“Il Giappone è il paese dei mille dèi: la tradizione vuole che praticamente tutto abbia un’anima, inclusi oggetti creati dall’uomo, rocce e piante”, si rimarca nella nota editoriale della meravigliosa Enciclopedia degli spiriti giapponesi di Shigeru Mizuki da accoppiare con l’Enciclopedia dei mostri giapponesi, sempre sua. Per il grande autore giapponese scomparso nel 2015 che mise al centro del suo lavoro il folclore, mostri e spiriti sono la stessa cosa, perché lo yokai è proprio questo. Spiriti e mostri racchiusi in un’unica sintesi alla quale Mizuki ne aggiunge un’altra, perché per lui gli yokai siamo noi, gli esseri umani. In questa raccolta dei suoi racconti brevi giovanili dei primi anni sessanta, Mizuki mette in scena personaggi umani, avidi e furbi, ingenui e meschini, e altri soprannaturali, che non sono poi così diversi. Nel finale, si ha anche la prefigurazione del suo personaggio di maggior successo, Kitaro dei cimiteri, dove un occhio mobile, tutto quel che resta di suo padre (all’origine una sorta di vero mostro), cerca di proteggere con discrezione il figlio Kitaro dalle insidie del mondo degli umani. Mizuki, scrive Vincenzo Filosa con finezza nella postfazione, “ha dedicato la sua vita ad avvicinare mondi apparentemente lontani”. Perché l’arte di Mizuki spinge ad affrontare il diverso e quello che ci inquieta come parte naturale del mondo circostante per raggiungere una sua piena comprensione.

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Questo articolo è uscito sul numero 1621 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati