All’inizio di settembre la sede dell’azienda informatica bielorussa PandaDoc è stata perquisita dagli agenti del dipartimento investigativo finanziario, e pochi giorni dopo si è saputo che quattro dirigenti erano stati arrestati. Sono accusati di aver sottratto 107mila rubli (circa 34mila euro) dal bilancio aziendale, e rischiano da 5 a 12 anni di carcere.

La PandaDoc è stata fondata nel 2011 da due bielorussi, Mikita Mikado e Sergej Borisjuk. Due anni dopo l’azienda ha creato un software per l’automazione dei flussi di documenti, da cui ha ricavato 50 milioni di dollari. La sede centrale della compagnia si trova negli Stati Uniti, ma a Minsk lavorano più di duecento persone.

Mikado, amministratore delegato dell’azienda, ha negato tutte le accuse. Secondo lui l’inchiesta è solo la vendetta del governo per il progetto Protect Belarus. Ad agosto, mentre la polizia reprimeva le manifestazioni contro il presidente Aleksandr Lukašenko e torturava i dimostranti, Mikado ha infatti proposto di creare un servizio di raccolta fondi per sostenere gli agenti che volevano dimettersi.

Il messaggio era chiaro: “Se volete stare dalla parte giusta ma le finanze non ve lo permettono, rivolgetevi a noi, vi aiutiamo”. In meno di un mese Protect Belarus ha ricevuto circa seicento richieste di aiuto, ed è già riuscito a soddisfarne cinquanta.

I dipendenti della PandaDoc arrestati sono stati messi in custodia cautelare. Gli avvocati hanno presentato ricorso, ma sostengono che non gli è stato concesso di far visita ai loro assistiti in carcere.

In risposta agli arresti, la PandaDoc sta chiudendo tutte le sue attività in Bielorussia e portando fuori del paese più di 250 collaboratori. “Le autorità devono sapere che lotteremo: faremo pressione a livello economico, politico e comunicativo. Ci trasferiremo, privando il regime di entrate in valuta estera e tasse”, ha dichiarato Mikado in un video.

La PandaDoc non è stata l’unica azienda che ha deciso di lasciare il paese. Secondo un sondaggio realizzato su Linked­In da Nikolaj Murzenkov, cofondatore dell’azienda informatica Iomico, almeno 12 società si stanno trasferendo interamente e 59 parzialmente, mentre altre 112 hanno cominciato a muoversi in questo senso.

La situazione è talmente critica che perfino Lukašenko si è preoccupato. Il 1 settembre, quando in Bielorussia hanno riaperto le scuole, il presidente ha visitato l’istituto tecnico informatico di Baranoviči e si è rivolto agli studenti: “Ditemi, cosa serve agli informatici? Possiamo trovare una soluzione. Hanno bisogno di qualcosa? Ho già creato un paradiso tutto per loro, ma a quanto pare non sono soddisfatti”.

Tra gli stati dell’ex Unione Sovietica la Bielorussia può vantare un settore informatico avanzatissimo, e negli ultimi anni si è affermata come la “Silicon valley dell’Europa orientale”. Nel 2019 questo settore è stato responsabile di quasi il 50 per cento della crescita del pil nazionale, e tra il 2017 e il 2019 l’esportazione di servizi informatici è cresciuta di quasi due volte e mezzo, arrivando a due miliardi di dollari. “Siamo abituati a pensare che la Bielorussia sia un paese essenzialmente agricolo”, spiega l’economista Grigorij Baženov. “Ma l’informatica rappresenta il 6,5 per cento del pil, contro il 7,2 per cento dell’agricoltura. È il settore più all’avanguardia e quello che sta crescendo più rapidamente”.

Lo sviluppo in questo campo è in gran parte dovuto alle misure del governo per sostenerlo, che non hanno pari nello spazio postsovietico. Nel 2005 fu creato l’Hi-tech park: un distretto che offre vantaggi fiscali come l’esenzione dall’iva e dalle imposte sul reddito. Un decreto sullo sviluppo dell’economia digitale varato nel 2018 garantisce sgravi fiscali alle aziende dell’Hi-tech park che operano nella sfera delle criptovalute e delle blockchain. Attualmente il distretto ospita le sedi di 886 aziende.

Allo stesso tempo, spiega Baženov, lo sviluppo del settore è stato guidato soprattutto da Valerij Tsepkalo, che ha diretto l’Hi-tech park dal 2005 al 2017 ed è stato uno degli iniziatori del progetto. In seguito Tsepkalo è diventato una delle figure di punta dell’opposizione e ha sfidato Lukašenko alle elezioni presidenziali. La sua candidatura è stata invalidata e Tsep­kalo ha lasciato il paese.

Da sapere
Il ruolo della pandemia

◆ Il modo in cui il presidente Aleksandr Lukašenko ha gestito l’epidemia di covid-19 **in Bielorussia è uno dei principali motivi delle proteste della popolazione. Lukašenko ha sminuito il pericolo, senza mostrare alcuna compassione per le vittime. Questo comportamento ha provocato una grave perdita di fiducia, anche tra i suoi sostenitori. Un altro elemento decisivo è stato probabilmente l’improvvisa impossibilità di spostarsi all’estero, anche nei paesi vicini. Molte persone che in precedenza si erano tenute lontane dalla politica non potevano più evitare di farsi coinvolgere, e hanno cominciato a impegnarsi per cambiare le cose. A causa della situazione economica e dei difficili rapporti con la **Russia, l’interesse principale di Lukašenko era evitare un lockdown. Allo stesso tempo sembra che il presidente non si rendesse conto del pericolo rappresentato dal virus. Ha definito “una psicosi” le reazioni in altri paesi e in Bielorussia, rifiutandosi di cancellare i grandi eventi, di prendere le minime precauzioni e di indossare la mascherina in pubblico. Eppure avrebbe potuto limitare la diffusione del virus senza danneggiare troppo l’economia. La crisi globale innescata dall’emergenza sanitaria gli aveva offerto l’occasione di sviare l’attenzione dalle cause interne dei problemi economici della Bielorussia. Ma per qualche motivo ha deciso di non coglierla.

Astrid Sahm, Osteuropa


Un ambiente inospitale

Nonostante i privilegi, gli informatici bielorussi sono stati tra i primi a sostenere le proteste dopo le elezioni presidenziali. Non c’è stato solo il Project Belarus. I programmatori dell’Hi-tech park si sono uniti allo sciopero e hanno partecipato con le loro tastiere alla contestazione pacifica. Uno dei motivi è stato sicuramente il blocco di internet dopo le elezioni presidenziali: secondo i dati di Netblocks, l’interruzione del servizio per 61 ore ha provocato 161 milioni di dollari di perdite. “Quando in un paese i processi economici subiscono costanti intromissioni da parte dello stato, quando le leggi sono cambiate senza preavviso e non si sa cosa aspettarsi dalla politica monetaria e fiscale, è molto difficile essere sicuri che i propri soldi siano davvero protetti e che gli investimenti non faranno una brutta fine”, dice Baže­nov. “In qualsiasi momento Lukašenko può destabilizzare l’economia della Bielorussia, com’è successo per anni. E ora il settore informatico ha capito che c’è una possibilità di cambiare tutto questo”.

Il 12 agosto il sito dev.by ha pubblicato un appello dei presidenti dell’Hi-tech park, che si sono rivolti alle autorità bielorusse chiedendo di mettere fine alle violenze nei confronti di manifestanti pacifici, di liberare i prigionieri politici e di indire nuove elezioni presidenziali. “Non siamo esperti di politica, ma di tecnologia. Nel paese si sta creando una situazione in cui le nostre attività non riusciranno a prosperare. Le startup non possono nascere in un’atmosfera di paura e violenza, hanno bisogno di libertà e apertura”, scrivono. In due settimane l’appello è stato firmato da circa quattromila persone.

Un documento simile è stato pubblicato dall’Associazione internazionale degli sviluppatori di videogiochi (Igda). L’associazione ha dichiarato che se le violenze continueranno sarà costretta a “raccomandare ai propri partner di evitare qualunque collaborazione con la Repubblica bielorussa”. Inoltre l’Igda si è detta disponibile ad aiutare le aziende bielorusse a spostarsi in altri paesi.

Molte aziende hanno cominciato a trasferire i propri dipendenti dalle sedi di Minsk. Tra queste ci sono la Yandex, la Wargaming, la Godel Technologies e l’azienda di instant messaging Viber, che ha permesso ai collaboratori di Minsk di lavorare a distanza e sta valutando se smettere di investire in Bielorussia. Viber ha reso noto che durante le proteste sono stati arrestati due suoi collaboratori.

Promesse non mantenute

Altri paesi stanno cercando di approfittarne. Il governo ucraino ha aperto un sito per aiutare gli informatici che vogliono lasciare la Bielorussia, con un elenco delle compagnie che sono pronte ad assumere, informazioni su come ottenere il permesso di soggiorno e altre questioni burocratiche. Il ministro dell’economia lituano Rimantas Sinkevičius ha dichiarato che 21 aziende informatiche bielorusse si sono già rivolte al suo ministero.

“Se Lukašenko rimarrà al potere e non ci saranno riforme, tutte le aziende finiranno per andarsene. Molte lavorano già da tempo in altri paesi e a Minsk hanno solo una sede. Potrebbero essere registrate anche a Cipro”, dice Baženov. “Se invece le proteste avranno successo, questo si rifletterà positivamente sull’economia della Bielorussia, e forse si potrà evitare l’esodo”.

Lukašenko sta dimostrando che per lui il potere è più importante di qualsiasi risultato in campo economico. Il suo problema fondamentale è che non sta rispettando le sue promesse di sviluppo, continua Baženov. “Questo significa gettare al vento tutte le conquiste ottenute finora. Con ogni probabilità il settore informatico, che non si è dimostrato fedele al potere, subirà gravi interferferenze economiche. In generale, l’economia della Bielorussia ha già superato Lukašenko e merita di più”. ◆ab

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Questo articolo è uscito sul numero 1376 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati