Un altro pomeriggio afoso nel nord della Tanzania, un altro rischioso gioco delle sedie. Dopo essere tornati al campo per ripararci dal sole, e con una voglia incredibile di sederci, ci siamo scambiati un’occhiata e poi abbiamo guardato verso l’unica sedia libera. Nell’altra era seduto sorridente Onawasi, un anziano molto stimato ma un po’ dispettoso. Se la stava proprio godendo.
Stavamo trascorrendo l’estate con la comunità hadza, una delle ultime popolazioni di cacciatori-raccoglitori del pianeta. Gli uomini e le donne hadza non sviluppano né malattie cardiache né molti altri mali del mondo industrializzato. Volevamo capire perché. Il nostro piccolo gruppo di ricerca era arrivato con due jeep cariche di strumenti tecnologici per misurare i movimenti che gli hadza facevano e le calorie che bruciavano ogni giorno mentre perlustravano il territorio alla ricerca di animali selvatici, miele, tuberi e bacche.
Quel giorno eravamo esausti per il caldo e l’umidità. Volevamo solo sederci, come Onawasi. Lui era andato a caccia tutta la mattina e sicuramente meritava quella sedia più di noi. Le nostre preziose sedie da campo, che ci eravamo trascinati nella savana anche se erano pesanti, attiravano gli hadza come calamite. Sapevamo di avere molto da imparare dagli hadza su come mantenersi in forma. Ma a quanto pare, potevano insegnarci qualcosa d’importante anche su come riposare. Nei dieci anni successivi avremmo capito perché le sedie sono così irresistibili, e perché sembra che ci facciano male.
Il segreto
Nel 2012, prima della Brexit, prima che Donald Trump diventasse presidente degli Stati Uniti e prima del covid-19, il mondo fu avvertito di un nuovo e insidioso pericolo, una pandemia invisibile. I-Min Lee, un’epidemiologa dell’università di Harvard, negli Stati Uniti, aveva analizzato i dati sulla mortalità provocata da malattie cardiache, diabete e cancro, e aveva scoperto un indiziato comune: le sedie. In un articolo pubblicato sulla rivista The Lancet, Lee e i suoi colleghi concludevano che ogni anno in tutto il mondo i lunghi periodi di inattività uccidevano più di cinque milioni di persone, al punto che il rischio per la salute era “simile a quello del fumo e dell’obesità”.
Ancora più allarmante era il fatto che l’esercizio fisico non annulla completamente i danni dello stare seduti. Le lunghe ore passate su una sedia o su un divano ci rubano anni di vita, anche se andiamo regolarmente in palestra.
I preti e i responsabili della sanità pubblica ci mettono in guardia da millenni dal peccato di accidia. Ma anche se ci suona familiare, il consiglio di fare movimento nasconde un curioso enigma evolutivo. Perché i periodi di inattività ci danneggiano anche se facciamo esercizio fisico? Come ha potuto l’evoluzione produrre un organismo che reagisce così male al riposo? Come spiegò chiaramente Charles Darwin 150 anni fa, la selezione naturale premia le strategie che favoriscono la sopravvivenza e la riproduzione. Quindi qualsiasi attività che non favorisce il successo riproduttivo è uno spreco. Di conseguenza il nostro corpo dovrebbe essere ben adattato a riposarsi ogni volta che è possibile per risparmiare energie a questo scopo. Molte specie sembrano rispondere a questa filosofia. Nell’oceano alcuni predatori possono rimanere a riposo per più di un giorno in attesa che una preda gli passi vicino. Molti rettili e anfibi entrano in uno stato di quiescenza durante i periodi di maltempo o quando il cibo scarseggia. Gli orsi, i pipistrelli e diversi altri mammiferi passano l’inverno in ibernazione, e quando in primavera si risvegliano non hanno nessun problema. Perfino i nostri cugini più stretti, i grandi primati, ogni giorno passano ore seduti o distesi come ubriachi che devono riprendersi da una sbornia.
Nelle società in cui c’erano pochi mobili, per riposarsi ci si accovacciava
Nonostante l’opinione comune che i cacciatori-raccoglitori siano più attivi degli abitanti dei paesi industrializzati, grazie alla nostra esperienza con gli hadza e ai dati scientifici su altre popolazioni, sappiamo che trascorrono anche molto tempo seduti o distesi. Durante il giorno, quando tornano al campo dopo una spedizione, gli uomini e le donne cercano sempre un posto all’ombra per sedersi mentre controllano il fuoco, preparano da mangiare e socializzano. Ma, a differenza degli abitanti del mondo industrializzato, anche se stanno seduti non si ammalano. Qual è il loro segreto?
I primi sospetti sugli effetti negativi dello stare seduti troppo a lungo li sollevò un importante studio sui dipendenti del trasporto pubblico londinese nel 1953. L’epidemiologo Jerry Morris aveva osservato che gli autisti degli autobus stavano seduti quasi tutto il giorno, mentre i bigliettai stavano in piedi e andavano su e giù per le scale degli autobus a due piani. Morris e i suoi colleghi seguirono 31mila lavoratori per due anni e scoprirono che gli autisti avevano il 30 per cento di probabilità in più di sviluppare malattie coronariche, di ammalarsi prima e con conseguenze più gravi. Alcune ricerche successive, che misero a confronto i postini e i loro colleghi che lavoravano in ufficio, diedero risultati simili.
Sintetizzando i risultati, Morris si concentrò sull’importanza dell’attività fisica per prevenire le malattie cardiache, contribuendo alla nascita del movimento moderno a favore dell’esercizio fisico. Ma a partire dagli anni novanta i ricercatori cominciarono a chiedersi se fosse proprio lo stare seduti a essere dannoso per la salute. Infatti alcuni studi dimostrarono che le persone che stavano sedute a lungo a guardare la tv correvano un alto rischio di sviluppare malattie cardiache e di morire più giovani.
Invenzione recente
Quest’ipotesi è sostenuta dai dati ottenuti con i tentativi di imitare gli effetti dei viaggi spaziali sul corpo umano. Negli anni cinquanta la Nasa, l’agenzia spaziale statunitense, cominciò a preoccuparsi di come la mancanza di gravità avrebbe influito sulla salute degli astronauti e avviò una serie di studi sulla posizione supina. Chiedeva ai volontari di rimanere distesi per lunghi periodi, a volte per più di due mesi. Com’era prevedibile, le loro ossa si assottigliavano e i muscoli s’indebolivano. Ma emersero anche altri effetti inaspettati: aumentava il livello di trigliceridi nel sangue e crescevano altri fattori di rischio cardiovascolare.
Con l’aumento delle prove dei pericoli dell’inattività, si svilupparono ipotesi sul perché fosse così dannosa. Quando stiamo in piedi o camminiamo, impegniamo i muscoli delle gambe e del busto per restare dritti. Quando siamo seduti o a letto, quei muscoli smettono di lavorare e si accasciano. Forse la chiave di tutto era l’attività muscolare.
Di solito i ricercatori medici testano le loro ipotesi sui roditori, ma non era possibile convincere una cavia a sedersi in poltrona a guardare la tv. Marc Hamilton, dell’università del Missouri, e i suoi colleghi non si scoraggiarono. Sospesero i topi a testa in giù, legandoli per la coda a un anello attaccato al tetto della gabbia. Non avendo bisogno di sostenere il corpo, i muscoli lombari dei topi smettevano di essere attivi e di produrre energia. Questo riduceva i livelli di un enzima che fornisce energia ai muscoli, la lipoproteina lipasi, una sorta di aspirapolvere dei trigliceridi: ne rompe le molecole trasformandoli in acidi grassi, che possono essere bruciati dai muscoli, e quindi li rimuove dal flusso sanguigno.
Nei topi di Hamilton i trigliceridi si accumulavano nel sangue perché i muscoli non ne avevano bisogno e non producevano la lipoproteina lipasi per romperli. L’analogia con gli esseri umani era evidente: rimanendo seduti a lungo interrompiamo l’attività dei muscoli e facciamo salire i trigliceridi.
Gli studi condotti sugli esseri umani hanno confermato questo meccanismo. In diversi esperimenti controllati, le persone costrette a stare sedute per lunghi periodi hanno sviluppato un alto livello di trigliceridi. Ma se i periodi in cui erano sedute erano intervallati da un minimo di attività, anche una passeggiata lenta, i trigliceridi scendevano notevolmente. Nelle persone che avevano ridotto il tempo in cui stavano sedute e avevano aumentato quello in cui camminavano, il livello dei trigliceridi scendeva del 32 per cento. Stare seduti a lungo senza interruzioni altera anche le pareti dei vasi sanguigni, le rende più rigide e più soggette alle malattie coronariche. Ma basta interrompere il riposo con una leggera attività fisica per rimettere in funzione i vasi.
Forse gli hadza evitavano i pericoli dell’inattività riposando di meno ogni giorno o forse si alzavano e camminavano più spesso. A livello intuitivo, era un’ipotesi interessante: era difficile immaginare che ogni giorno un hadza stesse seduto quanto un tipico cittadino statunitense. Ma la nostra esperienza con Onawasi e l’attrazione che la sedia esercitava su di lui ci hanno fatto pensare a una spiegazione più complessa. Magari il problema erano le sedie.
L’evoluzione dei materiali è uno strano fenomeno. Le innovazioni tendono ad accumularsi, e soluzioni semplici lasciano il posto ad altre più sofisticate. Nonostante questo, per millenni capita che nessuno scopra le soluzioni più semplici e funzionali. Gli antichi britanni che costruirono Stonehenge erano abbastanza sapienti da conoscere i movimenti del sole e abbastanza intelligenti da trovare il modo per spostare massi da venti tonnellate, ma non immaginavano ancora la ruota. Le sedie sono un’altra invenzione recente. Secondo gli archeologi, fecero la loro comparsa solo cinquemila anni fa, molto dopo la nascita dell’agricoltura e della metallurgia. Nel paleolitico, ai tempi dei nostri antenati cacciatori raccoglitori, le sedie non esistevano. Ancora oggi gli hadza non le usano. Sono in grado di fabbricare un’impressionante quantità di oggetti, dagli archi e dalle frecce fino alle case impermeabili, e sanno accendere il fuoco. Ma non fabbricano mobili. In una casa hadza la cosa che più si avvicina a un mobile è una pelle di animale stesa sul pavimento per dormire.
Senza sedie né mobili, come ci si riposa? L’antropologo Gordon Hewes era interessato a quest’argomento. Aveva insegnato a Tokyo a metà degli anni cinquanta e aveva visto che nelle occasioni formali in Giappone la posizione più comune era in ginocchio. Hewes stilò un compendio di quasi mille posizioni adottate dagli esseri umani nel mondo e scoprì che nelle società in cui c’erano pochi mobili per riposarsi le persone si accovacciavano o s’inginocchiavano a terra. Queste posizioni fanno parte del repertorio umano da millenni. Per accovacciarsi bene, i piedi vengono flessi in avanti, facendo premere l’astragalo, un piccolo osso della caviglia, contro l’estremità inferiore della tibia. Se viene adottata spesso, questa posizione lascia sulla tibia un segno detto squatting facet. I paleoantropologi hanno trovato queste faccette su resti fossili di esseri umani che risalgono al periodo dell’Homo erectus, circa due milioni di anni fa.
Una grande differenza
Abbiamo notato che nella comunità hadza, per riposarsi le persone di tutte le età passano molto tempo accovacciate, con i talloni a terra e il sedere appoggiato sul retro delle caviglie. Chi non lo fa da quando è nato probabilmente non ha la flessibilità per accovacciarsi così. Questa posizione sembra richiedere più attività muscolare che stare seduti su una sedia. Da qui è nata una terza ipotesi su come gli hadza evitavano i rischi legati all’inattività: forse il loro segreto era il modo in cui si sedevano.
Qualche anno dopo quel pomeriggio afoso, siamo tornati nel loro territorio con una serie di piccoli sensori indossabili per registrare l’attività muscolare e la posizione del corpo. Abbiamo usato i sensori per registrare le abitudini di riposo degli hadza per una settimana, calcolando sia il numero medio di ore d’inattività quotidiana sia la frequenza con cui gli hadza interrompevano i lunghi periodi di seduta per alzarsi e camminare. Abbiamo anche condotto una serie di studi controllati per misurare la loro attività muscolare in varie posizioni di riposo, compresi i momenti in cui stavano accovacciati o seduti su una sedia.
I risultati ci hanno sorpreso. Gli hadza si riposavano per circa dieci ore al giorno, più o meno come gli statunitensi, gli olandesi e gli australiani. Anche il numero d’interruzioni era simile. Gli adulti passavano dal riposo ad attività come stare in piedi o camminare più o meno cinquanta volte al giorno, all’incirca come gli europei. Nonostante questo, gli esami del sangue e la pressione dimostravano che erano incredibilmente sani, con un livello basso di trigliceridi e nessun segno di problemi cardiaci. Erano molto più sani dei loro simili nei paesi industrializzati costretti a lavorare alla scrivania, ma non perché si riposavano di meno o si alzavano per sgranchirsi le gambe più spesso.
La grande differenza era l’attività muscolare durante il riposo. Per stare accovacciati bisogna tenere il corpo in equilibrio sui piedi, e questo richiede un’attività muscolare tra le cinque e le dieci volte maggiore che stare seduti su una sedia o a terra, e a volte perfino più lavoro muscolare di un’attività leggera. Senza dubbio, quando abbiamo registrato le posizioni di riposo usate in tutto il campo, abbiamo capito che gli hadza stavano accovacciati o in ginocchio per un terzo del tempo. Mettendo insieme i dati, siamo arrivati alla conclusione che l’uso di posizioni di riposo “attive”, come stare accovacciati o in ginocchio, può far lavorare i muscoli abbastanza da impedire l’accumulo dei trigliceridi ed evitare alcune malattie.
Se queste posizioni di riposo più attive erano usate anche dai nostri antenati, gli effetti negativi dello stare seduti sulla nostra salute sono perfettamente comprensibili: la nostra fisiologia non ha mai conosciuto lunghi periodi d’inattività muscolare, quindi il nostro corpo non ha sviluppato un modo per difendersi.
Alla fine come potevamo criticare Onawasi o chiunque altro solo perché desiderava sedersi sulle nostre sedie da campo? Noi le abbiamo volute per lo stesso motivo: le sedie sono un piacere, ci permettono di riposare i muscoli stanchi. Il loro fascino ha catturato la nostra attenzione collettiva fin da quando sono apparse nel nostro mondo materiale. Ma da quando sono state inventate, le sedie ci permettono di riposare in un modo relativamente nuovo per il corpo umano. Questa novità è un vantaggio ma allo stesso tempo è anche un pericolo. Dobbiamo rinunciare alle sedie? A meno che non siamo stati accovacciati fin dall’infanzia, costringerci a farlo da adulti può provocare dolore e disagio. Gli hadza d’altronde trascorrono gran parte dei loro periodi di riposo anche stando seduti o sdraiati, in posizioni che comportano una bassa attività muscolare. Quindi forse non dobbiamo evitare del tutto di sederci. Ma i risultati della nostra ricerca fanno pensare che possiamo migliorare la nostra salute cardiovascolare stando meno seduti durante il giorno per aumentare l’attività muscolare. Come ci hanno dimostrato gli hadza, è probabile che il nostro nemico siano i muscoli inattivi.
Quindi ora che stiamo tutti più a casa, lavoriamo a distanza e guardiamo la tv più a lungo, proviamo a suddividere il tempo sul divano in periodi più brevi. Alziamoci, muoviamoci e, se siamo agili e intraprendenti, proviamo ad accovacciarci come gli hadza, assumendo una postura di riposo attiva. Il nostro cuore ci ringrazierà.◆ bt
**Herman Pontzer **insegna antropologia evolutiva alla Duke university, negli Stati Uniti. **David Raichlen **è un biologo, insegna alla University of Southern California.
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Questo articolo è uscito sul numero 1375 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati