Il 20 gennaio 2025 Christa Núñez, 51 anni, studente all’università statunitense Cornell e madre di tre figli, ha prenotato cinque biglietti di sola andata per il Ghana. “Era il giorno dell’insediamento di Donald Trump”, mi fa notare. In un umido pomeriggio di marzo siamo sedute sulla terrazza dell’appartamento preso in affitto su Airbnb dalla sua amica Davi Mozie, che si è a sua volta trasferita da poco dagli Stati Uniti nel quartiere Osu di Accra, la capitale ghaneana. “Quando ha vinto Trump è stato un momento importante per me”, dice Núñez. “Ho capito che dovevo portare via la mia famiglia. Non volevo trovarmi nel paese mentre la gente lo acclamava”. Per Núñez queste decisioni estreme, anche per motivi politici, non sono una novità. Ha vissuto in California per undici anni, ma “gli incendi si avvicinavano sempre di più alla nostra casa”. Nel 2017 insieme al marito ha comprato una fattoria a Ithaca, nello stato di New York, e durante la pandemia ha fondato una scuola all’aria aperta con la sua “sorella” Mozie, un’ex soldata di 57 anni. Stavano lavorando a un programma di viaggi per portare i bambini neri in Africa quando Núñez ha saputo di aver vinto una borsa di studio Fulbright per studiare le politiche agrarie della popolazione nera. Ha scelto di condurre la sua ricerca in Ghana.

“Il Ghana ha una storia ricca e bellissima”, spiega Núñez, che indossa un abito blu in tessuto wax. “Non solo è uno dei paesi dei miei antenati, ma ha anche un legame stretto con gli afroamericani in generale”. Frequentando una chiesa affiliata alla sua congregazione di Ithaca, ha trovato subito una comunità e oggi trascorre le giornate immersa negli archivi di biblioteche e siti storici. I suoi figli, di 16, 13 e 7 anni, studiano in una scuola internazionale nel quartiere benestante di East Legon, insieme a ragazze e ragazzi del posto e stranieri. “Amano andare al mare”, racconta. “Sono nella squadra di nuoto. Escono con gli amici. Vanno a mangiare la pizza, si danno appuntamento sul nostro terrazzo. Fanno la stessa vita di prima, ma non in una fattoria”.

Il Ghana è sempre stata una destinazione allettante per la diaspora nera: dopo l’indipendenza dal Regno Unito, nel 1957, il primo presidente, l’affascinante e influente Kwame Nkrumah, invitò alcune importanti figure della comunità afroamericana a visitare il paese. All’attivista e storico W.E.B. Du Bois propose addirittura di trasferirsi nel paese. A 93 anni Du Bois andò a vivere ad Accra, dove ricevette dallo stato una casa, quattro persone di servizio, due auto e il diritto di cittadinanza. Alla sua morte, nel 1963, fu celebrato con funerali di stato.

Nel 2019 il Ghana ha accolto un numero record di visitatori dopo che l’allora presidente Nana Akufo-Addo proclamò l’“anno del ritorno” per ricordare i 400 anni dall’arrivo dei primi schiavi africani in Virginia. In un discorso a Washington, Akufo-Addo aveva incoraggiato i neri statunitensi a visitare il Ghana e a riconnettersi con i loro antenati dimenticati.

Quell’anno i turisti stranieri hanno raggiunto la cifra record di 1.130.307. Il paese ha continuato a ricevere uno straordinario flusso di viaggiatori, grazie alle iniziative del governo che velocizzano le richieste di visto dall’estero.

Mentre nel gennaio 2025 a Los Angeles imperversavano gli incendi, la sindaca Karen Bass era ad Accra, ospite del neoeletto presidente John Dramani Mahama. Nel 2021, nel pieno delle restrizioni dovute al covid-19, anche il sindaco di New York Eric Adams aveva fatto un viaggio di “pulizia spirituale” molto pubblicizzato. Negli ultimi anni Chance the Rapper, Week Mill, Kendrick Lamar, Dave Chappelle, Stevie Wonder e altri personaggi famosi sono stati in “pellegrinaggio” in Ghana.

Un gruppo più ristretto di neri statunitensi, dopo aver visitato il paese decide di restare per sperimentare come si vive in un paese a maggioranza nera. La presidenza Trump, con tutta la sua animosità, ha fatto da catalizzatore.

Terreni allettanti

Ma questa ondata migratoria non è stata priva di attriti. Dal 2019 alcuni leader locali hanno venduto o ceduto terreni agli “emigranti di ritorno”, a volte senza il consenso degli agricoltori che vivevano su quelle terre. Per triste paradosso le proprietà sul mare vicino alle fortezze da dove partiva la tratta degli schiavi si sono rivelate particolarmente allettanti per gli statunitensi.

Ad Asebu, vicino a Cape Coast, i contadini cacciati dalle loro terre hanno fatto causa a un capo della comunità locale che aveva offerto agli stranieri più di venti chilometri quadrati di terreni dove costruire a prezzi inferiori a quelli nei loro paesi di origine. L’ingiunzione di un tribunale sembra essere stata ignorata e su quei terreni si è continuato a costruire. Farsi una casa in Ghana può costare tra i quindicimila e i trentamila dollari. Per i nuovi arrivati come Núñez non è detto che l’esperienza sia come l’avevano immaginata, ma i vantaggi saltano all’occhio. “Negli Stati Uniti per me è normale sentirmi trattare da estranea, anche se sono a casa mia”, spiega Núñez. Ora, invece, “sto facendo i conti con l’idea di trovarmi in Africa e di sentirmi come una che torna a casa, ma restando comunque una straniera”.

Come Maya Angelou

Shannan Magee, che preferisce essere chiamata Nana Akosua – il nome che le è stato attribuito da un consiglio di capi tradizionali ghaneani per i suoi “contributi significativi” – vive nel paese da più di vent’anni. Akosua, cinquant’anni, è arrivata per la prima volta nel 2003 con una borsa di studio Fulbright, ma già l’anno dopo si è trasferita da Atlanta ad Accra quasi stabilmente. Oggi, oltre a fare da consulente per gli studenti ghaneani che fanno domanda per le università statunitensi, presiede la African-American association of Ghana, che aiuta i neri statunitensi a stabilirsi nel paese africano. “Non ne possono più di tutte le stronzate che sono costretti a sopportare negli Stati Uniti e cercano un po’ di tranquillità”, spiega.

Mi chiede se ho letto All god’s children need traveling shoes, quinto volume dell’autobiografia della poeta e attivista per i diritti civili Maya Angelou, uscito nel 1986, sui tre anni trascorsi ad Accra poco dopo che il paese si era liberato dal dominio coloniale inglese. “Leggendolo, ti sembrerebbe che sia scesa dall’aereo la settimana scorsa”, dice Akosua. È un viaggio nell’Accra degli anni sessanta, il periodo d’oro della collaborazione tra emigrati rivoluzionari – che si erano battuti per i diritti civili negli Stati Uniti ed erano partiti per vedere di persona la nascita di una giovane democrazia nera – e i loro colleghi africani. Angelou, che lavorava in un’università locale, racconta la gioia di vivere tra i ghaneani –“ben presto sono stata travolta da un’adorazione per il Ghana, come una ragazzina che s’innamora, incurante e senza la possibilità di essere ricambiata” – e la sincera frustrazione nel rendersi conto di quanto loro fossero indifferenti alla presenza dei neri statunitensi – “Il nostro arrivo ha avuto un impatto solo ed esclusivamente su di noi. Scrutavamo i ghaneani e ben pochi di loro se ne accorgevano. I nuovi arrivati nascondevano la delusione in rapidi botta e risposta e battute a denti stretti”.

Oggi, nota Akosua, “non è cambiato niente”. Ad attirare gli afroamericani in Ghana è il desiderio romantico di trovarsi in un luogo dove tutti sono neri e il razzismo degli Stati Uniti sembra lontano. “La gente cerca l’euforia africana”, spiega. Per Akosua e molti altri questo significa prendere parte alla vita notturna di Accra. Il _ detty december_, la serie di feste ed eventi pubblici organizzati a dicembre ad Accra e nella vicina Lagos, in Nigeria, è diventato un appuntamento imperdibile. I neri arrivano ad Accra da tutto il mondo. Le feste nei locali possono durare fino alle nove del mattino, con esibizioni di musicisti famosi africani e statunitensi.

“Non c’è la polizia, nessuno che ti picchia. Nessuno che ti spara”, dice Akosua. “Puoi semplicemente divertirti: i locali non chiudono all’una o alle due. È un cambio totale di paradigma”.

E poi si può vivere agiatamente a costi inferiori. A West Legon, un quartiere chic che attira gli stranieri, Akosua paga 350 dollari al mese per una casa di 270 metri quadri con cinque camere da letto e quattro bagni. “Se fossi a New York ne pagherei tremila o quattromila, mentre qui con questa cifra puoi vivere un anno intero in un alloggio con ottimi servizi”.

Ad attirare gli afroamericani in Ghana è il desiderio romantico di trovarsi in un luogo dove tutti sono neri e il razzismo sembra lontano

Questi sono tutti vantaggi, certo, ma per Akosua il momento in cui ha deciso di dividersi tra il Ghana e gli Stati Uniti è arrivato dopo una nottata di festa ad Accra nel 2004 quando si era addormentata nell’auto che la stava portando a casa. A un posto di blocco i poliziotti l’avevano svegliata e chiesto se stava bene e si erano assicurati che non fosse stata drogata. Non avevano lasciato ripartire l’auto prima di essere certi che fosse in buone mani. Anche il Ghana ha i suoi problemi di violenze della polizia e nel 2023 ci sono state proteste contro le forze dell’ordine. Akosua, però, è convinta che i poliziotti statunitensi non sarebbero stati altrettanto attenti alla sua incolumità. Ha visto molti afroamericani arrivare in Ghana e nel giro di poche settimane cercare delle sistemazioni per periodi più lunghi. “Le persone hanno dei buoni motivi per venire qui”, osserva Akosua. “Scappano da qualcosa, o magari cercano qualcosa. A volte entrambe le cose”.

Pochi giorni dopo aver parlato con Akosua ho visitato il castello di Elmina, una delle vecchie fortezze degli schiavi, con un gruppo di turisti afroamericani. Costruito nel 1482 sulla costa del Ghana come base commerciale portoghese, è un edificio di pietra su due livelli battuto dalle intemperie, tenuto insieme da mura puntellate e rinforzi di metallo. La principale porta d’ingresso conduce a un ampio cortile dove si aprono le celle buie in cui si vedono ancora i graffiti lasciati dalle persone ridotte in schiavitù. “Le pareti e il pavimento sono stati conservati”, spiega Frederick Mensah, una delle guide del castello. La cella ha un pungente odore chimico. Nelle segrete sono state lasciate ghirlande di fiori da statunitensi, lettere di scuse da turisti portoghesi e bottiglie di liquore da visitatori dei Caraibi per omaggiare gli antenati. Alla fine della visita Mensah ci ha chiesto di sostenere la sua libreria mobile di volumi sulla storia della schiavitù.

Nel 1979 l’Unesco ha dichiarato il castello di Elmina patrimonio dell’umanità per il suo ruolo centrale nella tratta transatlantica degli schiavi. Anche per questa storia buia, la fortezza di Elmina e quella di Cape Coast, che dista dodici chilometri dal centro della città, sono diventate mete turistiche molto popolari. “Questi sono i terreni migliori”, ha detto Morris, un’altra guida turistica, spiegandoci che gli afroamericani sono attirati dalla vicinanza con quelli che ai suoi occhi non sono castelli, ma prigioni. Un turista voleva sapere quanto costassero i terreni. Morris dubitava che ce ne fossero ancora di disponibili, ma supponeva che il costo si aggirasse sui sei dollari al metro quadro.

Hanna Atiase, fondatrice della E. Wells realty & consultancy, una grande agenzia immobiliare ghaneana, ha intravisto quasi subito l’opportunità di capitalizzare l’interesse dei neri americani per Cape Coast. Nata in Ghana, è vissuta negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Etiopia e in Kenya prima di tornare nel paese d’origine nel 2013. Ha fondato l’agenzia nel 2014 e nel suo portfolio annovera anche i terreni tanto desiderati lungo la costa di Cape Coast, oltre a proprietà di lusso da affittare nelle zone più ricercate di Accra, come Osu, North Ridge e Cantonments. Quasi il 90 per cento dei clienti di Atiase appartiene alla diaspora nera o è straniero. Dice di capire l’interesse a possedere terre in Ghana: “Si diventa proprietari di un pezzo della propria storia e di un posto dove puoi tornare dicendo: ‘Sì, è da qui che sono stati strappati i miei antenati’”.

Allo Zen garden di Accra, Ghana, gennaio 2025 (Francis Kokoroko, The New York Times/Contrasto)

Alcuni progetti immobiliari rivolti alla diaspora devono ancora partire. Sono molto ambiziosi. Atiase mi ha inviato i disegni di condomini di sette piani di fronte al mare, con giardini sul tetto e una grande piscina, circondati da chilometri di sabbia. In un rendering di Wakanda-One city of return, una comunità di reinsediamento di Cape Coast annunciata nel 2020, si vedono torri dall’aspetto futuristico ispirate al film Black panther.

Atiase si stupisce quando le chiedo se la sua agenzia abbia ricevuto proteste dai residenti di Cape Coast. “Stiamo creando posti di lavoro. Recluteremo molte persone per la costruzione e anche dopo, perché apriranno ristoranti, negozi, gallerie”. Sul suo sito i prezzi delle proprietà sono in dollari: monolocali da 160mila dollari e terreni a partire da 30mila dollari.

Nel frattempo ad Accra i giovani fanno i conti con la crisi degli alloggi. Ama Asantewa Diaka, un’artista neo soul di 36 anni, si lamenta di frequenti aumenti dell’affitto nel corso degli ultimi anni. Diaka, che ha vissuto negli Stati Uniti prima di tornare in Ghana, sostiene che il problema non sono gli statunitensi. “Gli afroamericani si stabiliscono qui da decenni”, dice. A preoccuparla è piuttosto l’atteggiamento predatorio di immobiliaristi e proprietari.

Non c’è solidarietà

Ci sono state proteste contro complessi come il Pan-African village di Asebu, dove gli abitanti del posto si sono opposti allo sfratto. Ma sono rare.

“L’atteggiamento ambivalente dei ghaneani è dovuto ai benefici derivanti dal boom turistico. Questo crea una specie di miopia”, osserva Yaw Atuobi, ricercatore di trent’anni che lavora per la Foundation of contemporary art. Atuobi vive ad Ashaley Botwe, a circa trenta minuti da Accra. Nel suo quartiere alcune parti del lungolago che in precedenza erano accessibili sono state acquistate da un immobiliarista: “La gente ne parla, fa qualche commento, ma non c’è solidarietà”. Quando gli ho parlato una seconda volta mi ha detto che stava traslocando perché il proprietario di casa aveva rescisso il contratto d’affitto.

Núñez ha deciso di trascorrere la metà dell’anno nella fattoria di Ithaca e l’altra metà nei dintorni di Accra. Núñez e Mozie non si considerano turiste ma neanche “migranti”. Quando le ho chiesto se pensavano di comprare casa, Núñez ha risposto di sì, ma ha ribadito che avrebbero dovuto farlo in un modo coerente con le sue convinzioni riguardo all’esproprio dei terreni.

Quando il Ghana e il Ciad hanno giocato una partita delle qualificazioni ai Mondiali di calcio del 2026, Núñez e i suoi familiari sono andati allo stadio per tifare Ghana. Mentre guidava per andare alla stadio ha abbassato i finestrini e ha scandito slogan insieme alla folla: “Nemmeno mi piace il calcio. Non sono una tifosa. Ma c’era una bella atmosfera”. Mentre parliamo sul terrazzo di Mozie, le due donne indicano un ristorante che vorrebbero provare. Stanno programmando un viaggio nella regione del Volta verso la fine dell’anno. Entrambe hanno fatto domanda per la cittadinanza ghaneana. ◆ gim

Kéchi Nne Nomu è una scrittrice e poeta nigeriana che vive a New York. Collabora con giornali di tutto il mondo.

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Questo articolo è uscito sul numero 1630 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati