Il 23 agosto, quindicesimo giorno delle proteste scoppiate dopo le elezioni presidenziali in Bielorussia, 150 mila persone si sono riversate nel centro di Minsk per manifestare contro il presidente Aleksandr Lukašenko. Inizialmente si sono radunate in piazza dell’Indipendenza, poi si sono dirette verso il monumento agli eroi della seconda guerra mondiale. Alcuni si sono avvicinati al palazzo dell’Indipendenza, residenza di Lukašenko, sul cui tetto il presidente è poi atterrato in elicottero, imbracciando un mitra. A una settimana esatta dalla marcia civile per la libertà, che aveva raccolto più di duecentomila persone solo a Minsk, in molti aspettavano questa nuova mobilitazione per capire quanta gente avrebbe partecipato.
Comincia il corteo
Bastano poche fermate di metropolitana per controllare sull’app Telegram le notizie sulla disposizione delle forze dell’ordine in città, lettura di routine in quest’estate bielorussa. Non sono state prese misure particolari, se si esclude la barriera di filo spinato intorno al monumento agli eroi, dove la settimana prima si erano raccolti i manifestanti. Alla vigilia della protesta il ministro della difesa Viktor Chrenin ha ammonito che l’esercito avrebbe difeso il monumento da qualsiasi attentato alla sua integrità.
Delle colonne di persone si formano subito in via Nemiga, una delle strade più antiche del centro. In un sottopassaggio pedonale un uomo con la chitarra e la bandiera sulle spalle canta una canzone, mentre alcuni ragazzi cercano di avvolgersi nella bandiera bielorussa.
Anche nel parco pubblico intitolato al poeta polacco Adam Mickiewicz, non lontano dal palazzo del Kgb, c’è una gran folla. Al braccio del poeta qualcuno ha legato un nastro rosso e bianco, i colori della Bielorussia, ai suoi piedi ci sono dei fiori bianchi. Passando accanto alla prigione centrale della città, un centinaio di persone grida “Libertà!”, “Rilasciateli!” e “A processo!”, contro i colpevoli della repressione violenta. Per terra qualcuno ha scritto “Libertà per i prigionieri politici”.
All’imbocco del viale dell’Indipendenza ci sono due camionette coperte da un telone con scritto “Persone”. Dietro si vede un’auto bianca con la scritta “Soccorso medico”: sono i mezzi con cui durante gli scontri dei giorni scorsi le forze dell’ordine si sono infiltrate nei cortei. I manifestanti provano a guardare negli abitacoli, ma i volti sono nascosti da maschere nere. Il marciapiede è già pieno, così alcune persone camminano sulla strada. Subito arriva l’auto della polizia stradale che gli ordina di tornare nello spazio per i pedoni.
Per rendersi conto della grandezza della mobilitazione i manifestanti salgono sulle fioriere di granito e si prendono qualcuno sulle spalle: “La folla è enorme, non se ne vede la fine”, dice chi sta di vedetta. Il grido “Viva la Bielorussia!” si alterna a slogan contro Lukašenko. Dagli uffici del consiglio dei ministri qualcuno cerca di coprire gli slogan con le canzoni sovietiche dei vecchi film di guerra e invita la folla a disperdersi, a non infrangere la legge e non provocare le forze dell’ordine. Ma è impossibile sentire gli appelli ufficiali: appena gli altoparlanti cominciano a gracchiare, la folla comincia a gridare.
Sui cartelli dei manifestanti si legge “Saša (diminutivo di Aleksandr, il nome di Lukašenko), sei un bullo!”. Accanto alla chiesa dei santi Simeone ed Elena una donna con un fazzoletto in testa tiene in mano un’icona e un cartello con la scritta “non uccidere”.
La gente costeggia la chiesa, l’edificio del governo, l’università statale e il palazzo del consiglio dei ministri scandendo il nome delle città presenti al corteo nella capitale: Soligorsk, Brest, Grodno. Una donna grida “Chabarovsk!”, la città russa che di recente è stata teatro di proteste contro il potere. Si vedono anche un paio di cartelli con scritto “Navalnyj vivi!”.
Slogan e libertà
Alle 15.28 tra la folla si diffonde la notizia che alle 15.30 ci sarà un minuto di silenzio in memoria dei manifestanti scomparsi. L’informazione gira veloce e all’ora stabilita una magia: in piazza silenzio di tomba e mani tese al cielo che fanno il gesto della vittoria. Da lontano si sente solo un grido: “Lukašenko è nella camionetta!”. Ma le persone sorridono e mantengono il silenzio. A interromperlo c’è solo l’altoparlante del ministero: i manifestanti stanno violando le leggi sull’ordine pubblico. La folla lascia passare qualche secondo e poi comincia a gridare “Vergogna, assassini” e “La polizia ci dia delle risposte”. In coda al corteo ci sono delle camionette. Alle 15.40 una colonna di persone coperte dalla vecchia bandiera bielorussa – una striscia rossa tra due bianche – si dirige verso gli agenti. Qualcuno fa l’appello, scherzando sul modo in cui Lukašenko ha bollato i manifestanti: “Drogati?”. “Presenti!”. “Fannulloni?”. “Presenti!”. “Prostitute?”. “Presenti!”.
Intorno alle 16 comincia un passaparola che invita a muoversi verso il monumento agli eroi. Qualcuno però ha dubbi, perché sa che l’area è presidiata dai militari. Ma l’obiettivo è solo avvicinarsi. “Se hai paura, non andare”, dice una ragazza a un’altra. Qualcuno scherza: “Ma Saša si fa vedere?”. Altri scandiscono nuovi slogan: “Non dimentichiamo, non perdoniamo”, “Saša, sei licenziato!”. La folla comincia a muoversi lungo il viale dell’Indipendenza. Accanto alla pensione Minsk c’è un anziano veterano in uniforme da parata. Alla sua sinistra e alla sua destra degli uomini tengono in mano cartelli con su scritto: “Siamo contro la violenza e i dittatori” e “Lui ha perso”.
Su un tavolino pieghevole sono disposti fazzoletti, pomodori e altri spuntini per i manifestanti. All’incrocio tra viale dell’Indipendenza e via Lenin – dove la maggior parte delle persone svolta in direzione del monumento agli eroi e alcuni proseguono dritto verso i bagni del McDonald’s o vanno a comprarsi un panino al supermercato Centralnyj – una signora anziana in preda all’emozione benedice tutti quelli che incontra.
◆ Le proteste in Bielorussia – cominciate subito dopo l’annuncio della vittoria di Aleksandr Lukašenko alle presidenziali del 9 agosto con l’80 per cento dei voti, un risultato frutto di brogli e manipolazioni – non accennano a placarsi. Il 23 agosto, per la seconda domenica di fila, a Minsk più di 150mila persone hanno manifestato contro Lukašenko, al potere dal 1994. Il presidente ha risposto inasprendo la stretta contro l’opposizione e i manifestanti. Alcuni diplomatici e funzionari pubblici che avevano criticato la repressione violenta della mobilitazione sono stati licenziati, e due attivisti dell’opposizione, Olga Kovalkova e Sergej Dylevskij, sono stati arrestati. In quindici giorni gli arresti sono stati più di settemila.
Sul ponte di via Nemiga un giornalista di Radio Free Europe intervista i passanti mentre la gente sventola bandiere bielorusse. Le campane della cattedrale dello Spirito santo suonano e il tempo è perfetto: né troppo caldo né troppo freddo. Qualcuno ha un cartello con la scritta “Il tempo è con il popolo”. A uno dei pilastri del ponte è appesa una scatola di cartone che serve a raccogliere fondi per chi ha subìto le violenze dell’Omon, i reparti speciali antiterrorismo della polizia. Ma dagli sguardi delle persone trapela solo sfiducia. Proprio in quel momento arrivano gli agenti dell’Omon, ma passano sotto il ponte e si allontanano subito.
La folla occupa un’area di qualche chilometro quadrato, da via Nemiga fino al monumento agli eroi. Molti si riposano sui prati. Verso le 19 le persone cominciano ad allontanarsi dal monumento, alcuni tornano in centro, altri si spostano a nord verso il palazzo dell’Indipendenza.
Sull’altro lato della strada un gruppetto di persone cammina sventolando bandiere della Bielorussia, quelle ufficiali, rosse e verdi. Hanno in mano un crocifisso e delle icone. Alcuni manifestanti gli gridano: “Noi vi amiamo”. “Anche noi”, rispondono dall’altro lato della strada. “Ma i simboli lgbt lasciateli stare, anche voi avete dei figli”. In realtà di simboli lgbt non c’è traccia.
“Salve, ragazzi. Io sono Andrej”, dice un giovane a un gruppo di persone all’incrocio tra via Lenin e viale dell’Indipendenza. “Voi dove andate?”.
“Noi siamo come pecorelle. Andiamo dove va la folla”, gli rispondono.
“Io invece me ne vado a zonzo, come un drogato”.
Pian piano le persone si disperdono e lasciano cartelli e striscioni vicino ai sottopassaggi. Uno cita una canzone del gruppo rap russo Krovostok: “Nessuna libertà ai nemici della libertà”. E accanto: “È arrivato il tempo di raccogliere quello che abbiamo seminato”. ◆ ab
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Questo articolo è uscito sul numero 1373 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati