al momento non abbiamo certezze. Dalla vicenda emerge però uno degli aspetti più preoccupanti del sistema di Putin, soprattutto in una fase in cui il presidente non sembra in grado di ricoprire il ruolo del capo che prende le decisioni e tiene a bada i suoi seguaci più sanguinari.
Uno stato che uccide fa paura, ma di solite le sue linee rosse sono ben definite e alla fine i responsabili sono assicurati alla giustizia. Uno stato che permette a una serie di elementi di uccidere con impunità è ancora più pericoloso, perché le sue linee rosse possono essere invisibili e i colpevoli molto più difficili da individuare. ◆ as
Mark Galeotti _ è un professore e analista politico britannico. Il suo ultimo libro è We need to talk about Putin _ (Ebury 2019).
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Questo articolo è uscito sul numero 1373 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati