Nel settembre del 2020, poco prima che arrivasse l’ondata invernale di covid-19, scrivevo che gli Stati Uniti erano intrappolati in una spirale pandemica e apparentemente condannato a ripetere gli stessi errori. Ma dopo l’arrivo dei vaccini, a metà dell’inverno, i casi erano diminuiti e alla vigilia dell’estate avevano raggiunto il livello più basso dall’inizio della pandemia. Molti statunitensi avevano cominciato a sperare che si potesse uscire da quel circolo di nuovi contagi e passi falsi. E anche se gli esperti erano preoccupati in vista dell’autunno, pochi prevedevano il diffondersi della variante delta all’inizio di luglio. Ma ora il paese è nel pieno della quarta ondata ed è di nuovo intrappolato nella spirale pandemica. La verità è che probabilmente non ne era mai uscito.

Questa nuova ondata porta con sé una sgradevole sensazione di déjà vu. Gli Stati Uniti sono mossi dagli stessi istinti tentatori e autodistruttivi di cui parlavo nel 2020. Hanno puntato tutto su un’unica arma – i vaccini – rinunciando alle mascherine e ad altre misure protettive. Si sono arresi al pensiero magico e si sono comportati come se la variante delta – che aveva già colpito duramente l’India – potesse risparmiare un paese dove metà della popolazione non era ancora vaccinata. Sono caduti nella trappola della normalità, l’idea di poter tornare ai giorni spensierati del 2019. A maggio, quando i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie negli Stati Uniti (Cdc) hanno cancellato l’obbligo delle mascherine al chiuso per le persone vaccinate, il presidente statunitense Joe Biden ha fatto un discorso che somigliava a una dichiarazione di vittoria. Tre mesi dopo i contagi e i ricoveri sono in aumento, sono tornate le mascherine al chiuso, scuole e università riaprono tra problemi e incertezze. “Sono passati otto mesi dall’inizio dell’anno, e non riesco a credere che stiamo facendo ancora questi discorsi”, dice Jessica Malaty Rivera, epidemiologa del Children’s hospital di Boston.

Ma oggi qualcosa è cambiato: il virus. “Nella tarda primavera i modelli erano abbastanza concordi nel prevedere che l’estate sarebbe stata ‘normale’”, dice Samuel Scarpino della Rockefeller foundation, che studia le dinamiche delle malattie infettive. “È evidente che non è andata così”. In parte, spiega, le persone hanno sottovalutato la facilità di trasmissione della variante delta e le sue conseguenze. La versione originaria del virus sars-cov-2 aveva un numero di riproduzione di base (R0), da due a tre, cioè ogni persona contagiata lo trasmetteva ad altre due o tre. Si tratta di valori medi: nella pratica il virus si è diffuso in modo non omogeneo, con un numero relativamente limitato di persone che creava grossi focolai in eventi di super-diffusione. Ma i Cdc calcolano che l’R0 della variante delta si colloca tra 5 e 9, una cifra “paurosamente alta”, dice Eleanor Murray, epidemiologa dell’università di Boston. Con questi numeri di contagio “sostanzialmente smette di dipendere dagli eventi di super-diffusione”, spiega Scarpino.

In altre parole, molte persone contagiate dal virus originario non lo hanno passato a nessuno, ma la maggior parte delle persone colpite dalla variante delta crea dei focolai d’infezione. Questo spiega in parte perché i contagi sono aumentati così rapidamente. Significa anche che il virus quasi sicuramente sarà un elemento permanente della nostra vita, anche se i vaccini ne riducono la letalità o la capacità di causare una malattia grave.

Gli Stati Uniti ora si trovano ad affrontare un dilemma scoraggiante. Nel 2020 molte persone si accontentavano di guadagnare tempo mentre i vaccini venivano perfezionati ed entravano in azione. Ma i vaccini ora ci sono, la loro somministrazione si è stabilizzata, ed è in corso la prima ondata dell’era post-immunizzazione. A cosa servono, quindi, le mascherine, il distanziamento e le altre precauzioni?

“Quando il virus si muove dobbiamo muoverci anche noi, e a volte questo significa fare marcia indietro”, dice l’epidemiologa Caitlin Rivers

La risposta, come in passato, è che servono a guadagnare tempo: per proteggere gli ospedali, tenere aperte le scuole e raggiungere chi non è ancora vaccinato. Molte persone prima o poi finiranno per incontrare il virus: vogliamo fare in modo che il più alto numero possibile lo faccia con due dosi di vaccino in corpo, e che tutti s’imbattano nel virus il più tardi possibile. La pandemia non è finita, ma finirà: l’obiettivo resta quello di arrivare alla conclusione della partita con meno danni possibili. Il covid-19 ha mandato il mondo in caduta libera, e anche se i vaccini hanno rallentato la discesa, dobbiamo ancora stare attenti agli ostacoli davanti a noi. “Soffriamo tutti della pandemic fatigue, la fatica da pandemia, lo capisco”, dice Rivera. “Ma le persone non devono pensare di aver vinto quando si vaccinano. Vincere vuol dire fare in modo che il sars-cov-2 non ci metta di nuovo in ginocchio”.

I vaccini funzionano

Gli Stati Uniti non sono tornati al punto di partenza. Le misure che hanno ostacolato la versione originaria del virus funzionano anche contro la sua variante; grazie ai vaccini la metà degli statunitensi è molto più protetta rispetto a nove mesi fa. La vaccinazione completa (quanto meno con i vaccini mRna) ha un’efficacia di circa l’88 per cento nel prevenire la malattia sintomatica causata dalla variante delta. Secondo i dati della Kaiser family foundation aggiornati a inizio agosto, i contagi delle persone vaccinate sono possibili ma sono pochissimi: tra lo 0,01 e lo 0,29 per cento delle 166 milioni di persone che hanno ricevuto entrambe le dosi. E anche se possono provocare sintomi spiacevoli, sono molto più lievi delle infezioni equivalenti in soggetti non vaccinati: l’immunizzazione completa è efficace al 96 per cento nel prevenire il ricovero in ospedale, e questo spiega perché più del 95 per cento dei posti letto per covid negli ospedali è occupato da persone non vaccinate. I vaccini funzionano, e funzionano bene.

Ma anche se le persone che hanno ricevuto due dosi sono ben protette, le comunità con alte percentuali d’immunizzazione possono essere ancora vulnerabili, per tre ragioni. In primo luogo, le persone senza vaccino non sono distribuite in modo casuale. Tendono invece a essere concentrate a livello geografico e a essere socialmente legate tra loro, creando sacche che possono essere colpite dalla variante delta. Perfino in luoghi con alti tassi di vaccinazione, come il Vermont e l’Islanda, la variante si sta ancora diffondendo.

Le misure di protezione potrebbero diventare una componente normale della nostra vita come le cinture di sicurezza o la crema solare

In secondo luogo, anche le persone vaccinate sono potenzialmente in grado di diffondere il virus, una questione che recentemente ha provocato una certa confusione. I Cdc hanno riportato che i contagiati dalla variante delta hanno livelli simili di virus nel naso, indipendentemente dal fatto che siano vaccinati o no.

Ma un altro studio condotto a Singapore indica che, anche se le cariche virali in un primo momento sono comparabili, negli individui vaccinati si abbassano più in fretta. È perfettamente ragionevole: le difese immunitarie indotte dai vaccini circolano nel corpo e hanno bisogno di tempo per riconoscere un virus che penetra nel naso. Ma quando lo hanno riconosciuto “riescono a controllarlo rapidamente”, dice Marion Pepper, immunologa dell’università di Washington. “All’inizio la quantità di virus può essere la stessa, ma non riesce a replicarsi nelle vie aeree e nei polmoni.” E visto che i vaccinati hanno una probabilità molto più bassa di essere contagiati, hanno anche una probabilità minore di trasmettere la variante delta.

Nonostante questo, una serie di evidenze scientifiche, tra cui la descrizione dei focolai e altre segnalazioni, suggeriscono che le persone vaccinate possono effettivamente diffondere la variante delta, anche se meno di chi non è vaccinato. È per questo che i Cdc sono tornati a raccomandare l’uso delle mascherine al chiuso. Ed è per questo che gli immunizzati non possono pensare di essere fuori dal problema collettivo della pandemia. I loro comportamenti continuano a influenzare la capacità della variante delta di raggiungere i non vaccinati, compresi gli immunodepressi e i bambini. “Se ti sei vaccinato, hai fatto la cosa migliore che potevi fare, e non c’è motivo di essere pessimista”, dice Inci Yildirim, esperta di malattie infettive pediatriche a Yale. “Sei più protetto. Ma devi chiederti quanto vuoi che siano sicure le persone intorno a te”.

La delta “ha davvero spostato indietro le lancette dell’orologio”, spiega Shweta Bansal, esperta di ecologia delle malattie infettive a Georgetown

In terzo luogo, l’alta trasmissibilità della variante delta annulla parte della protezione a livello di comunità garantita dai vaccini. In un paese dove metà della popolazione è vaccinata ma non si adottano altre misure protettive, la variante delta si può diffondere più rapidamente di quanto farebbe il virus originario in un paese dove le persone non sono vaccinate. Può perfino provocare dei focolai in luoghi dove il 90 per cento della comunità è vaccinata ma non si adottano altre norme di sicurezza. La delta “ha davvero spostato indietro le lancette dell’orologio”, spiega Shweta Bansal, esperta di ecologia delle malattie infettive a Georgetown. “Comunità che erano al sicuro sono di nuovo in pericolo”. I vaccini possono ancora limitare l’entità e l’impatto delle ondate, trasformando un incendio catastrofico in una fiamma meno devastante, ma la matematica ci dice che “non è possibile risolvere il problema della variante delta solo con la vaccinazione”, sostiene Murray.

Obbligo possibile

Ecco, quindi, il dilemma attuale della pandemia: i vaccini rimangono il modo migliore con cui le persone riescono a proteggersi, ma le società non possono considerare i vaccini la loro unica difesa. E per ora negli Stati Uniti le sacche non vaccinate sono abbastanza grandi da causare ondate che possono portare gli ospedali al collasso, far chiudere le scuole e far crescere la probabilità che si diffondano varianti ancora peggiori. Per scongiurare questi esiti “dobbiamo sfruttare ogni singolo strumento a nostra disposizione”, dice Bansal. Questi strumenti dovrebbero prevedere una ventilazione migliore per ridurre la diffusione del virus, test rapidi per individuare infezioni precoci e forme di sostegno sociale come permessi di malattia retribuiti, sospensione degli sfratti e luoghi di isolamento gratuiti che consentano alle persone contagiate di stare lontani dagli altri. Nei posti con un minor numero di casi, come il Maine o il Massachusetts, potrebbero bastare le mascherine, la più semplice, la più economica e la meno spiacevole delle misure anti-covid.

Stati come la Louisiana e la Florida, dove la variante delta si sta diffondendo rapidamente, “dovrebbero valutare una risposta forte, per esempio vietare di mangiare al chiuso nei ristoranti e limitare la capienza degli eventi pubblici”, dice Murray. La Louisiana ha già reintrodotto l’obbligo della mascherina al chiuso. Ma molti governatori repubblicani, tra cui Greg Abbott in Texas e Ron DeSantis in Florida, hanno preventivamente vietato alle amministrazioni locali e alle scuole di imporre certi obblighi. In Arkansas il governatore Asa Hutchinson si è pentito di aver firmato una legge che impedisce alle amministrazioni locali di imporre l’uso della mascherina, e sta cercando di abrogare la norma.

Nicola Bertasi, Hans Lucas

Ci sono modi migliori per contrastare l’aumento de contagi. Negli Stati Uniti il congresso potrebbe vincolare i finanziamenti alla capacità dei leader locali di prendere certe decisioni, mi ha detto Lindsay Wiley, esperta di legislazione in materia di salute pubblica dell’American university. I leader statali potrebbero introdurre la stessa politica delle mascherine adottata in Nevada, “ideale” secondo Julia Raifman, esperta di politiche sanitarie all’università di Boston. L’obbligo scatta automaticamente nelle contee che superano i valori indicati dai Cdc per definire un alto livello di trasmissione, mentre sono esentate le contee che rimangono sotto la soglia. In questo modo, sostiene Raifman, la via d’uscita è sempre visibile, l’opinione pubblica capisce perché sono state prese certe decisioni e “i politici non sono tenuti a seguire costantemente i cambiamenti dettati dalla scienza”.

Anche l’obbligo vaccinale può essere d’aiuto. Emily Brunson, antropologa della Texas state university che ha studiato gli atteggiamenti nei confronti del vaccino, pensa che gli ordini generalizzati dall’alto “non funzionerebbero, e le ripercussioni potrebbero fare più male che bene”. Ma gli obblighi vaccinali sono facilmente giustificabili negli ospedali, nelle strutture di assistenza a lungo termine e nelle carceri, “ambienti ad alto rischio dove le persone vulnerabili non hanno scelta sull’esposizione alla malattia”, dice Wiley. Potrebbe essere una strada anche per gli studenti universitari, i dipendenti pubblici e i militari, che sono già tenuti a soddisfare dei requisiti medici.

Illusione di gregge

I calcoli sulla sicurezza devono tener conto anche di un altro importante cambiamento. Nelle prime tre ondate, i più vulnerabili al covid-19 erano gli anziani, mentre oggi l’80 per cento degli statunitensi che hanno più di 65 anni è immunizzato con due dosi. Ma i bambini sotto i 12 anni non sono ancora idonei al vaccino, e ci vorranno mesi prima che le autorità sanitarie concedano un’autorizzazione d’emergenza per queste fasce d’età. I bambini tendono a non ammalarsi gravemente, ma negli Stati Uniti ne sono già morti più di 400, mentre molti altri hanno sviluppato il covid lungo o la Mis-c, sindrome infiammatoria multisistemica. Gli eventi rari e gravi sono più dolorosi quando toccano i bambini, e nell’era della variante delta possono moltiplicarsi rapidamente. Come ha scritto la mia collega Katherine J. Wu, i casi di covid pediatrico stanno aumentando rapidamente e le ospedalizzazioni sono al massimo dall’inizio della pandemia.

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La didattica a distanza ha costretto bambini e genitori a fare grandi sacrifici, e tutti gli esperti che ho contattato sono d’accordo sul fatto che i ragazzi dovrebbero tornare in classe. Ma dovrebbero farlo con le necessarie protezioni. Questo significa vaccinare gli adulti per creare uno scudo intorno ai bambini, distribuire mascherine ad alunni e personale scolastico, assicurarsi che ci sia una ventilazione migliore e test regolari. “Sono assolutamente convinta che le scuole debbano continuare con le misure di mitigazione”, dice Caitlin Rivers, epidemiologa della Johns Hopkins, altrimenti i focolai di delta saranno inevitabili. Questi focolai hanno già costretto nove scuole del Mississippi alla didattica a distanza e a mettere in quarantena 800 persone di un solo distretto scolastico in Arkansas. E al covid-19 si stanno aggiungendo altre malattie respiratorie, tra cui il virus respiratorio sinciziale (Vrs). “Quando c’è un grosso focolaio le scuole non possono fare altro che chiudere”, ha detto Brunson. “Sono in gioco l’istruzione e il benessere di un’intera generazione di bambini”.

Le prossime settimane segneranno un altro momento decisivo in una crisi che sembra offrire una sequela spossante di momenti decisivi. “Penso che la gente abbia ragione a sentirsi ferita, confusa e arrabbiata, perché le cose non dovevano andare così”, dice l’epidemiologa Eleanor Murray. Ma “risposte frammentarie e superficiali” hanno consentito la diffusione incontrollata del virus che ha incoraggiato l’evoluzione della variante delta e di altre varianti. “Le persone dovrebbero pretendere che non si ripetano gli stessi errori dell’anno scorso”.

“Anch’io sono scoraggiata, ma quando il virus si muove dobbiamo muoverci anche noi, e a volte questo significa fare marcia indietro,” dice Rivers. L’incidenza giornaliera oggi negli Stati Uniti è di 48 casi ogni 100mila persone; quando scenderanno a 10, “e preferibilmente a meno di 5, avrò la sensazione che le cose vadano meglio”.

Ma poi che succederà? La variante delta è così trasmissibile che, quando saranno cancellate le precauzioni, molti paesi “avranno una grande ondata di uscita”, dice Adam Kucharski, esperto di modelli di malattie infettive alla London school of hygiene and tropical medicine. Con l’aumento dei vaccinati, queste ondate diventeranno più limitate e più gestibili. Ma l’immunità di gregge – il punto in cui ci sono tanti immunizzati che il virus non riesce a riprodursi – probabilmente non potrà essere raggiunta solo con la vaccinazione. Anche se l’R0 della variante delta fosse nella parte più bassa dell’intervallo ipotizzato dai Cdc, bisognerebbe vaccinare più del 90 per cento della popolazione per raggiungere l’immunità di gregge, un risultato poco plausibile. Ai valori massimi dell’R0 l’immunità di gregge è matematicamente impossibile con i vaccini che abbiamo oggi.

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Questo significa che il sogno di estirpare completamente il virus è pura fantasia. La pandemia finirà quando quasi tutti avranno acquisito l’immunità, preferibilmente perché sono stati vaccinati o in alternativa perché sono stati contagiati e sono sopravvissuti. Quando succederà, il ciclo delle ondate finirà e la pandemia si esaurirà. Il nuovo coronavirus diventerà endemico, un fenomeno ricorrente della nostra vita come i suoi quattro cugini che provocano i comuni raffreddori. Non rappresenterà più un grosso problema, e non perché sarà cambiato, ma perché non sarà più nuovo e le persone non saranno più vulnerabili dal punto di vista immunologico. L’endemicità è sempre stata un esito probabile. Lo scrivevo già a marzo del 2020. Ma probabilmente ora è inevitabile. “Prima sembrava ancora possibile che uno sforzo davvero concertato potesse portarci alla scomparsa quasi totale del covid-19”, mi ha detto Murray. “Ma la variante delta ha cambiato la situazione”.

Se il sars-cov-2 è destinato a restare tra noi, quasi tutti prima o poi finiranno per incontrarlo nel corso della vita. Può essere difficile da accettare, perché molti di noi hanno passato l’ultimo anno impegnandosi a evitare completamente il virus. Ma “in realtà non è il virus in sé a essere terrificante”, spiega Jennie Lavine, una ricercatrice che studia le malattie infettive alla Emory university. “È la combinazione del virus e di un sistema immunitario impreparato. Quando il sistema immunitario diventerà più forte, il virus non sarà così spaventoso”.

Mettiamola così: il sars-cov-2, il virus, provoca il covid-19, la malattia, ma non deve necessariamente andare così. Il vaccino può separare le due cose. Le persone vaccinate finiranno con l’inalare il virus ma non si ammaleranno gravemente. Alcuni avranno sintomi pesanti ma guariranno. Molti saranno beatamente inconsapevoli di questo incontro. “Ci sarà un momento, nel futuro, in cui la vita tornerà a essere quella di due anni fa: incontri qualcuno, lo abbracci, ti prendi un’infezione, consumi qualche pacchetto di fazzolettini e vai avanti tranquillamente”, ha detto Lavine. “La destinazione è questa, ma non ci siamo ancora arrivati”.

Operatori stremati

Nessuno degli esperti con cui ho parlato ha voluto prevedere quanto tempo ci vorrà, soprattutto perché molti sono rimasti scottati dalle previsioni sulla variante delta. Alcuni pensano sia possibile che la variante raggiunga rapidamente gran parte degli statunitensi non vaccinati, rendendo improbabili altre ondate future. “Quando ne usciremo, penso che saremo protetti abbastanza bene contro un’altra ondata, ma esito a dirlo perché l’ultima volta mi sono sbagliata”, dice Rivers. È anche possibile che molte persone non vaccinate si contagino in autunno e che il virus diventi endemico solo nel 2022.

Da sapere
Aerazione a tutti i costi

◆ I paesi dell’emisfero settentrionale entrano in una fase delicata della pandemia. Le scuole stanno per riaprire, e con la fine dell’estate molte persone torneranno a svolgere attività nei luoghi chiusi, in un momento in cui la variante delta sta facendo aumentare velocemente i contagi. Il settimanale New Scientist spiega che uno degli aspetti su cui concentrarsi è l’aerazione degli spazi chiusi. “Sappiamo che il virus può essere trasportato in giro per una stanza in particelle molto piccole e che può aumentare se nella stanza c’è scarsa aerazione”, spiega Cath Noakes, ingegnera dell’ambiente dell’università di Leeds, nel Regno Unito. “E sappiamo che la scarsa aerazione è associata alla superdiffusione”. Le scuole in particolare, affollate di bambini in gran parte non vaccinati per i quali il distanziamento fisico è difficile, sono un anello debole nell’ostacolare la diffusione del virus. Ma l’aerazione è importante in tutti i luoghi di aggregazione: uffici, pub, ristoranti, università, palestre, strutture sanitarie, luoghi di svago, bagni pubblici, luoghi di culto e mezzi di trasporto pubblico.

Tuttavia, questo tema non è stato ancora veramente affrontato. In parte perché ci sono aspetti scientifici da chiarire. “Non esiste una sola regola semplice tipo ‘lavati le mani per 20 secondi’. E anche definire in cosa consista una buona aerazione è difficile”. In secondo luogo, c’è una certa resistenza dei proprietari degli immobili e dei datori di lavoro a investire su una migliore aerazione. Ma ci sono delle cose che si possono fare. Dal punto di vista dei singoli individui, ci si può dotare di un dispositivo di monitoraggio dell’anidride carbonica, grazie al quale è possibile stimare la concentrazione di aria espirata nella stanza. “Questo dato può indicarci indirettamente il livello di aerazione”, spiega Noakes. Anche i filtri dell’aria possono aiutare. I condizionatori, invece, rischiano di peggiorare le cose, perché a volte rimettono in circolo la stessa aria, anche se la sensazione di fresco ci porta a pensare che l’aerazione sia migliorata. I trasporti pubblici possono essere problematici, perché sono progettati per essere comodi, non ben ventilati. Alcune ricerche condotte nel Regno Unito però mostrano che gli aerei e i treni della metropolitana, pur avendo una qualità dell’aria scarsa, hanno una alto tasso di aerazione.


Ma se il futuro è questo, a quale scopo continuare ad affidarsi alle mascherine, al distanziamento fisico e ad altre precauzioni che si limitano a ritardare l’esposizione al virus? “Ci sono ancora molte ragioni per guadagnare tempo”, dice Bansal. Fermare il virus offre alle scuole la migliore possibilità di restare aperte, riduce il rischio che si sviluppino varianti ancora peggiori, dà ai ricercatori il tempo per capire meglio le conseguenze a lungo termine dei contagi tra le persone vaccinate. E, come nel 2020, protegge il sistema sanitario. Louisiana, Florida, Arkansas, Mississippi, Alabama e Missouri dimostrano che la variante delta è perfettamente in grado di far collassare gli ospedali, soprattutto nelle comunità in larga misura non vaccinate. Questo non può continuare a succedere, soprattutto perché gli operatori sanitari sono già stremati e devono anche occuparsi dei tanti pazienti che hanno dovuto rinviare le terapie durante le ondate precedenti. Questi operatori hanno bisogno di tempo per recuperare le forze, come del resto il paese in generale. I centri per la salute mentale sono già insufficienti per far fronte alle prossime ondate di traumi e di dolore. I pazienti con il covid lungo hanno già difficoltà ad accedere alle cure mediche e ai sussidi per la disabilità. Il costo della pandemia è cumulativo, e gli Stati Uniti non possono permettersi di accumularne ancora. Posticipare il più possibile i nuovi contagi ci offre la possibilità di riorganizzarci.

Rallentare la diffusione del coronavirus protegge anche milioni di statunitensi immunocompromessi, tra cui persone che hanno subìto un trapianto o con malattie autoimmuni come la sclerosi multipla e il lupus. Visto che devono prendere farmaci che sopprimono il loro sistema immunitario, queste persone non avranno vantaggi dal vaccino e non hanno possibilità di scelta. Già prima della pandemia dovevano gestire con attenzione ogni rischio d’infezione, e “rendendo più lunghe le ondate non li stiamo certo aiutando”, spiega Inci Yildirim, l’esperta di vaccinologia di Yale. Lei e altri stanno cercando il modo di potenziare la risposta al vaccino: con una terza dose, scegliendo il momento migliore per somministrare le dosi tra le altre terapie o usando sostanze adiuvanti che innescano risposte immunitarie più forti. Ma perché queste misure possano funzionare, “ci serve il lusso di un certo livello di controllo del covid-19”, conclude Yildirim.

Da sapere
Certificazioni e proteste

◆ Sono sempre di più i paesi che stanno adottando o pensando di adottare delle certificazioni d’immunità (il cosiddetto green pass) per i viaggi internazionali, per partecipare agli eventi pubblici o per entrare in ristoranti, discoteche e altri locali. Generalmente i requisiti per ottenerle sono gli stessi di quelli previsti in Italia: aver ricevuto il vaccino, essere guariti dall’infezione o essere risultati negativi a un tampone molecolare o antigenico. New Scientist prova a riflettere sull’efficacia di questa misura. “Se i vaccini garantissero una protezione completa dal contagio, se i test fossero assolutamente accurati e se ognuno rispettasse le regole, i certificati sarebbero efficaci al 100 per cento nel prevenire contagi nei luoghi pubblici. Visto che non è così, i pass vaccinali non possono impedire che scoppino dei focolai. Possono però ridurre il rischio che succeda”.

I governi sperano che i certificati possano anche servire a convincere le persone più riluttanti a vaccinarsi. In Francia il pass è entrato in vigore prima che in Italia e con parametri più rigidi (serve anche per sedersi all’aperto al bar), e sembra aver contribuito ad accelerare la campagna vaccinale. Nel paese però ci sono da sette settimane consecutive proteste molto accese e partecipate contro questa misura. L’ultima il 28 agosto, quando decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Parigi e in altre città. Uno dei cortei si è concluso con scontri tra manifestanti e polizia e lancio di lacrimogeni.

In Italia le manifestazioni sono state meno partecipate ma a tratti violente. Il 28 agosto una giornalista di Rainews24 è stata aggredita dai manifestanti a Roma, il 30 è successo a un collaboratore della Repubblica. Alcuni medici sono stati minacciati.


Un sistema agile e completo

Infine, gli Stati Uniti hanno semplicemente bisogno di più tempo per raggiungere i non vaccinati. Questo gruppo spesso viene dipinto come un monolite di irriducibili “no vax”, ma le cose stanno diversamente. Oltre ai bambini, nel gruppo rientrano persone che vivono in una condizione di insicurezza alimentare, che sono povere o rischiano di essere sfrattate. Ci sono anche persone che hanno ancora timori sulla sicurezza dei vaccini, che appartengono a comunità emarginate e nutrono un ragionevole scetticismo sull’establishment medico, e infine persone che non hanno tempo per andarsi a vaccinare né diritto a un permesso per riprendersi dagli effetti collaterali. Alcune delle più scettiche hanno cambiato idea dopo aver visto i danni causati dalla variante delta. Altre stanno usufruendo delle iniziative per portare i vaccini nei luoghi di aggregazione, come le chiese. Oggi servono più sforzi per aumentare il tasso di vaccinazione, ma “non è un obiettivo impossibile”, dice Rhea Boyd, pediatra e garante della sanità pubblica. Misure come indossare le mascherine al chiuso “ci danno tempo per fare questo lavoro”.

Le pandemie prima o poi finiscono. Ma questa non è ancora passata, e soprattutto non in tutto il mondo. Solo il 16 per cento della popolazione globale è vaccinata con due dosi. Molti paesi vanno incontro a “un duro anno di lockdown o di epidemie catastrofiche”, dice Adam Kucharski, l’esperto di modelli di malattie infettive. Gli Stati Uniti e il Regno Unito sono più avanti sulla strada verso l’endemicità, “ma non ci sono ancora arrivati, e l’ultimo tratto spesso è il più duro”, ha aggiunto. “Non ho simpatia per le persone che discutono su piccole misure nei paesi ricchi quando ci sono epidemie fuori controllo in grandi parti del mondo”. Alla fine, l’umanità raggiungerà una fragile pace con il coronavirus. I focolai di covid-19 diventeranno più rari e limitati, ma potrebbero ancora scoppiare quando le nuove nascite faranno aumentare i bambini con un sistema immunitario impreparato. Gli adulti potrebbero aver bisogno di un richiamo quando l’immunità diminuirà sensibilmente, ma stando ai dati attuali non dovrebbe succedere per almeno due anni. E anche in quel caso “ho molta fiducia nel sistema immunitario”, ha detto Marion Pepper, l’immunologa. “La gente potrà prendersi un raffreddore, ma la ridondanza del sistema immunitario provvederà in larga misura a preservarci dalla malattia grave”. La preoccupazione maggiore è che possano emergere nuove varianti in grado di sfuggire alle nostre attuali difese immunitarie, un evento che diventa più probabile se il coronavirus continua a diffondersi. “È questo che mi tiene sveglia la notte”, dice Shweta Bansal di Georgetown.

Come gli asiatici

Per evitare che succeda il mondo deve restare all’erta. Testare regolarmente persone sane può dirci dove il virus rischia di avere un’impennata. Sequenziare i geni può rivelarci la presenza di mutazioni preoccupanti e nuove varianti. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, avvicinandoci alla fine della pandemia queste misure diventano ancora più importanti, perché i cambiamenti di un virus sono più difficili da prevedere quando la trasmissione rallenta.

Da sapere
La pandemia di covid-19 nel mondo
Numero totale di decessi per milione di abitanti, selezione di paesi e dosi di vaccino somministrate ogni 100 abitanti, selezione di paesi (fonte: our world in data)

Purtroppo è proprio a questo punto che “i sistemi di sanità pubblica tendono a togliere il piede dall’acceleratore e ad allentare la sorveglianza”, dice Bansal. A maggio i Cdc hanno smesso di monitorare le infezioni delle persone vaccinate e si sono concentrati solo su quelle che causavano il ricovero in ospedale o la morte. Hanno anche dichiarato che le persone vaccinate che si erano esposte al virus non erano tenute a sottoporsi al test se non avevano sintomi. In seguito queste scelte sono state rinnegate, ma hanno comunque portato le persone “ad abbassare la guardia”, dice Jessica Malaty Rivera, che ha anche lavorato come volontaria al Covid tracking project dell’Atlantic, un’iniziativa per raccogliere dati e monitorare l’andamento della pandemia. “Non abbiamo mai fatto abbastanza test e continuiamo a non farne abbastanza”. In Florida le persone si trovano di nuovo a fare ore di coda per un tampone. “In questo senso siamo tornati alla primavera del 2020”, dice Samuel Scarpino, l’esperto di malattie infettive. “Continuiamo a operare in un vuoto informativo che in molte zone degli Stati Uniti impedisce di comprendere il covid-19”.

Quello di cui abbiamo bisogno, sostiene Scarpino, è un metodo agile e completo che includa test sistematici, monitoraggio delle acque reflue, sequenziamento genetico, analisi delle ricerche condotte su Google e altro. Ci permetterebbe di tracciare focolai ed epidemie proprio come le previsioni meteorologiche ci avvisano degli uragani. Un sistema di questo tipo potrebbe anche monitorare altre patologie respiratorie, e perfino indicare quale sarà il prossimo virus pandemico. “Il cellulare mi dice se devo prendere l’ombrello, e voglio che mi dica se devo mettermi la mascherina”, conclude Scarpino.

Dal gennaio del 2020 molti opinionisti statunitensi liquidano la minaccia del
covid-19 paragonandola a un’influenza o ai comuni raffreddori. Queste due ultime patologie sono ancora punti di riferimento per giudicare la nostra risposta. Ma “in un anno particolarmente brutto l’influenza può fare molti danni”, dice Lindsay Wiley della American university, e non deve essere necessariamente così. L’anno scorso l’influenza è praticamente scomparsa. Gli attacchi di asma sono diminuiti sensibilmente. Le infezioni respiratorie sono tra le prime dieci cause di morte negli Stati Uniti e nel mondo, ma spesso si possono prevenire, senza _lockdown _e obbligo permanente di mascherina.

La ventilazione dei nostri edifici si può migliorare. Gli scienziati dovrebbero essere in grado di mettere a punto vaccini contro i coronavirus esistenti. Anche gli occidentali possono mettersi la mascherina quando sono malati, come si fa in molti paesi asiatici. I posti di lavoro possono concedere permessi per malattia retribuiti e le scuole possono evitare di penalizzare le assenze, “in modo da non incoraggiare le persone a presentarsi quando sono malate”, spiega Wiley.

Tutte queste misure potrebbero diventare una componente normale della nostra vita come le cinture di sicurezza, i profilattici, la crema solare, il dentifricio e tutti gli altri strumenti che usiamo per proteggere la nostra salute. L’attuale ondata pandemica e l’inevitabile endemicità ci sembrano una sconfitta, invece potrebbero essere un’opportunità per riconsiderare il nostro atteggiamento nei confronti dei virus che inaliamo senza preoccuparci. ◆ gc

Ed Yong è un giornalista scientifico statunitense. In Italia ha pubblicato Contengo moltitudini (La nave di Teseo 2019). A gennaio del 2021 ha ricevuto il premio Pulitzer per i suoi articoli sulla pandemia di covid-19.

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Questo articolo è uscito sul numero 1425 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati