Fresco vincitore a Lucca del Gran Guinigi per il miglior disegno con Il figlio di Pan, Fabrizio Dori è riuscito nell’impresa di realizzare un’altra opera fondamentale, dopo il capolavoro Il dio vagabondo, visto che questo volume conclusivo della vicenda, protagonista Eustis, il satiro immortale sempre infelice nel mondo dei mortali, è ancor più bello del primo. Maestro nella dilatazione degli spazi e degli oggetti in chiave onirica, a Dori riesce non meno la trasfigurazione di estetiche, anche opposte, della storia della pittura in modo mai gratuito poiché le amalgama in maniera organica e sempre ispirata. Così se domina Van Gogh, in forma sentita e pertinente (evocando una natura primigenia e perduta), c’è spazio anche per l’art nouveau di Alphonse Mucha. E nella contrapposizione con la fredda programmazione della modernità tutto è bello poiché città e fabbriche evocano il costruttivismo e Piet Mondrian (per esempio Composizione, del 1921) e il creatore di Little Nemo Winsor McCay, sia sul piano figurativo sia citandolo (il piccolo figlio di Pan è una chiara reincarnazione di Little Sammy Sneeze). È evidente che all’autore di Gauguin. L’altro mondo piace vivere e far vivere al lettore sul piano sensoriale i vari stadi della storia dell’arte come fossero i paesaggi reali del mondo. Al quale pare augurare di saper ritrovare l’altro mondo: quello appunto sensoriale, la verità delle divinità dimenticate.

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Questo articolo è uscito sul numero 1640 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati