Quando nel 2022 è diventata capo del governo italiano, Giorgia Meloni era considerata il peggior incubo di Bruxelles. Fino a quel momento la leader di Fratelli d’Italia, un partito dalle radici neofasciste, si era infatti mostrata tutt’altro che amichevole verso l’Unione europea. Per anni gli attacchi contro Bruxelles erano stati il suo cavallo di battaglia: si era scagliata contro la schiavitù dell’euro e gli usurai della Commissione europea. “Buttiamo giù questa Unione europea!”, aveva esclamato nel 2019, negli Stati Uniti, in occasione della Conservative political action conference (una conferenza annuale di attivisti e parlamentari conservatori).

Il suo insediamento a palazzo Chigi ha fatto esultare i partiti di estrema destra di tutta Europa, convinti che il governo italiano avrebbe condiviso le priorità dei nazionalisti e si sarebbe unito all’Ungheria di Viktor Orbán nella battaglia contro la burocrazia di Bruxelles.

“Dimostra di essere pragmatica, ma la sua ideologia non cambia”

Invece, con grande sorpresa di molti, non e successo. Almeno superficialmente Meloni si è mossa in modo costruttivo a sostegno dell’Europa, in parte perché l’Italia aveva bisogno dei miliardi di euro previsti dal piano di ripresa post-covid, ma anche perché forse sta giocando una partita strategica a lungo termine.

Le elezioni europee, che si tengono dal 6 al 9 giugno, probabilmente porteranno a un consistente aumento dei parlamentari nazionalisti-conservatori e di estrema destra. A quel punto l’influenza di Meloni sul parlamento dell’Unione e potenzialmente sul governo europeo potrebbe essere molto più grande. Corteggiata da un’estrema destra in crescita anche se divisa, e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, di centrodestra, Meloni potrebbe avere un ruolo chiave nella politica dell’Unione. Anche i suoi avversari riconoscono che è stata molto astuta. La sua prima visita dopo essere diventata presidente del consiglio è stata a Bruxelles, dove ha avviato un dialogo positivo. Da allora è stata determinante nel garantire l’accordo, tanto atteso, sulla riforma delle norme comunitarie in materia di asilo. Per tre volte Meloni è andata con von der Leyen in Nordafrica, firmando accordi con l’Egitto e la Tunisia per rallentare le partenze dei migranti.

Inoltre Meloni ha garantito un sostegno all’Ucraina, criticando a più riprese la Russia. Questo comportamento segna una netta differenza rispetto alla leader francese Marine Le Pen e ad altre figure dell’estrema destra, tradizionalmente vicine a Mosca. Meloni ha avuto anche un ruolo essenziale nel fare accettare all’Ungheria alcune misure a favore dell’Ucraina, tanto che viene chiamata “la donna che sussurra a Orbán”. Tutto questo le ha fatto guadagnare l’apprezzamento di von der Leyen che, visto il possibile successo dei partiti di estrema destra nel parlamento europeo, potrebbe aver bisogno dei loro voti per garantirsi un secondo mandato.

Il gruppo del Partito popolare europeo (Ppe), di centrodestra, di cui fa parte von der Leyen, forse sarà ancora il più rappresentato nel parlamento di Strasburgo, seguito da quello dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici, di centrosinistra, e dal liberale Renew Europe. Ma non tutti i parlamentari del Ppe sono disposti a sostenere l’attuale presidente della Commissione. Von der Leyen ha escluso la possibilità di un’alleanza con alcune formazioni radicali di destra, tra cui il Rassemblement national, la cui leader è Le Pen, il Partito per la libertà dell’olandese Geert Wilders o l’austriaco Fpö, tutti del gruppo parlamentare di estrema destra Identità e democrazia. Ma potrebbe collaborare con Meloni e alcuni esponenti dell’altro gruppo di destra, quello dei Conservatori e dei riformisti europei (Ecr), considerato meno estremista di Identità e democrazia. “Ho lavorato molto bene con Giorgia Meloni, chiaramente europeista”, ha detto von der Leyen.

Forti divergenze

Socialisti, liberali e verdi, preoccupati dalla possibilità che Meloni pretenda di indebolire le misure sul clima in cambio del suo sostegno a von der Leyen, hanno detto che non sosterranno la presidente della Commissione se si accorderà con l’estrema destra. Von der Leyen potrebbe trovarsi di fronte a una scelta difficile. La stessa cosa vale per Meloni: negli ultimi due anni la presidente del consiglio italiana è stata un modello di rispettabilità sulla scena europea, ma intanto in Italia ha portato avanti le sue battaglie culturali, contro il giornalismo indipendente, le coppie di genitori dello stesso sesso e i diritti lgbt+. Come sottolinea un diplomatico dell’Unione europea, “Meloni dimostra di essere pragmatica, ma la sua ideologia non cambia. Continua a sostenere politiche di estrema destra”. Come a confermare questa tesi, a maggio Meloni è intervenuta con un collegamento video all’assemblea organizzata dal partito spagnolo di estrema destra Vox, a Madrid, che riuniva “i patrioti europei e americani”.

Alla fine di maggio Le Pen, sostenuta da Orbán, ha invitato Meloni a unire le forze nazionaliste e di estrema destra in un “supergruppo” parlamentare. Viste le forti divergenze tra i partiti dello schieramento, soprattutto sull’Ucraina, è difficile che succeda. Tuttavia è facile immaginare un’intesa tra alcuni partiti dell’Ecr e il Ppe, almeno su alcuni grandi temi. Questa intesa sarebbe guidata da Meloni, che finora ha evitato di commentare possibili alleanze con von der Leyen o Le Pen, ma ha parlato apertamente di “cambiare il quadro europeo” e “formare una maggioranza diversa al parlamento”.

Se Meloni riuscirà a costruire un ponte tra i conservatori europei e una parte dell’estrema destra, potrebbe innescare un cambio di rotta radicale nella politica dell’Unione su temi cruciali come il cambiamento climatico, l’allargamento e l’immigrazione. Forse è proprio questo il suo piano a lungo termine. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati