Una domenica mattina Orlando Cartagena, 59 anni, si siede in un bar di Madrid senza farsi troppo notare. Nessuno sa chi sia, da dove venga o cos’abbia dovuto passare per arrivare fino a lì. Un mese prima Cartagena aveva guidato i festeggiamenti per il terzo anniversario dell’autoproclamata repubblica di Annobón, un’isola di diciassette chilometri quadrati con circa cinquemila abitanti, che vuole l’indipendenza dalla Guinea Equatoriale, anche se nessun paese finora l’ha riconosciuta. “Lottiamo per la nostra libertà”, dice Cartagena, che si presenta come il primo ministro di Annobón.
Il nome dell’isola ha avuto origine da una spedizione portoghese che passò di lì il 1 gennaio 1475, ribattezzando quella terra _anno bom _(“anno buono” in portoghese). Nonostante i più di cinque secoli di storia, poche persone la conoscono e la dichiarazione d’indipendenza del 2022 è passata inosservata al di fuori della Guinea Equatoriale (il paese di cui fa parte insieme all’isola di Bioko, dove sorge la capitale Malabo, e a un piccolo territorio sulla costa dell’Africa occidentale). A maggio l’interesse per Annobón ha varcato l’oceano Atlantico, dopo che Cartagena e una delegazione del movimento indipendentista Ambô Legadu hanno fatto un tour in Argentina per discutere della possibilità che l’isola diventi parte del paese sudamericano. “Potremmo rientrare in una provincia argentina o essere uno stato associato”, ha detto Cartagena a una radio locale.
La proposta faceva riferimento a un passato comune. Alla fine del sedicesimo secolo il Portogallo cedette l’isola e altri territori africani alla Spagna, che ne affidò l’amministrazione al vicereame del Río de la Plata, comprendente gli attuali territori di Argentina, Bolivia, Cile, Paraguay e Uruguay. “Sono formule da negoziare al momento opportuno con il governo argentino”, commenta Cartagena, precisando che la priorità è il riconoscimento diplomatico. “Prima dobbiamo essere liberi di decidere”.
Il leader di Ambô Legadu assicura di aver incontrato senatori e deputati argentini, anche se non ha avuto contatti diretti con il governo di Javier Milei. Ad agosto Cartagena e la sua delegazione sono tornati in Argentina per denunciare per crimini contro l’umanità il governo del presidente guineano Teodoro Obiang Nguema Mbasogo.
La dichiarazione d’indipendenza non è stata gradita dalle autorità della Guinea Equatoriale: nella costituzione del paese Annobón è indicata come parte “inalienabile” del suo territorio per cui il movimento separatista è considerato “illegale” e “istigato dall’occidente”. Cartagena e gli altri leader del movimento sono stati denunciati. Da tre anni l’isola è strettamente sorvegliata da centinaia di militari e dal governo centrale.
Fin dai tempi dell’indipendenza dalla Spagna e dell’annessione alla Guinea Equatoriale nel 1968, il rapporto tra il potere centrale e la remota isola di Annobón, che ha un’identità etnica distinta e una sua lingua, è stato turbolento e caratterizzato da un rigido isolamento.
Nel 1972, dopo essersi proclamato presidente a vita, l’allora leader guineano Francisco Macías Nguema vietò l’ingresso e l’uscita da Annobón. Pochi mesi dopo sull’isola scoppiò un’epidemia di colera: secondo alcune stime uccise quasi la metà della popolazione, che non ricevette medicine, vaccini o beni di prima necessità. “Mancava tutto”, ricorda lo scrittore annobonese Juan Tomás Ávila, spiegando che la storia di quegli anni è determinante per capire la diffidenza degli abitanti verso il potere centrale e le ferite aperte che hanno fatto nascere il movimento indipendentista.
Dopo il colpo di stato militare del 1979 guidato da Obiang, nipote del dittatore, le cose non migliorarono. Negli anni ottanta i mezzi d’informazione internazionali rivelarono che la Guinea Equatoriale aveva deciso di stoccare ad Annobón milioni di tonnellate di rifiuti tossici provenienti dall’Europa. Abbiamo chiesto all’ambasciata della Guinea Equatoriale in Spagna di commentare questa e altre accuse, ma senza ricevere risposta.
Nel 1993 sull’isola scoppiò una protesta che si concluse con una violenta repressione militare e due morti. La Guinea Equatoriale accusò la Spagna di aver fomentato la rivolta, sospese le consegne di aiuti umanitari, militarizzò l’isola e accusò una ventina di abitanti dell’accaduto. Tra loro c’era Cartagena, che fu torturato e condannato a morte, come ha documentato l’ong Amnesty international.
“È una mafia. Sono 57 anni che va avanti così”, afferma Cartagena, che è rimasto in carcere per quattordici mesi, fino a che non ha ricevuto l’indulto. Da allora vive in esilio in Spagna.
Di recente Obiang, al potere da più di quarant’anni, ha annunciato una serie di progetti – da un hotel di lusso a impianti per l’acqua potabile – per alleviare la povertà dell’isola. Ma gli esuli dicono che sono progetti destinati al fallimento, com’è successo a una fabbrica di lavorazione del tonno la cui costruzione era prevista nel 2019 ma che resta ancora sulla carta. Nel 2024 l’imprenditore spagnolo responsabile dei lavori di costruzione è stato arrestato in Spagna per aver pagato tangenti ad alti funzionari guineani.
Condanna internazionale
Le tensioni tra gli annobonesi e il potere centrale sono arrivate fino alle Nazioni Unite. Nel luglio 2024 un gruppo di abitanti ha scritto un documento per denunciare l’uso della dinamite nelle attività della Somagec, un’azienda marocchina che ha ottenuto appalti per centinaia di milioni di euro e che cerca minerali sull’isola. Secondo gli abitanti le esplosioni hanno danneggiato le loro case e l’ecosistema e per questo hanno chiesto a Obiang di fermare i lavori.
Per tutta risposta il regime ha arrestato 23 persone, come ha denunciato il gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie dell’alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite. Secondo la sua ricostruzione, i detenuti sono stati trasferiti a Malabo con un aereo della flotta presidenziale, un metodo usato spesso nei sequestri di oppositori e prigionieri politici in Guinea Equatoriale. Altre 19 persone di Annobón che vivevano in esilio sono state arrestate per cospirazione. Il contingente militare sull’isola è stato rafforzato e, per rappresaglia, è stato bloccato l’accesso a internet. Secondo l’ong Access now, la connessione non è ancora stata ripristinata.
“I responsabili dei reati di ribellione e sedizione ad Annobón risponderanno delle loro azioni davanti alla legge”, ha scritto sui social media il vicepresidente Teodoro Nguema Obiang Mangue, detto Teodorín, figlio del presidente Obiang. Nell’arco di 48 ore sono state prese tutte le misure possibili per mettere a tacere la protesta.
“Un amico mi ha chiamato e mi ha detto che mia moglie era stata arrestata”, racconta Pepe Yao, marito di Estrella Alfaro, una delle artiste più famose dell’isola. La coppia doveva andare in Spagna per celebrare l’anniversario della proclamazione della repubblica di Annobón, ma ad Alfaro è stato negato il permesso di lasciare il paese e poi, nel cuore della notte e senza mandato, è stata arrestata.
La maggior parte dei detenuti è finita nella prigione di Black beach, a Malabo, considerata una delle peggiori del mondo. Ad aprile il gruppo di lavoro dell’Onu sulla detenzione arbitraria ha dichiarato che è stato violato il diritto dei detenuti a un processo equo e che gli arresti erano illegali.
Per evitare uno scandalo, in occasione del suo 83° compleanno, Obiang ha annunciato, con “spirito di magnanimità”, la grazia agli annobonesi se avessero chiesto scusa alla tv di stato mostrandosi come “cittadini pentiti”. Non ha menzionato la denuncia delle Nazioni Unite.
“Mia moglie ha passato quasi un anno senza vedere il sole”, racconta Yao. Una foto scattata dopo il rilascio mostra un’Alfaro stravolta. I suoi lunghi capelli erano stati rasati e aveva il volto emaciato. Il desiderio più grande di suo marito è che lasci il paese: “Il suo crimine è stato solo scrivere canzoni”.
Il futuro di Annobón è pieno di incognite. Se fosse riconosciuto, sarebbe il paese indipendente più piccolo dell’Africa. La comunità in esilio spera che il sostegno internazionale dia impulso alla lotta degli annobonesi. “Dichiarare l’indipendenza significa lottare per la vita”, dice Cartagena, prima di sparire tra la folla. ◆ fr
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Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati