Sul campo di battaglia politico e finanziario del settore bancario italiano la vittoria era in cantiere da mesi. Ad aggiudicarsela, l’8 settembre, sono stati gli alleati del governo della presidente del consiglio di estrema destra Giorgia Meloni. Ora si apre un nuovo capitolo nella finanza italiana, un settore in piena espansione. Monte dei Paschi di Siena (Mps), una banca che è stata per lungo tempo in difficoltà, guidata dall’amministratore delegato Luigi Lovaglio, ha ottenuto il 62 per cento delle azioni dell’istituto di credito Mediobanca, storico centro di potere milanese, che un tempo serviva da contrappeso al capitalismo di stato italiano. L’operazione è avvenuta con l’assenso del governo italiano che attraverso il ministero dell’economia e delle finanze, con l’11,7 per cento delle azioni, è stato finora il primo azionista della Mps.

La conclusione è arrivata dopo l’offensiva, sempre sostenuta dal governo, della holding Delfin, che rappresenta gli eredi di Leonardo Del Vecchio, fondatore della fabbrica di occhiali Luxottica, e dell’imprenditore immobiliare ed editore Francesco Gaetano Caltagirone, presenti nel capitale di Mps e di Mediobanca con una somma di quote che si avvicina al 30 per cento.

Lotta di potere

È stato fatto un passo decisivo verso la costituzione di un nuovo “polo bancario” voluto dall’esecutivo per fare concorrenza ai due giganti Unicredit e Intesa San Paolo. All’orizzonte c’è la volontà di avere il controllo di Generali, l’importante compagnia assicurativa italiana di cui Mediobanca è il primo azionista con il 13 per cento delle quote. Che lo si voglia interpretare come l’esito di una lotta di potere tra Roma e Milano o come la volontà della classe dirigente vicina a Meloni e ai suoi alleati di fare irruzione nel mondo ovattato della finanza, gli sviluppi di questa vicenda sono considerati una prova di forza.

L’operazione finanziaria per avere il controllo di Mediobanca ha radici lontane. All’inizio è stata il frutto di una convergenza di interessi tra due investitori, sostenuta poi dal governo. Sul fronte privato l’iniziativa nasce da un’alleanza tra il defunto Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone, ai danni del presidente e amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel. I due alleati, entrambi importanti azionisti di Mediobanca, erano uniti dall’ostilità verso Nagel, criticato per le sue scelte strategiche.

Alleanza innaturale

La volontà di Del Vecchio di assumere il controllo di Mediobanca risaliva al 2018 e si è poi tradotta in un’unione con Caltagirone per avere una maggiore influenza su Generali, di cui sono entrambi azionisti (rispettivamente con il 9,9 e l’8 per cento), e sfidando il primato di Mediobanca, che dipende da Generali per circa un terzo dei suoi ricavi. Per Caltagirone Generali è un potenziale investitore cruciale del settore immobiliare, su cui l’imprenditore ha costruito la sua fortuna, visti i 36,7 miliardi di euro di asset gestiti da Generali real estate nel primo trimestre del 2025.

Sul fronte pubblico, la vicenda s’intreccia con quella di Mps. L’istituto bancario senese, fondato nel 1472 e considerato il più antico del mondo, rischiava di scomparire a causa di scelte disastrose, ma nel 2017 il ministero dell’economia e delle finanze l’ha salvat0 con un intervento di ricapitalizzazione. La banca, azionista di Mediobanca, una volta rimessa in sesto è stata scelta come veicolo per le ambizioni della coppia Delfin-Caltagirone su Mediobanca e dunque su Generali. I due investitori hanno così acquisito una parte del pacchetto azionario ceduto dallo stato nel novembre 2024, per poi annunciare nel gennaio 2025 l’offerta pubblica di scambio (uno dei sistemi per acquistare una banca) di Mps su Mediobanca.

La posta in gioco è cruciale per il governo di Roma, dato che Generali è uno dei principali acquirenti del debito pubblico italiano

Nagel aveva tentato di sventare l’offensiva provando ad acquistare Banca Generali, un istituto di gestione patrimoniale controllato da Generali, la cui acquisizione avrebbe dovuto rendere Mediobanca una preda troppo grande per Mps. Ad agosto di quest’anno, però, gli azionisti di Mediobanca hanno bocciato l’iniziativa, lasciando campo libero agli appetiti di Roma. Il beneplacito di cui hanno potuto usufruire Delfin e Caltagirone, che è anche un potente editore con note simpatie per l’estrema destra, contrasta con l’ostilità subita dal colosso bancario Unicredit. Il governo aveva infatti ostacolato le ambizioni espansionistiche di Unicredit nei confronti di Banco Bpm (Banca popolare di Milano), esercitando forti pressioni che a luglio l’hanno costretto a rinunciare al progetto.

Il sostegno politico di cui gode l’operazione di Mps basterà a garantirne il successo finanziario? Alcuni ne dubitano, sia a Roma sia a Milano, evidenziando, oltre a metodi aziendali considerati incompatibili, anche un’alleanza innaturale tra due realtà con attività troppo diverse: la fornitura di servizi e prodotti finanziari a privati e piccole imprese (banca retail), che domina le attività di Mps, da una parte, e l’esperienza di Mediobanca nel settore del credito, dall’altra.

“Il piano è razionale ma l’esecuzione sarà molto delicata: bisognerà preservare il marchio Mediobanca e la sua immagine presso le grandi aziende, evitare la fuga dei banchieri d’affari e chiarire la governance”, avverte Stefano Caselli, che insegna Economia degli intermediari finanziari all’Università Bocconi di Milano.

“Non vedo sinergie significative, soprattutto perché l’integrazione in Mps complicherebbe le attività di investimenti di Mediobanca, privandola della sua autonomia decisionale e rendendola quindi meno credibile al livello internazionale”, osserva Mario Comana, professore di economia dei mercati e degli intermediari finanziari all’università Luiss di Roma, che aggiunge: “Spero che l’autonomia di Generali, un tempo garantita da Mediobanca, non sarà compromessa”.

La posta in gioco è alta per il governo di Roma, dato che Generali è uno dei principali acquirenti del debito pubblico italiano (135,3 per cento del pil), di cui alla fine del 2024 possedeva 35,6 miliardi di euro in obbligazioni. Si tratta quindi di un soggetto strategico che potrebbe essere considerato troppo esposto agli interessi di gruppi esteri, dai quali il governo intende tenere lontani i risparmi degli italiani.

A prescindere dagli ostacoli ancora presenti, i movimenti in corso hanno già comportato un rallentamento dell’intesa annunciata a gennaio tra Generali e la banca francese Bpce per unire le due divisioni investimenti. In origine prevista per la fine dell’estate, l’intesa definitiva sarà conclusa “un po’ più tardi” a causa del “contesto italiano”, fanno sapere alla Bpce. L’amministratore delegato francese di Generali, Philippe Donnet, nel 2022 ha rischiato di essere sfiduciato da parte del gruppo Del Vecchio e da Caltagirone.

Conquistare Milano

Nel foyer della Scala, un’altra istituzione del potere milanese e ancora oggi uno dei teatri lirici più prestigiosi d’Europa, Giorgio La Malfa, 85 anni, di cui trentanove trascorsi alla camera dei deputati, milanese, due volte ministro, figlio di Ugo La Malfa, politico che fece la resistenza e che è stato un pilastro della repubblica italiana, osserva con particolare attenzione il nuovo mondo che emerge avendo conosciuto bene il vecchio. La Malfa fa un ampio gesto che parte dalla sala del bar, dal lusso discreto, e abbraccia piazza della Scala, dove c’è la sede del comune di Milano, vicino alle sedi di Mediobanca e di Generali. “Roma ha sempre visto questo mondo come un’entità straniera da conquistare. Vogliono prendere Mediobanca per conquistare Milano, il paese e mantenere il potere il più a lungo possibile”, avverte.

Secondo il Financial Times, l’amministratore delegato di Mediobanca Nagel potrebbe dimettersi durante il prossimo consiglio di amministrazione, fissato per il 18 settembre. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati