Quanti atomi ci sono nell’universo osservabile? Le stime attuali indicano un numero che scriveremmo come 1 seguito da 80 zeri, ovvero 10 elevato a 80. Se scrutassimo all’interno di ciascuno di questi atomi e contassimo le loro particelle subatomiche, potremmo arrivare a un numero un po’ più alto. Ma cosa c’è oltre? Prendiamo 10 elevato a 90: anche se contassimo ogni atomo e particella subatomica dell’universo conosciuto, non raggiungeremmo mai questo numero. In un certo senso, 10 elevato a 90 non ha nessun rapporto con la realtà fisica.
Ma se 10 elevato a 90 è difficile da comprendere, che dire dell’infinito? Per alcuni, il concetto di infinito rappresenta un processo, come contare, che potrebbe andare avanti indefinitamente. Per altri, equivale a un numero inconoscibilmente grande. In ogni caso, metterlo in relazione con l’esperienza umana diventa difficile, anche se pensiamo alla cosa più grande che conosciamo. Sebbene il modello standard della cosmologia ci dica che l’universo è illimitatamente infinito, sappiamo che, in un certo senso, ha un “margine” – una bolla all’interno del cosmo che chiamiamo universo osservabile, delimitata dalla luce che viaggia verso di noi dai tempi del big bang. Tutto ciò che va oltre questo limite è, di fatto, inconoscibile.
È importante? Dagli anni sessanta un piccolo ma determinato gruppo di matematici, filosofi, informatici e fisici sostiene di sì. Si definiscono ultrafinitisti, e ci mettono in guardia dall’affidarci troppo a numeri come 10 elevato a 90, che sfuggono alla nostra esperienza del mondo reale. Per non parlare dell’infinito. “È solo un’illusione”, afferma Doron Zeilberger della Rutgers university, negli Stati Uniti.
Il movimento ultrafinitista è stato spesso liquidato come estremista e incoerente, ma i suoi sostenitori affermano che i numeri enormi e l’infinito stanno minando le fondamenta della scienza, dalla logica alla cosmologia. Oggi il gruppo degli ultrafinisti è cresciuto abbastanza da non poter essere ignorato.
“C’è una massa critica”, afferma Justin Clarke-Doane della Columbia university di New York. “Non esiste una raccolta di saggi o un testo di riferimento sull’ultrafinitismo, perché il problema è stato considerato troppo difficile o troppo estremo. Ora invece c’è la possibilità di fare dei passi avanti”.
Ad aprile Clarke-Doane ha organizzato una conferenza alla Columbia, riempiendo la sala di ricercatori che non aderivano tutti rigorosamente al movimento, ma erano interessati al ruolo che l’infinito svolge in matematica. “Spero che questa conferenza segni una svolta nella ricerca sull’ultrafinitismo”, ha affermato Clarke-Doane nel suo discorso di apertura.
Durante l’evento sono state espresse opinioni forti. “L’infinito può esistere o non esistere, Dio può esistere o non esistere, ma in matematica non c’è bisogno di nessuno dei due”, ha dichiarato Zeilberger. La maggior parte dei matematici non sarebbe d’accordo. La matematica moderna si basa su un sistema condiviso noto come teoria degli insiemi di Zermelo-Fraenkel, combinato con l’assioma della scelta, e solitamente abbreviato in Zfc. È essenzialmente un elenco di affermazioni che si presume siano vere, e serve da manuale per chi si occupa di matematica. Una di queste affermazioni, o assiomi, sostiene esplicitamente l’esistenza dell’infinito.
Forse saremo costretti ad accettare la possibilità che l’universo sia finito
Per la maggior parte degli scopi lo Zfc funziona molto bene, ma un enorme punto interrogativo aleggia sulla sua validità da quasi un secolo. Nel 1931 il matematico Kurt Gödel dimostrò che è impossibile provare che gli assiomi del Zfc sono coerenti all’interno del loro stesso quadro. “Nessuno ha dimostrato che è incoerente, ma non ci convinceremo mai che sia del tutto coerente”, afferma Clarke-Doane.
Eppure questo non preoccupa molti ricercatori. “Oggi i matematici usano la teoria Zfc come fondamento, senza per forza abbracciarla esplicitamente”, afferma Zuzana Haniková dell’Accademia ceca delle scienze.
Ma trent’anni dopo che Gödel mise una bomba nel cuore della matematica, un personaggio inatteso non si limitò ad aspettare che esplodesse. Alexander Esenin-Volpin, matematico, poeta e dissidente russo, affermò di aver ideato un modo per dimostrare la coerenza della teoria Zf. Pur essendo solo un sottoinsieme del manuale Zfc, il suo programma poteva consolidare l’ossatura della matematica contemporanea attraverso un trucco audace: abbandonare l’idea di infinito.
Le idee di Esenin-Volpin non sono mai state pienamente accettate nella ricerca matematica. “All’epoca non furono ben comprese e i dettagli rimangono vaghi”, spiega Walter Dean dell’università di Warwick, nel Regno Unito. Una revisione di quegli anni, che coniò il termine “ultrafinitista”, definiva l’articolo di Esenin-Volpin del 1961 “non particolarmente convincente”.
Ma altri matematici raccolsero il testimone dell’ultrafinitismo. Nel 1971 Rohit Parikh della City university di New York scrisse un articolo che chiariva parte dei dubbi, dimostrando che l’idea di un “piccolo numero”, sebbene difficile da definire con precisione, può essere inclusa in una teoria utile. Sviluppò una teoria matematica in cui tutti i numeri rimanevano al di sotto di un certo limite, come 2 “tetrato” a 1000, che è uguale a 2 elevato alla potenza di 2 elevato alla potenza di 2 e così via per 1000 volte. Anche se questo numero era molto più grande di 10 elevato a 80, poteva comunque essere considerato “accettabile” all’interno della teoria di Parikh. Non sostituiva completamente la matematica standard, ma era il primo tentativo riuscito di un metodo veramente ultrafinitista per formulare le dimostrazioni.
Cosa rende un numero, o una dimostrazione, accettabile? Questa domanda è al centro del progetto ultrafinitista. Sebbene la questione si colleghi a paradossi antichissimi, per Parikh la preoccupazione principale è non perdere di vista il legame tra matematica e umanità. “Bisogna tracciare una linea da qualche parte. Le cose devono essere collegate all’esperienza umana”, afferma.
Altri traggono ispirazione altrove. Per Zeilberger, che è un informatico, il fatto che i computer possono solo approssimare l’infinito – e quindi non sono in grado di usare il concetto vago di “numero molto grande” su cui si basano gli esseri umani – è un buon motivo per eliminarlo. Ha scoperto l’ultrafinitismo studiando il calcolo infinitesimale, che usa in modo massiccio numeri infinitamente grandi o piccoli. L’affermazione del calcolo infinitesimale nel seicento consolidò il ruolo dell’infinito in matematica, ma Zeilberger lo considera un caso fortuito, dovuto al fatto che i computer non sono stati sviluppati prima.
Una cosa seria
Non sono solo gli ultrafinitisti a interrogarsi sui limiti del calcolo: c’è un intero campo di ricerca dedicato all’argomento, chiamato complessità computazionale. Dean considera l’ultrafinitismo e la complessità computazionale due facce della stessa medaglia, una più filosofica e l’altra più pratica.
Un famoso esempio di applicazione della teoria della complessità computazionale è il problema P contro NP, considerato da alcuni il più importante dell’informatica teorica. Coglie la difficoltà di determinare quanta potenza di calcolo serve per risolvere certi tipi di problemi matematici e se quelle soluzioni sono facilmente verificabili.
Negli anni ottanta, basandosi sul lavoro di pionieri come Parikh, Sam Buss dell’università della California a San Diego sviluppò l’aritmetica limitata, un insieme di strumenti per collegare i limiti matematici e computazionali quando si valuta se un problema è risolvibile. Usando questi strumenti individuò alcuni problemi facili da risolvere e con soluzioni facili da verificare. Definire questi abbinamenti nel modo più generale possibile è essenziale per risolvere l’enigma P contro NP. Buss sostiene che questa indagine è ancora più importante con lo sviluppo di tecnologie come l’intelligenza artificiale e i computer quantistici, che sollevano nuovi interrogativi sui limiti del calcolo.
Vista in questa luce, la complessità computazionale diventa uno strumento per tradurre la matematica in realtà fisica, perché i computer sono oggetti concreti. Tradizionalmente, la matematica è vista semplicemente come un linguaggio per esprimere verità fisiche, ma alcuni ultrafinitisti vanno oltre. Nel 2013 Pavel Pudlák dell’Accademia ceca delle scienze sosteneva: “In linea di principio, si può rappresentare qualsiasi struttura matematica finita tramite un oggetto fisico. Quindi un teorema sulle strutture matematiche finite è anche una legge fisica”. È una visione non convenzionale, ma secondo Clarke-Doane non è irragionevole. “Nessuno ha mai fatto una proposta comprensibile su come tracciare un confine netto tra matematica e fisica”, afferma. “Se il mondo fisico è in parte matematico, allora bisogna prendere la matematica più sul serio”.
Se il progetto ultrafinitista riuscisse a eliminare l’infinito dalla nostra cassetta degli attrezzi matematici, forse saremo costretti ad accettare la possibilità che l’universo sia in realtà finito. Come potrebbero consentirlo le leggi della fisica? Durante la conferenza alla Columbia, Sean Carroll della Johns Hopkins university del Maryland ha delineato un modello fisico per un universo ultrafinito.
Costruito nel quadro della meccanica quantistica, il modello di Carroll è spazialmente infinito, ma ha un numero finito di stati quantistici possibili. Il risultato è un universo che cambia nel tempo, ma alla fine torna sempre al suo stato iniziale. Questo è in netto contrasto con l’opinione ampiamente condivisa secondo cui il nostro universo è cominciato con il big bang e continua a espandersi seguendo leggi fisiche come quelle della termodinamica. Eppure Carroll dimostra che adattando il suo modello si potrebbe evitare di violare quelle leggi. Così fornisce una base essenziale per il funzionamento di un universo finito e per come la complessità della realtà, incluso lo spazio-tempo, potrebbe emergere da quell’universo. Carroll non dice che viviamo in questo tipo di universo finito, ma non lo esclude del tutto, affermando che è “perfettamente concepibile”.
La maggior parte dei fisici non accetterebbe l’universo finito di Carroll come un vero modello di realtà, ma l’intento di eliminare l’infinito dalla fisica, o almeno l’idea che l’infinito costituisce un problema, non è senza precedenti. Prendiamo la teoria quantistica dei campi, che è fondamentale per la nostra comprensione delle particelle e delle forze nell’universo, ma spesso produce risultati infiniti. Come afferma Clarke-Doane, anche quando i fisici parlano dell’universo come se fosse finito, “la matematica che usano è immersa fino al collo nell’infinito”. I fisici usano un trucco chiamato rinormalizzazione per evitare gli infiniti all’interno della teoria, per esempio limitando l’analisi al comportamento di una particella con uno specifico intervallo di energie o velocità.
Ma Tim Maudlin della New York university afferma che questo non significa che ci sia una tendenza finitista nella fisica quantistica. Se il calcolo delle probabilità che due particelle si scontrino produce un numero infinito, quel calcolo è semplicemente sbagliato. Usare la rinormalizzazione in questo caso non vuol dire escludere l’infinito, ma piuttosto trovare uno strumento matematico in grado di ricavare una risposta significativa dalla teoria. A suo avviso, accettare un universo ultrafinito dovrebbe essere la conseguenza di una nuova teoria della fisica, non il suo punto di partenza, come la teoria della relatività speciale di Albert Einstein permise di scoprire una velocità finita della luce. Maudlin paragona il progetto ultrafinitista a un autore che vuole scrivere un romanzo senza la lettera “e” – un’immensa sfida tecnica motivata almeno in parte dall’estetica, piuttosto che da una necessità universale.
Pronti all’emergenza
Tuttavia, visti i suoi potenziali benefici in diverse discipline, è il momento di prendere sul serio l’ultrafinitismo, anche solo come termine di paragone con le teorie standard? Haniková, che non è un’ultrafinitista, ritiene che in questo senso potrebbe essere utile, citando il lavoro del matematico ceco Petr Vopěnka, che sviluppò una teoria matematica alternativa simile negli anni settanta.
Vopěnka si chiedeva come era possibile che l’infinito matematico rispecchiasse fedelmente la nostra esperienza reale finita. Non era un ultrafinitista rigoroso, ma considerava comunque l’accezione comune di infinito qualcosa che va al di là dei limiti della nostra percezione. Sviluppò una teoria che nega l’assioma di infinito contenuto nella matematica standard, e al suo posto introduce due tipi di oggetti matematici: alcuni nettamente definiti e altri più “sfocati”, che rappresentano un passo verso un orizzonte infinito. Questo ha permesso a Vopěnka di definire l’infinito non solo come qualcosa che è “al di là” di qualsiasi grande insieme di oggetti, ma come qualcosa che in qualche modo ne fa anche parte, dice Haniková.
Un ragionamento simile potrebbe rappresentare il futuro dell’ultrafinitismo? L’infinito deve davvero scomparire o può essere semplicemente caratterizzato in modo diverso? “Questa domanda continua a ispirare sia i matematici sia i filosofi”, afferma Haniková. Per esempio, rimane rilevante per gli studi sulla vaghezza che emergono in linguistica, etica e logica matematica.
Clarke-Doane ammette che gli ultrafinitisti hanno un’enorme mole di lavoro davanti a loro. È importante? “Molto spesso non c’è bisogno di preoccuparsene per scopi pratici. Ma se nessuno ha una teoria coerente sui fondamenti, può diventare un problema serio quando le cose vanno male”, afferma. Se si rompe un tubo nella cantina della scienza, qualcuno deve ripararlo prima che si allaghi tutto, dice. Gli ultrafinitisti sono in allerta, e stanno mettendo a punto i loro attrezzi per prepararsi a ogni emergenza.◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1637 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati