Vuole apparire come la prescelta in mezzo alla mischia, vicina alla gente e dotata di una forte autoironia. Ma Jacinda Ardern non è affatto una leader come gli altri. Dopo essere diventata, a 37 anni, la più giovane prima ministra “kiwi” (nell’ottobre del 2017), la seconda donna a partorire mentre era a capo di un governo (a giugno del 2018) e la leader neozelandese più popolare del secolo (a maggio del 2020), ha portato il centrosinistra a una vittoria elettorale senza precedenti.
Alle elezioni legislative del 17 ottobre il Partito laburista ha conquistato, stando ai dati ancora provvisori, il 49 per cento dei voti, il risultato migliore degli ultimi cinquant’anni. Quando saranno stati conteggiati tutti i voti, all’inizio di novembre, Jacinda Ardern potrà guidare il paese senza dover formare una coalizione per avere una maggioranza parlamentare. Era dal 1996, l’anno in cui è stato adottato l’attuale sistema elettorale, che non succedeva.
La disfatta della destra
“È la nostra opportunità di costruire un’economia che funzioni per tutti, di continuare a creare posti di lavoro dignitosi. Possiamo lottare contro la povertà e le disuguaglianze, trasformare questi tempi difficili e incerti in una fonte di speranza e ottimismo”, ha dichiarato Ardern sabato sera, davanti ai compagni di partito in festa. Per il Partito nazionale, a cui è andato solo il 27 per cento dei voti, è stata invece una serata triste. “Ci prenderemo del tempo per riflettere e analizzare quello che è successo, e cambieremo”, ha promesso Judith Collins, la sfidante di Ardern a cui è stata affidata la guida di un partito diviso ad appena tre mesi dal voto.
“Non è riuscita a presentare un’alternativa credibile. Alla campagna di Collins è mancata coerenza e una linea politica forte”, commenta Lara Greaves, politologa all’università di Auckland. Ben radicata a destra e soprannominata la “frantumatrice” dopo un passaggio al ministero della polizia nel 2008, la leader conservatrice non ha sedotto gli elettori, che da tre anni aderiscono in massa al messaggio di benevolenza e unità promosso dalla prima ministra. “Ardern è riuscita a trasformare quest’elezione in un voto sul covid-19. I neozelandesi si fidano di lei. È molto brava ad analizzare i fatti, a prendere le decisioni giuste per quanto difficili possano essere e a guadagnarsi il consenso delle persone grazie alle sue doti di comunicatrice”, sottolinea Greaves. Di fronte alla pandemia, Ardern ha chiuso velocemente le frontiere del paese e ha scelto un lockdown rigido dopo i primi contagi nel paese. All’inizio di maggio il virus ha smesso di circolare nell’arcipelago. Ad agosto una seconda ondata più debole è stata tenuta sotto controllo.
Nonostante la recessione economica, la stragrande maggioranza dei neozelandesi approva questa linea, che ha protetto il paese dalla crisi sanitaria – i morti sono stati solo 25 su cinque milioni di abitanti – e gli ha consentito di riprendere una vita quasi normale, senza mascherine né distanziamento fisico.
Ora Jacinda Ardern vuole concentrare gli sforzi sulla ripresa economica e l’occupazione. Prevede di finanziare nuove infrastrutture per rilanciare la crescita e di portare al 39 per cento le tasse sui redditi più alti per ridurre il debito pubblico.
Grazie a questo trionfo potrà inoltre attuare politiche economiche più ambiziose per ridurre le diseguaglianze. Nel 2017 aveva promesso il “cambiamento” dopo nove anni di governi conservatori, ma le sue aspirazioni riformatrici erano state ostacolate dall’alleanza con il partito populista di destra New Zeland first (Nzf), scelta obbligata per ottenere una maggioranza.
◆ La Nuova Zelanda è un arcipelago composto da due isole principali e altre più piccole, e gran parte della popolazione (4,9 milioni di abitanti) vive sull’Isola del nord. L’economia si basa sull’agricoltura, l’industria manifatturiera e il turismo. Uno dei problemi principali del paese è la povertà infantile. Un bambino neozelandese su otto vive in condizioni disagiate, e la proporzione sale nella comunità maori, dove il 28,6 per cento dei bambini è povero. Secondo un recente rapporto dell’Unicef che mette a confronto 41 paesi ricchi in base a vari indicatori legati all’infanzia (tasso di suicidi, obesità, istruzione e ambiente), la Nuova Zelanda è al 35° posto.
La leader laburista era riuscita a far approvare misure limitate, non le grandi riforme che avrebbero potuto caratterizzare il suo mandato. Sabato sera il partito Nzf, con appena il 2,6 per cento dei voti, è stato estromesso dal parlamento, composto da una sola camera. Invece il partito dei Verdi, l’altro alleato di Jacinda Ardern durante il primo mandato, ha ottenuto dieci seggi e vorrebbe stringere un nuovo accordo, permettendo alla prima ministra di allargare la sua base parlamentare.
“È una leader moderata, una centrista, non credo che il suo sarà un governo di sinistra radicale. Ma con una maggioranza simile vorrà senza dubbio accelerare le riforme, in particolare sulle questioni che le stanno più a cuore, come la riduzione della povertà infantile e delle disuguaglianze o la lotta contro la crisi climatica”, commenta Richard Shaw, docente di scienze politiche all’università di Massey, in Nuova Zelanda.
Dovrà inoltre legalizzare l’eutanasia se al referendum del 17 ottobre dovesse aver vinto il sì, come previsto dai sondaggi. Mentre sull’altro quesito del referendum – la legalizzazione della cannabis per uso ricreativo – il no è dato in vantaggio. I risultati sono attesi per il 30 ottobre. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1381 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati