Un albergo a quattro stelle in viale Lenin, alla periferia di Bologna. È in questa torre di cemento chiamata Boscolo tower, ai margini dell’autostrada A14, che il 21 settembre 2013 si svolge una riunione a cui partecipano una trentina di nigeriani, molti residenti in Italia. Le istruzioni inviate i giorni precedenti erano chiare: “Abbigliamento elegante e business. Dobbiamo essere educati e puntuali”. È vietato parlare della riunione sui social network o al telefono. Meglio la piattaforma di messaggistica protetta della società che organizza l’evento, la Green circuit association (Gca), che si presenta come un’associazione caritatevole nigeriana con sedi in una trentina di paesi.

**Frodi informatiche **

Nella sala riunioni gli onori di casa li fa Osaze Osemwingie-Ero, detto César, 40 anni, un uomo sorridente e con i baffi sul volto rotondo. César è un politico di Benin City la capitale dello stato di Edo, nel sud della Nigeria. Un uomo ricco e di potere, temuto e ammirato. Figlio di un poliziotto, ha lavorato per un po’ in un’azienda di trasporti pubblici nel Regno Unito, dove ha ottenuto la cittadinanza britannica, e ha comprato un appartamento di lusso. A Benin City, sede di ogni tipo di traffico, si è fatto largo nell’establishment politico-mafioso locale.

I partecipanti alla conferenza, spesso con mani e volti coperti di cicatrici, salutano con rispetto l’uomo che chiamano “don” e che i poliziotti italiani sospettano sia un capo mafioso.

Una volta chiuse le porte, César mette in guardia gli ospiti. “Se dici ‘don’ davanti a uno sbirro, vieni subito catalogato come mafioso. Quindi quando siamo fuori di qui è meglio chiamarmi presidente”, dice con voce roca. Alcuni agenti della polizia di Torino, camuffati da operai, interrompono il suo discorso dicendo che l’aria condizionata funziona male e intanto nascondono dei microfoni nella sala. Per la prima volta gli investigatori italiani seguono in diretta un vertice della “mafia” nigeriana. Per loro César è il numero due della maphite, un’organizzazione criminale che ha il quartier generale a Benin City. Prostituzione, traffico di migranti, droga e armi, frodi informatiche, rapimenti e omicidi: i maphite, presenti in Italia dal duemila, vogliono estendere il loro impero. E César è venuto dalla Nigeria per riorganizzare la “famiglia vaticana”, una delle quattro filiali del gruppo in Italia.

“Abbiamo usato il nome Gca come copertura. Gca e maphite sono la stessa cosa”, precisa César ai suoi ospiti durante la conferenza. “Se usciamo da questa porta e qualcuno mi presenta come un componente della maphite, io negherò, non voglio essere arrestato”. I responsabili della famiglia vaticana ascoltano in silenzio. Un certo Daddy Ken, che è stato il primo “don” dei maphite in Italia, è arrivato da Lione, dove dirige la sezione francese. “In Nigeria il mio lavoro è nella politica e posso dire che stiamo crescendo nello stato di Edo. Se dio vuole, fra tre anni avremo il potere”, continua César. I poliziotti registrano la riunione, ma non lo fermano perché non hanno un mandato di arresto.

Tre anni dopo, nel 2016, Osaze Osemwingie-Ero è effettivamente nominato ministro per l’arte, il turismo, la cultura e la diaspora dello stato di Edo (cinque milioni di abitanti, su un totale di duecento milioni di nigeriani). Il suo prestigio tra i maphite ne esce rafforzato. La politica gli conferisce una patina di rispettabilità e protegge le sue attività criminali, fondamentali per la conquista del potere. Ormai non teme più di essere considerato un “mafioso”. Si considera intoccabile e non gli importa nulla delle indagini degli inquirenti italiani, che fermano diversi dirigenti della famiglia vaticana. La Gca è stata bandita in Italia, ma è ancora attiva a Benin City, dove moltiplica le azioni caritatevoli e si è infiltrata nelle istituzioni.

Borgo Mezzanone (Foggia), 18 luglio 2019. Un’arma acquistata al mercato nero (Alessandro Zenti)

“Non abbiamo alcun legame con la maphite, una struttura segreta e fuorilegge. César era il nostro vicepresidente prima di essere nominato al governo di Edo. È anche un amico, e mi manca”, spiega Dele Elempe, segretario generale dell’associazione dal 2013. Elempe non dice nulla sul ruolo di César nei maphite, sa solo che è stato arrestato nei Paesi Bassi alla fine del 2019, e questo lo preoccupa.

Osemwingie-Ero è stato arrestato il 2 dicembre 2019 all’aeroporto di Schiphol, ad Amsterdam. Sei mesi prima l’Italia aveva emesso un mandato di arresto europeo nei suoi confronti. Nel mandato si parla del suo coinvolgimento nella direzione di “un’associazione di tipo mafioso chiamata maphite”. Estradato in Italia a febbraio del 2020, è detenuto a Roma in attesa del processo. César, che nega le accuse, rischia diciotto anni di carcere.

Confraternite studentesche

“Maximum academic performance high­ly intellectuals train executioner”, è il significato dell’acronimo maphite, un’organizzazione inizialmente riservata ai laureati nigeriani più brillanti. Le sue origini risalgono al 1952. In quell’anno Wole Soyinka, che nel 1986 avrebbe vinto il Nobel per la letteratura, fondò i Pyrates, la prima società segreta studentesca della Nigeria. Il modello erano le confraternite delle facoltà statunitensi e le logge massoniche. Al gruppo aderirono giovani intellettuali di estrazione modesta e di varie etnie, uniti dal desiderio di riflettere sui danni provocati dal colonialismo e di coltivare l’orgoglio africano rivisitando le tradizioni e i riti animisti precoloniali. Una replica dei movimenti rivoluzionari neri statunitensi.

A partire dagli anni settanta nel sud del paese furono create altre associazioni simili, come la Supreme eiye confraternity. All’università statale di Benin City nacquero il Neo black movement of Africa (Black axe) e la maphite. Con il susseguirsi di dittature, colpi di stato e crisi economiche, queste confraternite, chiamate cult e vietate dalla costituzione nigeriana (un divieto confermato da una legge del 2004) si sono via via trasformate in associazioni criminali. Negli anni novanta sono state usate dal potere politico come strumento di controllo sociale, soprattutto nei focolai della contestazione, come le università.

I maphite sono nella polizia nigeriana e in altri apparati dello stato

Le confraternite reclutano centinaia di migliaia di ragazzi attirati dai soldi, dalla protezione e dallo status sociale conferito dall’appartenenza a questi gruppi, in un paese in cui la disoccupazione è molto alta. Secondo una nota confidenziale dell’Unione europea, che Le Monde ha potuto consultare, in Nigeria i componenti attivi delle confraternite oggi sarebbero più di un milione, soprattutto nel sud, dove intimidazioni e omicidi sono in aumento.

A Benin City i maphite non sono gli unici a imporre la loro volontà sui traffici illegali. Altre persone di queste “confraternite” si aggirano per i quartieri poveri. L’attività illegale più evidente è la tratta di esseri umani: la città è il principale punto di partenza delle prostitute nigeriane verso l’Europa. Ragazze senza soldi, a volte minorenni, a cui viene promesso un futuro migliore. Sono ridotte a schiave sessuali dopo essere state maltrattate e “possedute” da spiriti convocati durante cerimonie traumatizzanti celebrate da “preti” animisti complici dei trafficanti. Una volta arrivate sui marciapiedi europei, sono costrette a vendersi per rimborsare un debito di decine di migliaia di euro, il prezzo per loro libertà e per la tranquillità delle loro famiglie rimaste a Benin City.

Questa città, dove la povertà si mescola alle tante chiese evangeliche e agli uffici per il trasferimento di capitali dei criminali e degli emigrati, dipende dai milioni di dollari e di euro prodotti dall’attività delle confraternite. Quasi ogni giorno i maphite, i black axe e gli eiye si scontrano, lasciando per strada corpi crivellati di colpi o fatti a pezzi con il machete. Ogni confraternita ha i suoi codici di condotta, il suo inno, le sue regole e i suoi riti d’iniziazione fondati sul vudù nigeriano, lo juju. Per farne parte a volte bisogna bere del sangue, mangiare una parte del corpo di un cadavere, un animale vivo, subire dei colpi prima di prestare giuramento e offrirsi agli spiriti. “Chi entra in un gruppo ne fa parte fino alla morte”, si legge nella Bibbia verde, la costituzione dei maphite, scoperta dalla polizia italiana. “Ogni componente deve essere pronto a sacrificarsi e a uccidere tutte le volte che sarà necessario”, si legge nel testo.

“In Nigeria i cult sono così potenti che possono uccidere la vostra famiglia”, spiega Snake, uno dei pochi capi dei maphite interrogati in Italia, che collabora con la giustizia. Snake, ex trafficante di droga e di armi, racconta che gli Eiye si sono vendicati di un maphite decapitando la madre e gettando i pezzi del corpo nel cortile della scuola del figlio. “Sono i padroni di Benin City e se non tradisci puoi godere di una rete di solidarietà internazionale”, aggiunge un ex trafficante della Black axe interrogato dagli inquirenti italiani.

Questo gruppo, considerato la confraternita più potente su scala mondiale, si nasconde sotto il nome di Neo black movement of Africa (Nbm). Come la Gca, anche l’Nbm in Nigeria è legale e nega qualunque legame con la criminalità. Dal 2012 al 2016 il suo principale responsabile è stato un ricco albergatore, Augustus Bemigho-Eyeoyibo. La magistratura britannica lo considera uno dei capi della Black axe e nell’agosto del 2019 ha condannato tre suoi cognati a 16 anni di carcere per aver riciclato più di un milione di euro.

“Le confraternite sono una sorta di incredibile LinkedIn per la grande e piccola criminalità nigeriana, una rete che ti permette di trovare un lavoro illegale o di reclutare persone per delle missioni”, spiega Uche Tobias, pseudonimo di un analista finanziario nigeriano residente nel Regno Unito, dove indaga sull’Nbm e gestisce un blog molto informato. “Non parlerei di mafia, quanto di una federazione di criminali, collegati tra loro ma non sempre coordinati”, aggiunge Tobias. Secondo lui, è questo modo di funzionare che li rende difficili da bloccare.

Ad Abuja, capitale della Nigeria, la lotta contro le confraternite non è mai davvero cominciata, nonostante negli ultimi anni la violenza sia aumentata. Secondo diverse fonti, le autorità non hanno fatto nessuna indagine approfondita. I magistrati e i poliziotti europei sostengono che tutte le loro richieste di collaborazione rimangono senza risposta. “Nei servizi segreti non c’è una struttura dedicata alle confraternite”, afferma un alto funzionario del ministero dell’interno nigeriano.

Le istituzioni corrotte

Il sistema giudiziario e la National agency for prohibition of trafficking in persons (Naptip), l’agenzia nazionale nigeriana incaricata di contrastare la tratta di persone, sono inefficaci perché indeboliti dalla mancanza di mezzi e dalla corruzione. “Non ho visto un solo capo di un cult condannato”, continua il funzionario. Poi voltandosi verso uno dei suoi assistenti, originario del sud del paese, gli chiede: “Tu fai parte di un cult?”. In risposta riceve una smorfia d’imbarazzo e qualche parola confusa. Il funzionario riprende: “Ogni componente del governo o del parlamento originario degli stati meridionali del paese appartiene a una di queste società segrete. Se ti opponi ai loro interessi, troveranno sempre il modo per farti fuori. Anche qui ad Abuja”.

Cinquecento chilometri più a sud, Benin City sembra in balìa dei vari don o supreme leader, come sono chiamati i capi di queste associazioni. Per contenere la spirale di violenza, i governatori che si sono avvicendati nello stato di Edo hanno promesso di mettere fine a questo clima di terrore. Ma l’attuale governo è infiltrato dai padrini come César.

Borgo Mezzanone (Foggia), 30 ottobre 2019. Feticcio usato per un rito juju (Alessandro Zenti)

La stessa cosa vale per la magistratura e le forze dell’ordine. I maphite hanno pagato centinaia di migliaia di euro per permettere a più di duemila dei loro affiliati di entrare in possesso del formulario di reclutamento nella polizia. “Una volta riempiti, entri automaticamente nella polizia. Questo significa che i maphite sono nella polizia nigeriana e in altri apparati dello stato”, racconta il pentito Snake. Così funziona Benin City, il centro da cui i baroni dei cult orchestrano la loro “conquista” del mondo. L’Italia è la principale porta d’ingresso per l’Europa. Da Milano a Palermo, da Bologna a Torino, la “mafia nera” occupa le prime pagine dei giornali e alimenta i discorsi dei politici xenofobi. La criminalità nigeriana è spesso citata nei rapporti della Direzione investigativa antimafia (Dia). In quello del dicembre 2018 c’era scritto che le organizzazioni nigeriane “hanno occupato degli spazi territoriali e delle attività illecite trascurate dalla criminalità locale”.

In Italia i cult sono considerati un’organizzazione mafiosa. “Ci sono voluti anni per capire questi gruppi molto complessi, bene organizzati e internazionali”, spiega Fausto Lamparelli, direttore del Servizio centrale operativo della polizia di stato (Sco), che nel 2019 ha coordinato 17 operazioni contro le organizzazioni criminali nigeriane, permettendo l’arresto di 250 persone. “Appena un capo viene arrestato i vari gruppi si adattano e si rigenerano molto rapidamente”, osserva Lamparelli. Le confraternite operano attraverso una galassia di cellule più o meno autonome, di una decina di affiliati.

Secondo Corentin Cohen, ricercatore all’università di Oxford, queste filiali si sono stabilite in Europa senza grandi controlli. “Negli ultimi anni i capi in Nigeria hanno passato molto tempo a far rispettare la disciplina”, dice il ricercatore. “Chi fa parte di queste reti molto flessibili fa buoni affari, può esserne il finanziatore principale o un socio. In altre parole gli affilliati agiscono come imprenditori del mondo criminale”.

L’alleanza con i casalesi

Uno degli ostacoli incontrati dagli investigatori è l’uso di dialetti. Le conversazioni sono piene di parole in codice che anche gli interpreti fanno fatica a capire. I maphite si riconoscono tra di loro chiedendo: “Hai da accendere?”. A questa domanda bisogna rispondere: “No, ma ho una fiamma”. Durante gli interrogatori le persone fermate restano spesso in silenzio. La Bibbia verde dei maphite precisa che ogni traditore dev’essere “giustiziato”. A pagina tre, inoltre, raccomanda di “arricchirsi con la vendita di droga”.

Le indagini e le testimonianze dei pentiti hanno evidenziato il ruolo sempre più importante delle confraternite nel trasporto della cocaina in nave o in aereo dal Sudamerica verso l’Africa occidentale e poi in Europa grazie ai cosiddetti muli, i corrieri della droga. Gli eiye, i black axe e i maphite hanno stabilito dei legami con i cartelli colombiani e messicani per la cocaina e con i trafficanti asiatici per la metamfetamina e l’eroina.

I cult in Italia hanno esteso le loro attività nelle regioni del nord, più ricche

Si può parlare di collaborazione tra queste organizzazioni e la criminalità organizzata italiana per la spartizione dei traffici sul suo territorio? “Abbiamo dei sospetti ma per ora non ci sono le prove”, afferma Lamparelli. Gli analisti della Dia si orientano verso la zona di Castel Volturno, “che può essere considerata un esempio di convivenza tra gruppi della camorra e della criminalità nigeriana”.

Cinquanta chilometri a nord di Napoli, Castel Volturno è un reticolo di viali costeggiati da edifici cadenti e strade spesso non asfaltate attraversate da persone distrutte dalla droga e vittime di violenze sessuali. La città non ha più nulla dell’attraente località balneare frequentata dalla borghesia napoletana, dalle stelle del cinema e dai turisti degli anni settanta. Castel Volturno non si è più ripresa dal terremoto del 1980. È stata distrutta dalla miseria, dimenticata dallo stato e sfigurata dai casalesi. Il clan camorristico è responsabile di tanti abusi edilizi e dell’inquinamento dei fiumi e dei campi, dove ha smaltito illegalmente tonnellate di rifiuti tossici in cambio di denaro.

Così la città si è offerta a chi l’ha voluta. Nessuno vuole vivere in un posto così. “Quella che doveva essere la nuova Miami è diventata la nuova Černobyl, dove persone evase dal carcere e pregiudicati vengono a nascondersi in mezzo agli immigrati. È il posto perfetto per la mafia nigeriana”, spiega il giornalista Sergio Nazzaro. Su 45mila abitanti ci sono circa ventimila immigrati irregolari, secondo il sindaco Luigi Umberto Petrella, che si dice “sopraffatto” dalla situazione e ha chiesto l’intervento dell’esercito. L’abbondanza di alloggi e di case incompiute ha trasformato Castel Volturno in una città dormitorio per lavoratori in nero e per i migranti impegnati nei campi.

Qui eiye, black axe e maphite hanno creato delle cellule che gestiscono il lavoro di migranti e prostitute, per poi inondare la città di droga pesante. Migliaia di nigeriani arrivano in Italia in aereo, spesso con passaporti falsi e lo stomaco pieno di capsule di cocaina. Anche se qualcuno viene arrestato, molti riescono a farcela. È la cosiddetta tecnica della “pioggia di muli”, secondo l’espressione di un poliziotto napoletano. Secondo lui, all’aeroporto viene sequestrata meno del 20 per cento della quantità di droga importata.

Problema europeo

Probabilmente se la camorra lascia fare è perché prende una percentuale su questi traffici. Così Castel Volturno è diventata il primo laboratorio per i cult nigeriani, dove misurare le capacità di controllo del territorio e di gestione della convivenza con la criminalità locale. Il risultato è che la città è diventata un supermercato del sesso – 20 euro per un rapporto sessuale – e della cocaina al grammo o all’ingrosso. I guadagni vengono in gran parte spediti a Benin City: nel 2018 sono stati trasferiti dall’Italia alla Nigeria 75 milioni di euro, il doppio rispetto al 2016.

Poi la domenica i criminali si purificano in una delle quaranta chiese evangeliche di Castel Volturno. Alcuni pastori fanno parte dell’organizzazione e fingono di ignorare la presenza dei cult.

Siamo davanti a un edificio abbandonato nell’ex villaggio residenziale della Nato. Qui s’incontrano solo migranti, tossici e affiliati dei cult. “Li chiamo ‘camo-rats’”, dice Patty, 43 anni, a proposito dei suoi ex vicini, affiliati agli eiye. “Vivevano in dieci in appartamenti con delle ragazze che picchiavano e violentavano”. Ex prostituta originaria di Benin City, Patty ci riceve nell’unica stanza riscaldata del suo appartamento. Si è rovinata la vita per 15 anni sui marciapiedi della Spagna e dell’Italia per rimborsare ai trafficanti il suo “debito” di 40mila euro. Una volta libera non ha esitato a criticare gli affilliati delle confraternite o addirittura a denunciarli alla polizia, rompendo la legge del silenzio. “Con questa gente non puoi discutere. Se vogliono ti uccidono e ti gettano in mare. Chi verrà mai a cercarti? Qui non hai documenti, non hai un’esistenza legale”, racconta Patty, che cresce da sola i suoi cinque figli. Poi s’inginocchia e prega davanti al suo piccolo altare sormontato da una vergine per invocare la “protezione divina”.

Il progressivo controllo del territorio da parte dei cult non ha lasciato indifferenti le organizzazioni criminali italiane. “I nigeriani hanno dei limiti che non devono oltrepassare e continuano a essere considerati inferiori”, precisa Luigi Bonaventura, un ex killer e boss mafioso oggi collaboratore di giustizia. E questo ha causato violenti richiami all’ordine. Il 18 settembre 2008 davanti a un negozio africano nel centro di Castel Volturno alcuni sicari del clan dei casalesi hanno aperto il fuoco uccidendo sei africani, ma nessun nigeriano, e un italiano. Il massacro ha provocato l’indignazione internazionale e ha richiamato l’attenzione su questa parte della Campania dove sono state girate alcune scene del film Gomorra. Da allora le tensioni sono diventate più rare e si sospetta che i camorristi e i nigeriani abbiano trovato un accordo. “C’è una sorta di convivenza, come se i casalesi subappaltassero la vendita della droga ai nigeriani”, osserva Giuseppe Borrelli, ex viceprocuratore a Napoli. “A Castel Volturno la mafia nigeriana ha una struttura permanente e importanti mezzi finanziari. Eiye, black axe e maphite ne hanno fatto il centro locale e nazionale del traffico di stupefacenti”.

Nelle migliaia di edifici in rovina o occupati della città, i nigeriani hanno il controllo delle case chiuse, luoghi di traffico riservati alla comunità africana, dove si possono trovare le ragazze a malapena maggiorenni arrivate da Benin City. Ma la droga e la prostituzione non sono le uniche attività. Ci sono anche le frodi informatiche e il riciclaggio dei milioni di euro generati dall’attività criminale a Castel Volturno. Le autorità statunitensi, preoccupate dalla portata di questi crimini informatici in cui i nigeriani sono molto bravi (3,5 miliardi di dollari di perdite nel 2019 negli Stati Uniti), hanno individuato molte transazioni nella zona e hanno perfino mandato degli agenti dell’Fbi in Campania.

I cult in Italia hanno esteso le loro attività nelle regioni del nord, più ricche. A Milano e a Torino, dove la ’ndrangheta ha aumentato la sua influenza, i don nigeriani conquistano terreno. Talvolta camuffati da mendicanti o fingendosi modesti operai immigrati. Evitano lo scontro diretto. “Non si può fare come in Nigeria. Non si può uccidere”, spiega un capo maphite durante una delle conversazioni intercettate dalla polizia di Torino.

Finora dodici paesi europei hanno accertato la presenza sul loro territorio di cult nigeriani. Negli ultimi mesi a Marsiglia ci sono stati dei regolamenti di conti tra bande nigeriane. Alcuni ragazzi si sono affrontati per strada a colpi di accetta. La polizia, in contatto con i colleghi italiani, è sulle tracce dei capi maphite presenti in Francia. Il Servizio francese d’informazione e analisi sulla criminalità organizzata (Sirasco), in un rapporto del 15 novembre 2018 afferma che: “L’organizzazione criminale eiye controlla lo sfruttamento della prostituzione nigeriana in Europa”. Il documento sottolinea anche la presenza dei black axe. “La violenza, l’organizzazione e la presenza in tutta Europa sono le caratteristiche di queste confraternite”, spiega Cécile Augeraud, la responsabile del Sirasco.

Secondo il Sirasco, i cult sono impegnati in una “lotta feroce in Europa per assicurarsi il controllo dei traffici” e il “trasferimento dei fondi in Nigeria”. Le somme in gioco sono sempre più importanti. In Francia, nel 2018, è stata smantellata una rete che aveva trasferito a Benin City fra i 30 e i 50 milioni di euro in tre anni. Il più delle volte in contanti, in aereo o con un sistema di trasferimento di denaro. Secondo il Sirasco gli eiye e i black axe sembrano “aver concluso un patto di non aggressione per spartirsi questo mercato criminale”. Un accordo di solito riservato alle grandi organizzazioni mafiose internazionali. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1381 di Internazionale, a pagina 52. Compra questo numero | Abbonati