Sono nata durante la dittatura militare imprenditoriale del Brasile. Uso questa espressione perché nel 1984 i generali beneficiarono dell’appoggio degli imprenditori per portare a termine un colpo di stato che sottopose l’intero paese a indicibili atrocità per 21 anni. Sono cresciuta sotto una dittatura che sequestrava, torturava, rapiva e assassinava centinaia di persone non native e migliaia di nativi. La maggioranza della popolazione era sorda alle grida dei torturati, delle donne incarcerate illegalmente, nelle cui vagine la mano dello stato introduceva ratti e scarafaggi e i cui corpi nudi erano martoriati con scariche elettriche e poi mostrati ai figli piccoli. Da bambina ascoltavo gli alleati della dittatura raccontare come i loro scagnozzi avevano ucciso gli indigeni in Amazzonia per rubargli le terre, incoraggiati dal progetto di esproprio e sfruttamento della foresta avviato dalla dittatura.
Sono diventata adolescente senza poter parlare dei libri che la mia famiglia nascondeva perché erano censurati, ricevendo istruzioni su quello che potevo e non potevo dire. Ero ancora una bambina quando ho compiuto la mia prima (e fallimentare) azione di guerriglia. Un sindaco amico della dittatura aveva umiliato mio padre. Armata solo di una scatola di fiammiferi, cercai di dare fuoco al municipio.
L’11 settembre, data della sentenza della corte suprema nei confronti dei generali e di Jair Bolsonaro, è stato il giorno più importante nella storia del Brasile
Ho atteso la condanna dei generali da quando sono nata. Per questo motivo l’11 settembre, il giorno della condanna emessa dalla corte suprema contro i generali, i militari e Jair Bolsonaro, che sono il vomito prodotto dall’impunità della dittatura, è stato il più importante della mia vita. È stato il giorno più importante della vita del Brasile, anche se la maggioranza della popolazione non lo sa.
Tutto il paese dovrebbe ballare nelle strade, ma non lo fa. Se l’avesse fatto al momento opportuno, Jair Bolsonaro non sarebbe mai diventato presidente e decine di migliaia di persone, alberi, animali e fiumi sarebbero ancora vivi. Bolsonaro incarna tutto quello che ci ha uccisi per decenni. L’ex presidente ha ucciso fomentando l’invasione delle terre indigene, ha ucciso eseguendo un piano per raggiungere la cosiddetta immunità di gregge durante la pandemia e ha ucciso aizzando l’odio verso le minoranze. È stato condannato a 27 anni e tre mesi di prigione per cinque reati, tra cui quello di aver tentato un colpo di stato. Ma deve ancora rispondere di molti altri crimini davanti allo sguardo degli orfani creati dal suo governo.
La verità è che Bolsonaro è il prodotto dell’impunità dei generali che durante la dittatura hanno autorizzato la tortura e l’assassinio degli oppositori e hanno dato il via libera allo sfruttamento dell’Amazzonia. È il figlio dell’incapacità del Brasile di condannare i militari, che ha costretto le vittime di tortura e i figli degli assassinati a incontrare i torturatori in ascensore e al supermercato. Bolsonaro è figlio di un paese che ha concesso l’indulto ai torturatori e agli assassini di stato durante il processo di democratizzazione. Da capitano dell’esercito ha capito di poter fare tutto ciò che voleva quando ha pianificato le esplosioni nelle caserme durante le proteste per l’aumento dei salari negli anni ottanta. Invece di essere punito, è diventato deputato e poi presidente.
Ora è arrivata la fine di tutto questo. Per la prima volta nella storia del Brasile, un paese dove la repubblica è nata con un golpe militare e che ne ha vissuti altri, tre generali e un ex presidente sono stati incarcerati per aver organizzato un colpo di stato. Per la prima volta il potere civile ha posto dei limiti all’impunità dei generali. Non si tratta di una democrazia che si rafforza, ma di un paese che finalmente raggiunge l’età adulta.
È chiaro che per ottenere una giustizia reale era indispensabile arrivare a una condanna di Bolsonaro. Tuttavia se il tribunale supremo avesse condannato solo lui e non i generali la giustizia sarebbe stata solo parziale. Per chi è capace di vedere l’arco della storia, la condanna dei generali è il punto di svolta.
Oggi il Brasile è cambiato, ma niente è diventato più facile. Nel 2018 Bolsonaro era stato eletto da persone che sapevano esattamente chi fosse e ancora oggi è un mito per milioni di brasiliani e brasiliane. Il 7 settembre – la festa dell’indipendenza dal Portogallo– i manifestanti di estrema destra hanno srotolato un’enorme bandiera degli Stati Uniti. A queste persone non importa nulla del paese, come ha dimostrato uno dei figli di Bolsonaro, Eduardo, cercando di convincere Donald Trump ad applicare sanzioni contro il Brasile e contro la corte suprema. Non sono nazionalisti, vogliono solo il potere.
La lotta continua. Ma in questi giorni festeggiamo una vittoria storica. Per questo io ballo: per i milioni di alberi sradicati, per i milioni di animali e funghi uccisi, per i fiumi e i ruscelli, per le montagne, per i popoli della natura che combattono in prima linea. Ballo per le persone nere che resistono nelle favelas e nelle periferie. Oggi ballo, e la mia danza è la mia lotta. ◆ as
Questo articolo è uscito sul quotidiano spagnolo El País
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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati