Per il 2025 le autorità vietnamite hanno annunciato un obiettivo di crescita del pil a due cifre. Tuttavia la crescita risente della combinazione di vari elementi: il settore privato debole, le tensioni geopolitiche che rallentano le esportazioni (il principale motore dell’economia nazionale) e gli effetti della crisi climatica. È ancora più difficile da raggiungere l’obiettivo di portare il tasso di fecondità sopra il livello di sostituzione demografica (la media di 2,1 figli per donna necessaria perché una popolazione si rinnovi da una generazione all’altra) in modo da bloccare il calo della manodopera. In caso contrario, un paese deve importare forza lavoro, attuare politiche per aumentare il tasso di fecondità, abbassare il tasso di mortalità o affrontare le conseguenze del calo demografico. Molti paesi ricchi hanno già tassi di mortalità e di fecondità sotto il livello di sostituzione, però hanno più risorse per gestire il problema. Anche nei paesi poveri i tassi di fecondità e di mortalità si stanno abbassando, ma nel loro caso è più difficile attirare lavoratori stranieri e ci sono meno soldi per la cura degli anziani.

Vecchio prima che ricco

Secondo la Banca mondiale il tasso di fecondità della Thailandia è sceso sotto la soglia di 2,1 nel 1991, e da allora ha continuato a diminuire in modo irregolare fino all’1,2 del 2023. Parallelamente la forza lavoro del paese è cresciuta poco e ha cominciato a calare nel 2022. Ora la Thailandia rischia di diventare un paese vecchio prima che ricco. Dal 2015 al 2024 la crescita del pil non ha superato il 2 per cento. Un quarto dei cittadini sopra i 65 anni ha un impiego, ma non basta per compensare le perdite.

Il Vietnam è a un terzo del percorso per diventare un paese ad alto reddito. Il pil pro capite è di soli 3.800 euro all’anno, ma il suo tasso di fecondità è di 1,9 ed è stabile dal 2000. Dopo il 2050 si prevede che la sua forza lavoro si ridurrà ed entro il 2060 potrebbe arrivare a 3,6 milioni di persone, il 5 per cento in meno rispetto al 2050. Tuttavia, se in questo periodo il pil del paese crescerà di un 5-6 per cento, il Vietnam dovrebbe diventare un paese ad alto reddito prima che la forza lavoro cominci a declinare. A un ritmo di crescita simile, dopo il 2040 il reddito pro capite potrebbe avvicinarsi a quello attuale della Cina. Ma poiché il tasso di crescita della popolazione del Vietnam ora è sotto l’1 per cento ed è in ulteriore calo, nei prossimi decenni potrebbe avere bisogno di una crescita annua del 5,5-6,5 per cento. Se ci riuscisse, il paese invecchierebbe gradualmente dopo essere diventato un paese ad alto reddito in base ai criteri stabiliti dalla Banca mondiale, tra cui quello di un reddito pro capite di 11.800 euro all’anno.

Il segretario generale del Partito comunista vietnamita, To Lam, sta cercando di affrontare questi problemi. Alcune misure, se ben attuate, potrebbero aiutare la crescita. Ma va ricordato che i piani di altri paesi, basati su agevolazioni fiscali e bonus per le famiglie con bambini, non hanno funzionato bene e si sono rivelati costosi. Rendere più economici l’istruzione e l’accesso alla casa e sostenere la cura dei bambini sono misure utili, ma non garantiscono tassi di fecondità alti.

Man mano che le donne diventano più istruite e lavorano fuori casa, allevare dei figli diventa più difficile. Con l’aumento del reddito pro capite crescono gli investimenti necessari per dare a ogni figlio delle buone opportunità. I programmi di welfare riducono la necessità che i giovani assistano i genitori che invecchiano. I minori inoltre diventano meno utili come manodopera interna. Per raggiungere il livello di sostituzione servono dei cambiamenti sociali profondi. Se gli uomini sono disposti a partecipare in modo più attivo alla cura dei figli e alle faccende domestiche, se la società offre più flessibilità ai genitori e se le aziende permettono a chi ha figli di fare carriera, è più probabile che la fecondità aumenti. Paesi come la Cina e il Vietnam dovrebbero promuovere questi cambiamenti al più presto. ◆ gim

David Dapice è professore emerito di economia alla Tufts University, negli Stati Uniti. È esperto di paesi del Sudest asiatico.

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Questo articolo è uscito sul numero 1633 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati