Alle dieci di mattina Patricia e Alvaro, 21 anni, si abbracciano all’aeroporto di Barajas, spettrale e solitario con due terminal chiusi. Lei va in Germania a studiare musica e non sa quando tornerà. Lui sa per certo che non potrà andare a trovarla. Lei suona il fagotto, lui il violino. Altri si stanno salutando sul marciapiede deserto. La coppia rimane davanti alla porta d’ingresso, perché lui non può accompagnare lei all’interno. Forse si rivedranno a Natale. “Tornerò se ci riuscirò”, dice lei. “Io resto confinato qui”, si lamenta lui. Sembrano tristi. Parlano di Madrid come di un luogo claustrofobico, ostile e dal futuro incerto.

La capitale spagnola è ormai una città dove la gente pensa di vivere nell’assurdo e non si fida di chi la governa. Passeggiando per i quartieri della città, si ascoltano frasi che cominciano tutte allo stesso modo. “È assurdo che io possa andare a Londra e non a trovare mio cugino a Toledo”. “È assurdo che ora gli abitanti dei quartieri con più contagi, che erano stati messi in lockdown, possano andarsene in giro per tutta Madrid”. “È assurdo, queste misure non fermeranno il virus, e il fine settimana non si può andare a prendere un po’ d’aria in campagna”. “È assurdo che non aumentino le corse della metropolitana, è piena”. “È assurdo che chiudano i parchi”. Tutti si sono specializzati nell’individuare le incongruenze e commentarle per sfogarsi. E in questa giungla di paradossi ognuno cerca di tirare avanti.

Madrid, 6 ottobre 2020 (Burak Akbulut, Anadolu Agency/Getty)

L’ultima modifica delle regole è una delle tante cose incomprensibili. “Non ho capito bene, ma mi muovo solo da casa al lavoro e dal lavoro a casa”, dice Silvia, 31 anni. Evita la metropolitana, prende il treno suburbano di Vallecas, che proviene da Alcalá, un’altra zona sottoposta a lockdown, per andare a lavorare in un negozio d’abbigliamento nel quartiere Salamanca, in centro. Vive in una delle 45 aree dove già ci si poteva spostare solo per motivi di lavoro o di necessità, e dove nessuno noterà la differenza. Jonathan Rodríguez, 22 anni, lavora nell’edilizia e neanche lui conosce le regole. Attraversa tutta Madrid fino a Chamartín, usando la linea numero 1 della metropolitana. “La metro è sempre affollata, alle sette del mattino quando vado e alle sette di sera quando torno”. Viene dal Guatemala, è in Spagna da un anno e mezzo e si trova bene. Non sa nemmeno se i politici si stiano comportando bene o male. Spera bene. Ci sono molte persone ai margini di quel che mostrano i telegiornali.

Le distinzioni tra quartieri hanno fatto emergere situazioni surreali, e anche la loro fine. Un buon esempio del caos è il bar La Ardilla, in calle Congosto, nel quartiere di Vallecas: il locale si è ritrovato all’interno di una zona sottoposta a lockdown, mentre i suoi tavoli all’aperto, nella piazza antistante, erano in una zona libera da restrizioni. “I vicini che venivano dall’altra parte della piazza potevano sedersi ai tavolini, ma non andare al bagno. Ora posso chiudere un’ora dopo, alle undici. Ma sono rimasta con metà dello spazio all’aperto”, racconta la proprietaria Milagros Albacete, 35 anni. Ripete un discorso che si sente ovunque, che inizia con la frase “che sia la sinistra o la destra è uguale” e continua con una dichiarazione di disgusto verso l’intera classe politica. “Che sia la sinistra o la destra è uguale, tutti hanno sbagliato, hanno dimenticato i cittadini, è una lotta politica. Niente di quello che fanno ha senso”, dice. Quando le viene chiesto cosa farebbe lei, risponde con un’altra frase che si sente spesso: “Sarebbe come scavarmi la fossa da sola, ma per fermare il virus l’unica cosa che funzionerebbe è chiudere tutto di nuovo”. Albacete ha cinque dipendenti. Non sanno cosa aspettarsi. “Con la paura che c’è in giro, le serate sono già morte. Al mattino, grazie alle scuole e all’uscita della metropolitana posso contare sulle colazioni e sull’ora del vermut, almeno finché non arriverà il freddo”. Davanti al bar una famiglia festeggia una prima comunione. Sono in tredici, divisi tra vari tavoli per rispettare la regola in base a cui non ci si può sedere insieme in più di sei.

“A me non m’intervista?”, chiede una donna che non porta la mascherina, e spiega perché: non serve a niente. “Tutto quel che dice la televisione è falso”. Non sa neanche se può andare in un negozio di scarpe vicino a Retiro, ed è felice di scoprire di sì. La frase più preoccupante, tra quelle che si sentono in giro e che spiegano in parte la confusione generale, suona più o meno così: “Io non ci capisco niente, ma non guardo più i notiziari”. Molte persone scelgono di non informarsi, non conoscono le regole con certezza e non sanno quale politico ha ragione. Non gli interessa più. Villa de Vallecas è un paesino. Ci sono code ovunque, ma non per fare scorta di generi alimentari, la gente non ha più paura che tutto rimanga chiuso. Ci sono code dal macellaio, dal panettiere, dal tabaccaio. Anche al banco dei pegni: sei persone.

Sempre più nervosi

L’autobus della linea 143 parte a mezzogiorno da Vallecas diretto in centro, verso la zona di Goya, una zona commerciale che trabocca di gente. I dipendenti del grande magazzino El Corte Inglés confermano che questo sabato ci sono molte più persone. Forse perché è l’inizio del mese. Le conversazioni hanno il solito tono: è tutto assurdo. Una donna pensa che bisognerebbe chiudere tutto, e ha le sue ragioni: ha contratto il virus a marzo e soffre ancora di mal di testa, quindi sa di cosa parla. Inoltre lavora al centralino del numero verde 900, che fornisce informazioni sulla pandemia nella comunità autonoma di Madrid. Per questo preferisce non rivelare il suo nome. All’inizio dava informazioni. Poi ha fatto di tutto: tracciare i contagi, comunicare i risultati dei tamponi e, nei mesi peggiori, anche cercare i morti. “Quando qualcuno moriva in ospedale, non si sapeva in quale dei tre obitori finiva. La famiglia non lo trovava e bisognava cercarlo”, spiega.

In Europa
Bar chiusi e massima allerta

◆Il 4 ottobre 2020 in Francia sono stati registrati quasi 17mila nuovi casi di covid-19, il dato più alto dall’inizio della pandemia. A Parigi, dove sono stati individuati più di duecento focolai attivi, il governo ha dichiarato lo stato di massima allerta. Dal 6 ottobre e per almeno due settimane bar, palestre e piscine dovranno restare chiusi. I ristoranti potranno restare aperti fino alle 22. Le autorità hanno invitato tutti quelli che possono farlo a lavorare da casa. In Repubblica Ceca, il paese europeo con il maggior numero di contagi per abitante dopo la Spagna, il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza. A Mosca le scuole sono state chiuse per due settimane e le aziende dovranno tenere il 30 per cento dei dipendenti a casa. Bbc


Lavora da casa e sulla sua scrivania c’è una pila di pagine contenenti tutti i protocolli che si sono succeduti nel tempo, e che cambiano quasi ogni settimana. L’ultima disposizione prevede che il test venga fatto solo a chi ha sintomi e ai conviventi di chi è risultato contagiato, e non a quelli che sono entrati in contatto con un positivo. Ultimamente avverte sempre più nervosismo e deve sopportare molta maleducazione: “Vogliono fare il test e non capiscono la situazione”. Quel che provoca più dubbi ora sono le scuole, un altro aspetto che contribuisce al caos generale: ognuno dice la sua e le famiglie non sanno a chi dare retta. Ci sono anche dipendenti che chiamano per segnalare che nella loro azienda i positivi continuano a lavorare. “Per come siamo fatti, impareremo solo con multe salate”. La cattiva fama degli spagnoli è superata solo da quella dei loro governanti.

I negozi di questa zona e il quartiere di Salamanca sono molto animati, si vede più gente che negli altri giorni. Le persone per strada sono arrabbiate, come a Vallecas. Pepe Ruiz, un pubblicitario di 56 anni, la pensa così: “È una vergogna, non ha alcun senso. Ci sono altre aree con dati peggiori, come la Navarra, e non le chiudono. Se dopo sei mesi l’unica cosa che abbiamo imparato è chiuderci in noi stessi, non abbiamo imparato molto”. Ha dei parenti a San Agustín de Guadalix, un paese a 35 chilometri di distanza, e non capisce perché non possa andare a trovarli dato che a quanto ha capito le restrizioni non sono ancora entrate in vigore.

Alla periferia di Madrid c’è vita, mentre il centro è solo un luogo abbandonato dai turisti. Non ci sono più residenti, le loro case sono state trasformate in appartamenti per le vacanze. In calle Arenal, dalla Puerta del Sol all’Opera, si contano otto locali con il cartello “affittasi”. Uno striscione appeso a una finestra accanto a una sciarpa della squadra del Cadice riassume tutto: “Coronaviru figlio di puttana”.

Nuovi spazi

“È una rovina. Gli incassi sono calati dell’85-95 per cento. I miei genitori dicono che non hanno mai visto il centro così deserto dai tempi della guerra civile. C’è ben poca allegria in giro, la gente cammina senza parlare”, racconta Juan Gabriel Gorrachategui, dello storico negozio di churros 1902, aperto quell’anno vicino a calle Arenal e gestito sempre dalla stessa famiglia. Suo figlio Héctor rappresenta la quinta generazione. Hanno riaperto il primo settembre e non hanno visto un solo turista fino a questa settimana, quando sono arrivati alcuni messicani. “La sera quando apriamo la cassa c’è da strofinarsi gli occhi. Roba da non crederci”, dice Hector. Si lamentano dell’amministrazione di Madrid, che in centro non consente di mettere i tavolini fuori: “Se gli mandi una lettera neanche ti rispondono”. Ormai l’ultima speranza dei negozi del centro è il Natale: “Se le cose non migliorano, senza aiuti sarà finita. Chiuderà il sessanta per cento dei negozi. Il nostro lavoro è fare i churros. I politici sono lì per difendere i nostri interessi, e non lo fanno. Sanno solo litigare come bambini”.

Nel centro di Madrid però ci sono anche segnali inattesi. L’assenza di turisti apre nuove possibilità. Proprio il 2 ottobre, quando la città stava per entrare in lockdown, è stato aperto un bar. Si chiama Anda jaleo e si trova in calle de la Unión, vicino al teatro Reale. I proprietari possiedono un altro locale lì vicino, frequentato dalla gente del quartiere e non dai turisti. La situazione gli ha permesso di aprire questo nuovo bar: gli affitti sono scesi, e i proprietari gli hanno offerto di pagare solo metà affitto per i primi due anni. Avevano dovuto lasciare a casa due dipendenti e grazie al nuovo bar sono riusciti a reintegrarli. “Speriamo che la nostra famiglia, cioè gli abitanti del quartiere, continui a venire”, spiega José, uno dei dipendenti. All’inaugurazione il bar era pieno. La gente è entrata all’ora di cena con alcune regole in vigore ed è uscita alle undici con altre regole, in una Madrid diversa. ◆ _ ff_

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Questo articolo è uscito sul numero 1379 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati