La mattina del 7 settembre 2020 a Minsk alcuni uomini mascherati hanno trascinato la leader dell’opposizione Maria Kolesnikova all’interno di un minibus con la scritta “Comunicazione”, evocando il ricordo terrificante di un’epoca che molti in Bielorussia avevano rimosso o comunque dimenticato da un pezzo.

Tra il 1999 e il 2000 scomparvero due personalità di spicco dell’opposizione di allora: Viktor Gončar, ex dirigente della commissione elettorale e vicepresidente del parlamento esautorato nel 1996, e Jurij Zacharenko, ex ministro dell’interno, che avevano entrambi preso le distanze da Lukašenko. Nello stesso periodo altre due persone sparirono nel nulla e altre morirono in circostanze misteriose. Molto probabilmente furono giustiziate da un reparto speciale, noto come lo squadrone della morte.

Ancora oggi i probabili autori di rapimenti e omicidi hanno ruoli importanti nelle istituzioni del regime: Viktor Šej­man, sostenitore della linea dura, è considerato uno dei responsabili degli eccessi della polizia durante le proteste in corso.

Dmitri Pavličenko, che era a capo dello squadrone della morte e passò un breve periodo in carcere prima di essere riabilitato per volere di Lukašenko, oggi dirige la Sobr, un’unità speciale che fa capo al ministero dell’interno. Nelle ultime settimane ha partecipato a varie manifestazioni in favore di Lukašenko, rivolgendo minacce esplicite agli oppositori del regime.

La comunità internazionale ha a lungo considerato la dittatura di Lukašenko un regime piuttosto morbido: magari ogni tanto arrestava un oppositore o un giornalista oppure oscurava qualche sito internet, ma era pur sempre possibile dialogarci in modo pragmatico. Anche i mezzi d’informazione spesso hanno preso in giro quest’uomo baffuto con l’aria di un furbo contadino, che sembra venire da un’altra epoca e a cui piace farsi celebrare come il tutore del suo popolo, il suo piccolo padre (batska in bielorusso). 

Nelle ultime settimane questo velo di banalizzazione dovrebbe essere caduto: i 450 casi di tortura e abusi documentati da un recente rapporto delle Nazioni Unite parlano da soli. Le allarmanti immagini di Lukašenko che indossa la divisa delle forze speciali e impugna un kalashnikov dovrebbero aver chiarito che questo longevo dittatore soffre di quella perdita di contatto con la realtà tipica della categoria. Non è certo un buon segno per chi spera ancora che lo zoccolo duro del regime possa dimostrarsi ragionevole.

Maria Kolesnikova non solo è stata attaccata dal regime, ma è stata anche denigrata dagli esponenti della vecchia opposizione

La rivincita delle pecore

La scomparsa di Kolesnikova e dei suoi collaboratori ha suscitato grande inquietudine, paura e sconforto. Bisogna vivere in Bielorussia per capire quanto questa donna sia coraggiosa e determinata. Lo stesso vale per l’altra leader dell’opposizione Svetlana Tichanovskaja, che è stata costretta a lasciare il paese ma ha deciso di non arrendersi, nonostante le fortissime pressioni psicologiche. Non bisogna dimenticare che suo marito, Sergej Tichanovskij, è ancora nelle mani del regime.

Tichanovskaja e Veronika Tsepkalo, moglie di Valery Tsepkalo, ex candidato alla presidenza fuggito in Russia, hanno saputo fare quello che in quindici anni non era riuscito a nessuna forza d’opposizione. Hanno gettato le basi per un movimento di protesta senza precedenti, che sta facendo davvero tremare il regime.

Eppure tutti le sottovalutavano: il governo e la vecchia opposizione. Solo chi le sosteneva ha creduto in loro, probabilmente perché le due donne hanno capito come far presa sui cittadini a livello emotivo, continuando a ripetergli quanto siano forti. Può sembrare una tattica innocua e ingenua, ma ha raggiunto quelli che Lukašenko umiliava chiamandoli “ratti” e “pecore” e che un tempo anche l’opposizione disprezzava, chiamandoli “contadini obbedienti”. 

Kolesnikova, flautista e insegnante di musica, nelle ultime settimane non solo è stata attaccata dal regime, ma è stata anche denigrata dagli esponenti della vecchia opposizione partitica e dai loro sostenitori. L’accusa: lei e il suo capo, il banchiere Viktor Babariko, ancora in carcere, sarebbero marionette del Kgb, venduti al Cremlino. È una teoria del complotto usata spesso dalla vecchia opposizione per screditare gli avversari.

Tichanovskaja, Tsepkalo e Kolesnikova sono anche accusate di non avere esperienza politica e di fare solo azioni di propaganda. Sui social network sono state apostrofate come “serpi” e con altri termini sessisti. Ma tutte le presunte debolezze della nuova opposizione si sono rivelate punti di forza: l’organizzazione decentrata e apparentemente caotica, l’inesperienza e una leadership considerata debole. È ora che anche la comunità internazionale e la società civile dei paesi democratici riconoscano e sostengano l’impegno di queste donne e dei cittadini in generale.

Minsk, 8 settembre 2020. La polizia arresta un gruppo di manifestanti (Valery Sharifulin, Tass/Getty Images)

I bielorussi, a cui nessuno ha mai prestato ascolto e attenzione, ora stanno affermando chiaramente che non vogliono più essere sottomessi e prevaricati. Vogliono prendere in mano il loro destino. In realtà il regime di Lukašenko è alle corde, anche se ancora si difende con azioni repressive insidiose e mirate: negli ultimi giorni, per esempio, sono stati arrestati giornalisti, artisti e attivisti. Il presidente spera che la paura logori i rivoltosi, costringendoli a piegarsi.

Punto di rottura

Qualcuno potrebbe osservare che, dopo l’arresto del giurista Maksim Znak, di tutti i dirigenti del consiglio di coordinamento dell’opposizione solo la premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievič è ancora a piede libero in Bielorussia. Il consiglio però è composto da decine di attivisti ed esponenti del mondo dell’economia, della cultura, della politica, del diritto e della società civile, che in tanti anni di lotta contro il regime hanno imparato ad adattarsi rapidamente. 

In questa complessa situazione, comunque, è difficile prevedere cosa succederà e quando arriverà il momento in cui le strutture di potere del regime saranno talmente indebolite che il cambiamento sarà inevitabile. Probabilmente già ora il livello di stress emotivo e fisico è già altissimo da entrambe le parti. Inoltre bisogna considerare il presidente russo Vladimir Putin e la sua determinazione a restare al potere.

Per ora da Mosca sono arrivate solo dichiarazioni di sostegno a Lukašenko, alle quali però non si deve dare troppo peso. A Minsk sono stati mandati alcuni esperti di propaganda russi, che hanno fatto un lavoro piuttosto scadente e sono stati ridicolizzati dai bielorussi su internet. Una forza di polizia russa dovrebbe essere pronta a intervenire se la situazione dovesse “sfuggire di mano”. Per quanto riguarda il sostegno da parte del “fratello maggiore russo”, questo è più o meno tutto.

Da sapere
Fuori dal tempo

La Bielorussia ha ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991. Nel 1994 Aleksandr Lukašenko, ex ufficiale dell’esercito e direttore di un’azienda agricola di stato, ha vinto le prime elezioni presidenziali. Da allora è sempre rimasto al potere. Molte organizzazioni non governative lo hanno accusato di violazioni delle libertà democratiche e dei diritti umani. Sotto la sua guida la Bielorussia non ha avviato la transizione verso un’economia di mercato come la maggior parte degli altri paesi dell’ex blocco sovietico, e la proprietà delle grandi aziende è rimasta in mano allo stato. Nel 1999 Russia e Bielorussia, che sono molto simili per lingua, cultura e religione e sono state unite per gran parte della loro storia, hanno firmato un trattato di unione che avrebbe dovuto portare a un’integrazione sempre più profonda tra i due paesi e alla creazione di un unico stato federale. Il progetto però è rimasto in gran parte sulla carta, soprattutto a causa delle resistenze di Lukašenko. L’economia bielorussa dipende dai sussidi e dai prestiti russi, ma negli ultimi anni Minsk ha cercato di smarcarsi da Mosca e di avvicinarsi economicamente ai paesi occidentali.

Nel 2020 Lukašenko si è candidato per la sesta volta alla presidenza. Le candidature di molti esponenti dell’opposizione non sono state approvate e alcuni di loro sono stati arrestati. Le elezioni si sono svolte il 9 agosto e secondo i risultati ufficiali sono state vinte da Lukašenko con l’80 per cento dei voti. Svetlana Tichanovskaja, moglie di uno dei candidati arrestati e arrivata seconda, non ha accettato il risultato e si è dichiarata vincitrice. Da allora nella capitale Minsk ogni domenica almeno centomila persone hanno manifestato per chiedere le dimissioni di Lukašenko. Le proteste si sono estese al resto del paese e sono state accompagnate dagli scioperi di lavoratori e studenti. Le forze dell’ordine hanno arrestato centinaia di persone e sono state accusate di aver picchiato e torturato manifestanti disarmati. ◆


La reticenza e le esitazioni di Mosca potrebbero essere interpretate anche in un altro modo: in questa situazione così ingarbugliata il governo russo non sa bene come muoversi per mantenere il paese nella sua sfera d’influenza senza irritare i bielorussi e i suoi stessi cittadini. Anche in Russia, infatti, ci sono state molte espressioni di solidarietà per il paese vicino, di cui i russi sapevano ben poco. Video­blogger e mezzi d’informazione indipendenti garantiscono una copertura molto professionale delle proteste. E anche in Russia ribolle il malcontento nei confronti di Putin e del suo clan, che con la riforma della costituzione si sono appena assicurati il potere a vita. Sarà davvero il caso di sostenere a spada tratta Lukašenko, che diffonde rozze teorie del complotto, che ormai si ritrova contro quasi tutto il suo paese e che per Mosca è sempre stato un partner inaffidabile?

Fortunatamente l’8 settembre Maria Kolesnikova ha dato un segno di vita. Ha strappato il suo passaporto per non farsi espellere in Ucraina, poi è stata arrestata. Sui social network i bielorussi hanno cominciato a postare foto e immagini di lei, esprimendo solidarietà, sostegno e grande stima per il suo coraggio. Una cosa è certa: i bielorussi non chineranno più la testa. È ora di farci l’abitudine. ◆sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1376 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati