La bugia del “genocidio” degli agricoltori bianchi in Sudafrica è stata al centro dell’incontro del 21 maggio tra il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa e lo statunitense Donald Trump. Ma non c’è un “genocidio dei bianchi” in Sudafrica, perciò sentirne parlare alla Casa Bianca è stato sconcertante. Tra le cosiddette prove presentate da Trump c’è il video di una “messa funebre” in ricordo delle vittime bianche degli attacchi alle fattorie, con chilometri di croci sui lati di una strada. In realtà le immagini mostrano una protesta del 2020, organizzata da gruppi di agricoltori preoccupati per gli omicidi nelle fattorie. Le croci rappresentavano le persone assassinate nei vent’anni precedenti, non erano sepolture di massa.
La protesta era stata decisa dopo che una coppia di agricoltori bianchi, Glen e Vida Rafferty, erano stati uccisi a colpi di arma da fuoco nella loro casa nella provincia del KwaZulu-Natal. Il trauma vissuto da familiari, amici e colleghi ha profondamente toccato quella comunità rurale. Tre dei quattro responsabili sono stati incarcerati, il quarto è stato ucciso prima della fine del processo. Anche se è stata usata nella campagna di disinformazione di Trump, la storia dei Rafferty mette in luce tre fatti importanti sui reati violenti in Sudafrica, di cui gli attacchi alle fattorie sono solo una parte. Innanzitutto, i tassi di omicidi e di rapine a mano armata sono altissimi, a livelli inaccettabili. Inoltre questa violenza colpisce tutti i sudafricani, non solo bianchi e agricoltori. E scuote intere comunità, che spesso organizzano proteste e chiedono azioni risolutive.
Due inchieste indipendenti condotte tra il 2000 e il 2015 – una della polizia, una della Commissione sudafricana per i diritti umani – hanno esaminato gli attacchi alle fattorie, e in particolare le accuse secondo cui i crimini sarebbero parte di una campagna per costringere gli agricoltori bianchi a lasciare le loro terre. Né quelle inchieste né altre indagini credibili hanno fatto emergere prove a sostegno di un’ipotesi simile. Senza contare che stabilire se ci sia stato o meno un genocidio non è una questione di opinioni, ma di diritto internazionale. Se l’amministrazione Trump ritiene che in Sudafrica sia in corso un genocidio, può usare le vie legali per confermarlo e passare all’azione. Ma non l’ha ancora fatto.
Comunità traumatizzate
Gli omicidi di agricoltori in Sudafrica avvengono quasi sempre nel corso di rapine, non rientrano in un tentativo di distruggere, del tutto o in parte, un gruppo etnico. All’origine spesso ci sono dispute sul lavoro o casi di violenza domestica. Se chi vive in aree rurali e in fattorie può essere più vulnerabile a causa dell’isolamento e della mancanza di sicurezza e di servizi di supporto, non è dimostrato che gli agricoltori corrano un rischio più alto di essere uccisi rispetto al resto della popolazione.
Chi denuncia una campagna orchestrata contro gli agricoltori bianchi tende a citare il basso numero di arresti e di condanne per questi reati. Uno studio condotto tra il 2016 e il 2021 da AfriForum, un gruppo di pressione legato alla comunità afrikaner, ha rivelato che si arriva a una condanna solo nel 18 per cento dei casi.
◆ Nel periodo 2023-2024 in Sudafrica è stato registrato un tasso di 45 omicidi ogni centomila abitanti, il secondo più alto tra i paesi che pubblicano statistiche su questi crimini, come emerge dai dati dell’ Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine. The Conversation
Questo però non dipende dal fatto che il governo trascura i reati contro gli agricoltori. Dal 2012 a oggi la capacità della polizia sudafricana d’individuare i responsabili di un omicidio è calata del 65 per cento, attestandosi intorno all’11 per cento. Negli ultimi cinque anni solo per il 13 per cento degli omicidi si è arrivati a una condanna, un tasso inferiore a quello presentato da AfriForum. Le gravi carenze del sistema di giustizia penale colpiscono tutti, non solo chi vive nelle campagne.
Il Sudafrica registra il tasso di omicidi più alto al mondo e numerosissime rapine a mano armata. Questi reati violenti sono parte di un problema più ampio e complesso che trascende i confini razziali e culturali. Per esempio, i 49 omicidi registrati da AfriForum nelle fattorie tra l’aprile 2023 e il marzo 2024 sono stati lo 0,2 per cento dei 27.621 omicidi avvenuti in tutto il paese. I 296 attacchi a mano armata alle fattorie denunciati dalla stessa organizzazione sono stati lo 0,7 per cento delle 42.206 rapine denunciate in tutto il paese.
Se da un lato ci sono stati 127 omicidi in più rispetto all’anno precedente, AfriForum ha registrato un calo – da 50 a 49 – di quelli avvenuti nelle fattorie. Nello stesso periodo le rapine nelle fattorie sono diminuite del 12,7 per cento, mentre il numero complessivo di questi attacchi è calato del 2,1 per cento. Questi non sono solo numeri: parlano di vite distrutte e comunità traumatizzate. Molti sudafricani si sono messi all’opera con risultati positivi. Chi lavora nell’agricoltura ha migliorato i rapporti con le comunità confinanti, adottando allo stesso tempo misure per garantire la propria incolumità. Naturalmente il governo deve lavorare sulla sicurezza, anche nelle aree rurali. Il Sudafrica ha le conoscenze e gli strumenti per affrontare questi alti livelli di violenza. Nel sistema di giustizia penale servono dirigenti capaci e alla polizia più risorse per svolgere le indagini. Ma non è tutto: sono necessari sforzi congiunti per affrontare le grandi disuguaglianze economiche e la povertà.
L’affermazione razzista e politicizzata secondo cui i sudafricani bianchi sono minacciati di genocidio circola da anni nei gruppi di estrema destra e neonazisti. Negli Stati Uniti David Lane, un suprematista bianco morto nel 2007, ne aveva parlato in un libro del 1988 intitolato White genocide manifesto. Forse questo spiega quali sono le vere motivazioni dell’amministrazione Trump, più che le preoccupazioni verso i contadini sudafricani. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1616 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati