Anovembre del 2020, nel pieno dell’autunno, Mat Binnicker ha cominciato a prepararsi per un inverno difficile. Negli Stati Uniti il sars-cov-2 aveva già infettato tredici milioni di persone e lui e i suoi collaboratori – alla Mayo Clinic di Rochester, nel Minnesota – temevano l’arrivo della stagione influenzale, quando ogni paziente con febbre e tosse avrebbe avuto bisogno non di uno ma di due test diagnostici.

Determinati ad anticipare il pericolo, i ricercatori avevano lavorato instancabilmente per sviluppare un nuovo test per l’influenza. Il 1 dicembre hanno cominciato a sottoporre a test tutti i pazienti con sintomi respiratori. Nei due mesi seguenti migliaia di persone sono risultate positive al sars-cov-2, mentre il numero di quelle colpite dall’influenza non è aumentato: il laboratorio ha eseguito ventimila test influenzali – dieci volte di più rispetto alla stagione precedente – e nessuno è risultato positivo. “È straordinario”, dice Binnic­ker. “Noi anche quest’anno ci aspettavamo la classica influenza stagionale”.

La tendenza è stata la stessa nel resto degli Stati Uniti e in tutto il mondo. Mentre il sars-cov-2 si diffondeva rapidamente, l’influenza e gli altri virus respiratori si affievolivano. Dall’inizio dell’autunno negli Stati Uniti sono stati analizzati circa 800mila campioni per l’influenza, e solo 1.500 (lo 0,2 per cento) sono risultati positivi. Nello stesso periodo dell’anno precedente, i casi positivi erano quasi cento volte di più. A metà della stagione influenzale tra il 2019 e il 2020 i tassi di positività avevano raggiunto picchi del 25/30 per cento, colorando le mappe sulla diffusione dell’influenza negli Stati Uniti di rosso e di arancione, colori che indicano una forte diffusione del virus. Oggi queste mappe sono quasi completamente verdi, segnalando una diffusione minima.

Stiamo vivendo la stagione influenzale più tranquilla della storia recente, e i vantaggi sono evidenti. Meno casi di influenza significano meno decessi, meno ricoveri in ospedale e meno operatori sanitari e addetti di laboratorio oberati di lavoro: una boccata d’ossigeno per un paese colpito duramente dal nuovo coronavirus. Ma questa situazione ha anche dei risvolti preoccupanti. Senza casi da studiare, i ricercatori sono rimasti a corto di dati essenziali per sviluppare i vaccini e prevedere la prossima ondata influenzale. I virus che causano l’influenza non si sono estinti: sono temporaneamente finiti in clandestinità, e nessuno sa dire con precisione quando e come torneranno.

Frontiere chiuse al virus

Così, i tanti laboratori che per mesi avevano temuto il peggio si sono ritrovati in una situazione di calma inquietante. Questa quiete ha spiazzato i ricercatori non solo per via del confronto con le tipiche stagioni influenzali, ma anche rispetto alla pandemia. “Qui in Arizona il covid-19 si sta diffondendo rapidamente,” dice Erin Graf, direttore di microbiologia clinica alla Mayo clinic in Arizona, “e avrei detto che se le persone possono ammalarsi di covid-19 possono prendere anche l’influenza”. Questi virus si trasmettono più o meno nello stesso modo, attaccano più o meno le stesse parti del corpo e causano più o meno gli stessi sintomi. Ma da novembre la squadra di Graf ha trovato solo un caso positivo al virus dell’influenza su settemila test, mentre i positivi al sars-cov-2 sono stati seimila su quarantamila test. Il Seattle flu study ha ottenuto risultati simili: due positivi su seimila test. “È incredibile”, dice Helen Chu, un’immunologa ed epidemiologa dell’università di Washington, che dirige lo studio.

Di recente hanno smesso di circolare anche altri virus respiratori – tra cui il virus respiratorio sinciziale, quelli parainfluenzali e perfino altri coronavirus che provocano il comune raffreddore – che di regola alzano la testa in questo periodo dell’anno. La situazione negli Stati Uniti non è unica. È stata osservata anche nell’emisfero meridionale, dove l’inverno va da giugno ad agosto, con paesi e città del Sudamerica, dell’Africa e dell’Australia che hanno registrato pochissimi casi d’influenza. Ma gli scienziati faticano ancora a comprenderne il perché.

Gelsenkirchen. Germania, 10 febbraio 2021 (Martin Meissner, Ap/Lapresse)

Quasi sicuramente ha influito il fatto che la pandemia di covid-19 ha costretto le persone a modificare i loro comportamenti. L’uso delle mascherine, i lockdown e le altre misure che hanno aiutato a tenere a freno il sars-cov-2 in paesi come l’Australia sembrano aver arginato anche tutti gli altri virus respiratori. I provvedimenti che hanno bloccato i viaggi tra paesi hanno tagliato i canali che consentono ad altri virus di superare le frontiere e provocare nuove ondate epidemiche.

Negli Stati Uniti le misure di contenimento sembrano aver fatto la differenza, anche se l’obbligo di indossare la mascherina e di mantenere le distanze non è stato sempre rispettato. Ma molti uffici erano chiusi, tante persone sono rimaste a casa perché stavano male e i bambini, che tendono a essere molto colpiti dalle influenze stagionali, hanno smesso di andare a scuola. Inoltre, secondo le stime dei centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc), le campagne di sensibilizzazione potrebbero aver portato più persone del solito a vaccinarsi contro il virus influenzale.

Sappiamo da tempo che molte di queste misure sono efficaci per arginare la diffusione dell’influenza. “Ogni anno cerchiamo di aumentare la percentuale di vaccinazione e di convincere le persone malate a rimanere in casa”, dice Ibukun Akinboyo, pediatra e infettivologo all’università di Duke. “Non era mai successo che così tante persone usassero la mascherina, si lavassero le mani e fossero consapevoli dei loro sintomi”.

L’influenza e gli altri virus stagionali potrebbero anche essere bersagli più facili da colpire rispetto al nuovo coronavirus. Per gran parte delle persone questi patogeni sono nemici familiari, perché i loro sistemi immunitari sono abituati ad affrontarli. La riconoscibilità, anche se non è sufficiente a impedire completamente nuove infezioni, fa aumentare la possibilità di organizzare una difesa efficace quando arriva un’altra versione dei virus, come uno strato di corteccia robusta che garantisce a un albero una certa resistenza al fuoco. “Credo che sia uno dei fattori principali”, dice Stacey Schultz-Cherry, virologa e immunologa del St. Jude’s children’s hospital di Memphis, in Tennessee.

Il sars-cov-2, invece, è stato come una scintilla passata dalla natura selvaggia a una popolazione umana totalmente vulnerabile, una nuova fascina di ramoscelli pronta a bruciare. Anche se i sintomi grosso modo sono gli stessi, i virus dell’influenza e il sars-cov-2 sono diversi dal punto di vista biologico. Il secondo sembra diffondersi più facilmente, anche attraverso gli asintomatici, e a quanto pare si trasmette di più attraverso gli eventi “superdiffusori”. Microscopiche differenze anatomiche potrebbero consentirgli di aggrapparsi più facilmente alle goccioline di saliva trasportate dall’aria e renderlo più resistente mentre attraversa lo spazio tra i suoi ospiti.

In questo periodo dell’anno di solito si lavora per individuare i ceppi prevalenti

“L’influenza tende a essere molto meno trasmissibile, e questo significa che è più facile combatterla”, dice Shweta Bansal, ecologa delle malattie alla Georgetown university. “È in parte il motivo per cui al momento ce la stiamo cavando con una risposta imperfetta”. Tutti questi fattori potrebbero aver aperto la strada al nuovo coronavirus, consentendogli di diffondersi a spese di altri virus. Lo scontro potrebbe avvenire direttamente nelle vie respiratorie: i sistemi immunitari tendono a rimanere in guardia per un po’ quando si sono liberati dall’infezione di un virus, rinforzandosi contro l’immediata invasione di un altro. Ma forse questo equilibrio non è destinato a durare a lungo. I virus che si diffondono in una popolazione alla fine possono imparare ad andare d’accordo, magari diventando coinquilini cordiali, scatenando infezioni simultanee nella stessa persona e perfino rafforzandosi a vicenda.

Per ora il mondo sembra aver domato l’influenza, anche se in modo involontario. Una buona notizia in un periodo in cui la vita di tutti è stata stravolta e un sollievo per gli ospedali e i laboratori. Ma questa situazione non durerà a lungo. I virus continuano a circolare, forse molto più di quanto pensiamo, visto che tante persone sono ancora chiuse in casa. E quando useremo meno le mascherine e rispetteremo meno il distanziamento sociale, le infezioni riprenderanno.

Due scenari

Non possiamo evitare una nuova epidemia influenzale, ma possiamo controllarne la tempistica. Se continueremo a evitare gli assembramenti, potremo contenere i danni anche il prossimo anno. Oppure l’influenza e i suoi compagni potrebbero risorgere nelle prossime settimane o nei prossimi mesi. In passato le stagioni influenzali hanno covato sotto la cenere in autunno e all’inizio dell’inverno per esplodere a febbraio. “Potremmo non essere ancora fuori pericolo”, dice Bansal. O, altra ipotesi ancora, se i comportamenti virtuosi dovessero interrompersi d’estate, potrebbe scoppiare un’epidemia fuori stagione.

Secondo Schultz-Cherry, bisognerà osservare soprattutto i paesi che hanno affrontato meglio il covid-19, per capire se quando il sars-cov-2 rallenta gli altri virus riguadagnano terreno. Non sappiamo cosa succederà quando gli esseri umani e l’influenza torneranno a incontrarsi. Ogni stagione influenzale saltata aumenta il bacino di persone che non sono state ancora infettate, compresi i bambini piccoli che potrebbero non aver mai conosciuto questi virus, arbusti nel bosco fiammeggiante del virus. Si prevede che anche tra gli adulti con il tempo l’immunità tenderà a diminuire: senza un promemoria annuale, alcuni sistemi immunitari potrebbero dimenticare come si combatte l’influenza e quindi abbassare la guardia. “La vulnerabilità aumenta”, dice Bansal. Le persone senza immunità o immunodepresse “sono come combustibile per il fuoco dell’influenza. Più combustibile c’è, più sono alte le possibilità di nuove epidemie.

Inoltre l’influenza, quando tornerà, non sarà necessariamente la stessa di quella che era. I virus influenzali tendono a cambiare forma e sono in grado di mutare o di scambiarsi segmenti dei loro genomi con straordinaria velocità, riuscendo a diffondersi in tutta la popolazione su base quasi annuale. La prossima ondata influenzale potrebbe essere più debole o più forte; potrebbe essere un ceppo già familiare ai nostri sistemi immunitari oppure abbastanza sconosciuto da provocare scompiglio.

Da sapere
Un anno particolare
Diffusione di quattro virus nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, differenze tra il 2020 e il periodo 2015-2019. Numero di test positivi, migliaia Nel grafico del rhinovirus l’aumento dei casi potrebbe essere dovuto al fatto che sono stati eseguiti più test del solito. (fonte: nature)

Negli anni “normali” questi scenari sono un po’ più facili da prevedere, grazie a una rete ben oliata di centri di monitoraggio disseminati in tutti gli Stati Uniti. In questo periodo dell’anno di solito decine di ricercatori lavorano instancabilmente per individuare i ceppi influenzali prevalenti, e le eventuali nuove versioni. Ma quest’anno la scarsa visibilità dei virus influenzali ha causato una carenza di dati, e questo, dice Schultz-Cherry, potrebbe “creare delle difficoltà” a chi studia i virus e i vaccini.

Florian Krammer, virologo ed esperto di influenza alla Icahn school of medicine al Mount Sinai, immagina due scenari. “Uno bello e uno brutto”, spiega. Nel primo, la mancata trasmissione dell’influenza potrebbe finire con il soffocare i ceppi in circolazione, e forse perfino farne sparire uno. “Potremmo perdere una delle varianti principali, e sarebbe fantastico”. Nel secondo scenario un ramo dell’albero genealogico dell’influenza potrebbe spaccarsi in due, costringendo i medici ad affannarsi per tenere il passo con l’epidemia nel prossimo autunno.

Risorse tecnologiche

Le incognite rischiano di complicare anche lo sviluppo di un vaccino mirato, dice Krammer. Due volte all’anno l’Organizzazione mondiale della sanità convoca una riunione per raccomandare ai paesi del nord e del sud del mondo gli ingredienti del vaccino, basandosi sui dati ottenuti dal monitoraggio epidemiologico globale. L’obiettivo è accertarsi che i ceppi più problematici siano trattati. La riunione dell’emisfero settentrionale si terrà tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo negli Stati Uniti.

“Credo che ce la faranno”, dice Krammer riferendosi ai ricercatori che stanno lavorando al vaccino. Ma quest’anno il rischio di un passo falso è maggiore. Al Mount Sinai, che ha un suo programma di indagine virologica, negli ultimi mesi sono stati registrati solo otto pazienti con l’influenza, una percentuale bassissima rispetto ai 1.000/1.500 casi che di regola arrivano in questo periodo dell’anno.

Non vuol dire che il disastro sia alle porte. Gli scienziati potrebbero recuperare ricorrendo alle nuove tecnologie, come quelle usate per il vaccino a mRna contro il covid-19 sviluppato da Pfizer-Biontech e dalla Moderna. Generalmente servono circa sei mesi per mettere a punto un vaccino antinfluenzale. “È molto tempo per un virus che muta piuttosto in fretta”, dice Chu, l’epidemiologa di Seattle. Ma i vaccini a mRna sono più semplici da modificare e riadattare, e questo significa che in futuro potrebbero essere sviluppati in poche settimane. Alcune nuove tecnologie vaccinali “vengono già studiate per l’influenza”, mi ha scritto in un’email David Wentworth, virologo dei Cdc statunitensi. Ma alcuni aspetti della prevenzione contro l’influenza non cambieranno. Al contrario, gli eventi dell’ultimo anno confermano che le tradizionali e collaudate misure di salute pubblica funzionano, dice Seema Lakdawala, un’esperta di trasmissione dell’influenza dell’università di Pittsburgh. “Abbiamo imparato quali misure possono fare la differenza”, dice. “Spero che in futuro le persone malate resteranno in casa o usciranno indossando la mascherina”.

In realtà negli Stati Uniti sono sempre meno le persone che usano la mascherina e rispettano il distanziamento fisico, e Lak­dawala ne è consapevole. Ma sottolinea che il mondo non dovrà mantenere per sempre gli stessi livelli di vigilanza imposti dalla pandemia.

Con il ritorno dell’influenza e di altri virus, l’umanità potrebbe rientrare nella normalità virologica. O forse si atterrà a una versione meno rigida della sua strategia pandemica e troverà un nuovo equilibrio, in cui ci saranno meno malattie virali da affrontare ogni anno. Gli eventi degli ultimi mesi fanno pensare che l’influenza sia meno aggressiva di quanto si pensava. Le nostre prossime mosse potrebbero aiutarci a domarla nel lungo periodo o lasciarla dilagare di nuovo. ◆ gc

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Questo articolo è uscito sul numero 1398 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati