Una manifestazione contro l’amministrazione Trump a New York, 1 maggio 2025. (Mostafa Bassim, Anadolu/Getty Images)

Scrive Rebecca Solnit nella nuova prefazione di Hope in the dark (pubblicato in Italia nel 2005 da Fandango con il titolo Speranza nel buio): “I tuoi avversari vorrebbero farti credere che non c’è speranza, che non hai nessun potere, che non c’è motivo di agire, che non puoi vincere. La speranza è un dono a cui non devi rinunciare, un potere che non devi buttare via. (…) È importante chiarire cosa non è la speranza: non è la convinzione che tutto sia andato, stia andando o andrà bene. Le prove del contrario – sofferenze immense e distruzioni enormi – sono ovunque intorno a noi. La speranza che mi interessa riguarda prospettive ampie e possibilità concrete, che ci invitano o ci impongono di agire. Non è nemmeno un racconto solare secondo cui tutto va sempre meglio, anche se può fare da contrappeso al racconto secondo cui invece tutto va sempre peggio. La possiamo definire un resoconto di complessità e incertezze, con degli spiragli. (…) La speranza si fonda sull’idea che non sappiamo cosa succederà, e che proprio nello spazio dell’incertezza c’è margine per agire. Riconoscere l’incertezza significa riconoscere che potremmo essere in grado di influenzare i risultati – da soli, con poche decine di persone o insieme a milioni di altre. La speranza è un abbraccio all’ignoto e al conoscibile, un’alternativa alla sicurezza sia degli ottimisti sia dei pessimisti. Gli ottimisti credono che andrà tutto bene anche senza il nostro intervento; i pessimisti pensano l’opposto; entrambi si sentono autorizzati a non agire. La speranza è la convinzione che quello che facciamo è importante, anche se non possiamo sapere in anticipo come e quando sarà importante, chi o cosa influenzerà. E forse non lo sapremo nemmeno dopo, ma è importante lo stesso”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1614 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati