Le giornate si fanno più fredde e in molti cominciano ad angosciarsi: come proteggersi dal covid-19 durante l’autunno e l’inverno, quando non si potranno più tenere le finestre spalancate? Il mantra “incontratevi all’aperto”, che ha permesso a molti di attraversare in sicurezza l’estate pandemica, presto potrebbe essere meno praticabile: con i bambini che sono a scuola e le persone che continuano ad andare al lavoro o incontrano gli amici, le ore passate insieme in ambienti chiusi aumentano. E rappresentano un pericolo. Secondo quant’è emerso negli ultimi mesi, le nuvolette cariche di sars-cov-2 prodotte espirando, i cosiddetti aerosol, possono restare in sospensione negli ambienti chiusi per diverse ore. Per quanto ne sappiamo, il 90 per cento delle persone affette da covid-19 si è ammalato in ambienti chiusi. Ai tre pilastri per prevenire questa malattia – distanziamento, igiene e mascherina – gli esperti raccomandano di aggiungerne un altro: arieggiare le stanze.
Non si sa ancora quale carica virale debba esserci nell’aerosol perché sia contagioso, le stime variano molto. Comunque, minore è la carica in circolazione meglio è. E per diminuirne la concentrazione basta che il virus sia per così dire diluito, proprio come avviene all’aria aperta (è per questo che all’aperto ci sono meno contagi). La sfida di quest’inverno consisterà nell’espulsione mirata degli aerosol da appartamenti, bar, aule scolastiche e altri ambienti chiusi.
Ma come cambiare correttamente l’aria nelle stanze, soprattutto nella stagione fredda? Per liberarci del sars-cov-2 dovremo sopportare le correnti, magari ricavandone una contrattura alle spalle o un bel raffreddore? Basterà lasciare la finestra socchiusa ogni tanto? Come funziona esattamente la ventilazione d’urto e cosa la distingue da quella incrociata? Per quanto vanno spalancate le finestre? E ogni quanto tempo le dobbiamo aprire? Basterà questo o, per sopravvivere all’inverno pandemico, dovremo dotarci di costose attrezzature per la purificazione dell’aria?
Per fortuna sappiamo già dire se l’aria in un ambiente chiuso è salubre, e sappiamo come migliorarla quando non lo è. In Germania l’Ufficio federale per l’ambiente, per esempio, pubblica raccomandazioni su come arieggiare correttamente gli ambienti e ora le include anche in un suo rapporto sulla pandemia in corso. In effetti, allo stato attuale delle conoscenze di fisici e medici, la buona qualità dell’aria in ambienti chiusi è strettamente correlata a un basso rischio di contagio.
In realtà è facilissimo valutare la qualità dell’aria: il modo più semplice è misurare il livello di anidride carbonica (CO2). Non solo all’aperto, dove i valori di CO2 sono spesso oggetto di discussione, ma anche al chiuso: nelle aule scolastiche, nelle sale conferenze, al ristorante e a casa. L’anidride carbonica è la sostanza rimasta dopo che l’ossigeno ha attraversato le vie respiratorie. È il gas di scarico prodotto dall’essere umano. Se passiamo del tempo in un ambiente chiuso, a un certo punto ci ritroviamo immersi nell’aria viziata: in parole povere, nel nostro stesso tanfo.
Con 25 alunni per classe, servirebbero mille metri cubi d’aria fresca all’ora
Per una qualità dell’aria ottimale, negli ambienti chiusi dovrebbe esserci lo stesso livello di CO2 dell’aria aperta: in Germania oscilla tra le 420 e le 450 ppm (parti per milione). Al chiuso però sono accettabili anche valori intorno alle mille ppm. Dalle 1.500 ppm in su, invece, l’aria va cambiata subito, tanto più in tempi di covid-19.
Il problema, però, è che non siamo in grado di accorgerci quando questa soglia è stata superata: non abbiamo organi di senso che percepiscono la qualità dell’aria, e perciò anche in tempi normali la cambiamo troppo raramente. Mentre sentiamo subito il freddo, per esempio, spesso ci accorgiamo che l’aria è consumata solo quando i livelli di CO2 sono sopra le 3.000 ppm, cioè quando l’aria viziata comincia a far sentire i suoi effetti: stanchezza, difficoltà di concentrazione, mal di testa. Non è solo il covid-19 a trasmettersi più facilmente nell’aria consumata: secondo Martin Kriegel, ingegnere e studioso delle correnti d’aria alla Technische Universität di Berlino, “È dimostrata la correlazione tra la qualità dell’aria negli uffici e i giorni di malattia dei dipendenti”.
Le esalazioni degli altri
Negli edifici che non hanno un moderno impianto di aerazione, l’unica cosa da fare è spalancare regolarmente le finestre. Di per sé non dovrebbe essere un problema, solo che molte persone sono poco informate sull’importanza di arieggiare. Quando si è in compagnia, spalancare le finestre può sembrare scortese, quasi fosse un modo per ricordare agli altri le loro esalazioni. E i commenti che fanno i freddolosi non appena qualcuno si lamenta dell’aria viziata e propone di aprire un po’? “Di freddo sono morti in molti, di puzza non è mai morto nessuno”.
Non abbiamo l’abitudine di arieggiare con regolarità. A scuola costa un certo sforzo, al pub è spesso impossibile, nel privato invece può creare disagio. Ma non c’è niente da fare: ci toccherà prendere più seriamente la qualità dell’aria se non vogliamo passare l’inverno confinati in casa lavorando da remoto e incontrando gli altri solo all’aperto.
Un buon indice della qualità dell’aria ai tempi del covid-19 è la prima impressione che abbiamo entrando in una stanza: è una sensazione piacevole o è come andare a sbattere contro un muro? Se invece siamo nella stanza da diverso tempo, per misurare l’aria viziata – e quindi, in linea di principio, anche il rischio di contagio – si può usare un rilevatore di CO2, un piccolo apparecchio reperibile in commercio a prezzi piuttosto bassi. Funziona come un semaforo: quando il livello di CO2 è accettabile è verde, quando bisogna subito cambiare l’aria segna rosso. È un apparecchio facile da usare, sia in ufficio sia nelle aule universitarie o in quelle scolastiche: “Il punto di riferimento è il livello che il rilevatore di CO2 segna nel momento in cui la stanza è fresca e ben arieggiata, di prima mattina per esempio. Quando quel valore raddoppia, spalanchiamo le finestre. A quel punto il valore comincia a scendere lentamente, e quando basta possiamo richiudere”, spiega Astrid Kiendler-Scharr, del centro di ricerca Jülich. Il ricambio d’aria avviene più rapidamente quando fuori tira vento o fa freddo e, ovviamente, se le finestre sono grandi. “Per accelerare il ricambio d’aria si può usare un ventilatore, mettendolo vicino alla finestra aperta o installandolo in modo che spinga l’aria all’esterno”, aggiunge la ricercatrice.
Insomma, il rischio negli ambienti chiusi dipende da quanta aria viziata c’è nella stanza, ma anche dal numero di persone presenti e dal tempo che ci passano. “Perfino trovandomi nella stessa stanza con un ammalato e con tutte le finestre chiuse, non è detto che verrei immediatamente contagiato; invece più dura l’incontro più cresce il rischio, e di molto”, sottolinea Kriegel. Un buon esempio è quello dell’ufficio: “Se dopo una mezz’ora passata insieme il rischio è diciamo del 10 per cento, dopo un’ora è già al 20. Se invece facessi cambiare l’aria per bene, potrei anche fare una riunione di due-tre ore con un positivo senza essere contagiato”.
Arieggiare per bene significa spalancare le finestre, possibilmente più d’una, ogni 15-20 minuti: in autunno per circa cinque minuti, durante l’inverno invece possono bastare circa tre minuti, spiega Kriegel. “Volendo, per il resto del tempo le finestre si possono tenere aperte a vasistas, anche se in questo modo non si cambia l’aria in modo altrettanto efficace”.
Ma se cento persone si trattengono in una stanza poco arieggiata, è tutta un’altra storia: il rischio di contagio ci mette poco a raggiungere il 20 per cento. Significa venti contagiati, che infetteranno a loro volta altre persone. A quel punto potrebbe diventare molto complicato per le autorità sanitarie ricostruire la catena dei contagi.
E se si volessero fare le cose in totale sicurezza? Per abbassare il rischio di contagio al 5 per cento, in una stanza occupata da due persone con le finestre aperte dovrebbero entrare mille metri cubi di aria fresca all’ora, risponde Kriegel. Se invece un positivo passasse addirittura quattro ore insieme a un negativo in una stanza, per mantenere il rischio di contagio al 5 per cento il fabbisogno orario di aria fresca salirebbe a quattromila metri cubi per ogni ora, perché quello che conta davvero è la quantità d’aria per ogni persona positiva. L’unico modo di far entrare tanta aria fresca, ammesso che sia possibile, è tenere le finestre sempre aperte. D’inverno ovviamente è poco realistico: farebbe troppo freddo. Peraltro pochissimi edifici, tra abitazioni private, uffici pubblici e scuole, hanno un impianto di aerazione in grado di ottenere lo stesso risultato.
Per questo di solito le scuole sono mal ventilate, osserva Kriegel. Nelle aule ci sarebbe bisogno di far entrare aria fresca già quando si comincia a rilevare una concentrazione media di CO2 pari a 1.000 ppm.
In classe arieggiare significa ventilazione d’urto: vanno aperte possibilmente tutte le finestre dell’aula, mentre la porta può rimanere chiusa, come anche le finestre del corridoio o dell’aula di fronte, visto che non occorre creare correnti d’aria fredda. Ovviamente una ventilazione incrociata, cioè quella che si ottiene aprendo anche le finestre di fronte, accelera il processo. Di certo, limitarsi ad aprire le finestre a vasistas durante le pause dedicate al ricambio d’aria non è sufficiente.
Una tazza di tè
Purtroppo, le nuvolette di aerosol cariche di virus non restano nelle vicinanze del soggetto positivo, ma tendono a distribuirsi in tutta la stanza. “Immaginiamo una tazza di tè alla menta: inizialmente il profumo di menta è circoscritto alla tazza, ma dopo un po’ impregna tutta la stanza”, dice Kiendler-Scharr. Più è piccola la stanza, numerose le persone presenti, lunga la loro permanenza e rumorosa la loro conversazione, più aerosol restano in sospensione. Ma si producono aerosol anche espirando silenziosamente, e in quantità maggiore se si è già infetti. Se potessimo vederli, ci apparirebbero come delle spire, come fumo di sigaretta. Purtroppo, però, l’aria pesante che produciamo respirando, parlando, gridando e cantando è invisibile.
Kriegel spiega che, con 25 alunni per classe, servirebbero mille metri cubi d’aria fresca all’ora per non superare il livello tollerabile di CO2 (mille ppm): purtroppo ai bambini non piace il ricambio d’aria neanche in condizioni normali, visto che spesso nelle classi i valori oscillano tra le tremila e le cinquemila ppm di CO2. Se il livello restasse entro le mille ppm, con 25 alunne e alunni il rischio di contagio da covid-19 sarebbe piuttosto basso: un soggetto positivo contagerebbe uno o due compagni di classe al massimo.
◆ La quantità di aerosol pericoloso in un ambiente chiuso dipende da vari fattori, ma ci sono alcuni elementi certi.
Situazione ideale Poche persone in una stanza grande, incontri brevi, indossare la mascherina quando si parla con qualcuno, distanziamento adeguato, ventilazione d’urto (dai tre ai cinque minuti circa ogni venti minuti). Oppure – se non si possono o non si vogliono aprire le finestre – si può usare un impianto di purificazione dell’aria con filtro Hepa H13/H14.
Situazione peggiore Molte persone in un ambiente piccolo, permanenza prolungata, nessun impianto di aerazione adeguato che faccia entrare aria fresca, insufficiente ventilazione d’urto, niente mascherine, scarso distanziamento, canti, urla, grida, toccarsi il viso con mani non lavate. Die Zeit
In futuro andrebbero previsti ricambi d’aria nelle aule durante le lezioni: almeno una volta nel corso di una lezione di 45 minuti. “In questo periodo molti insegnanti mi scrivono per dirmi che, come da regolamento, lo facevano già da tempo, per aiutare alunne e alunni a concentrarsi; sono contenti di dover semplicemente continuare così”, racconta Kriegel. E hanno anche un metodo per farlo: mettono la sveglia e affidano il compito di far cambiare l’aria a uno degli alunni, proprio come si è sempre fatto per la pulizia della lavagna. Basta tenere la giacca pronta sullo schienale della sedia e chi ha freddo se la infila in un attimo. Si fa cambiare l’aria anche nelle pause di cinque minuti e durante le ricreazioni più lunghe.
Kriegel non accetta la teoria secondo cui non si dovrebbe arieggiare perché alunne e alunni rischierebbero di cadere dalla finestra e quindi sarebbe meglio bloccare le finestre. Al contrario, “bloccare le finestre è inammissibile. L’antinfortunistica non si può fare a spese della qualità dell’aria, lo sottolineano anche le stesse norme antinfortunistiche. Peraltro le normative prescrivono già la presenza di un addetto alla sorveglianza quando le finestre sono aperte”, osserva l’esperto. In una situazione d’emergenza come quella attuale dovremmo proprio riuscire a rispettare questi obblighi.
E se invece di aprire le finestre si usassero impianti mobili di purificazione dell’aria? Kriegel è scettico e ritiene – proprio come l’ufficio federale per l’ambiente – che possano essere un di più, utile al massimo ad abbassare ulteriormente il rischio, non un’alternativa all’apertura delle finestre. Gli apparecchi buoni, quelli con filtri cosiddetti H13, o meglio ancora H14, distruggono il virus (sono impiegati per esempio nelle sale operatorie), ma non sono certo economici: i prezzi partono dai tremila euro. Potrebbero risultare utili dove non è in alcun modo possibile garantire un sufficiente ricambio d’aria.
Cinture di sicurezza
Arieggiare è una misura complementare che non sostituisce le altre forme di prevenzione: anche in futuro non potremo fare a meno della mascherina, del distanziamento e dell’igiene delle mani. Le quattro misure non andrebbero messe in contrapposizione. “Si prenda la sicurezza in auto: è migliorata grazie alle cinture, ma anche grazie ai poggiatesta, ai limiti di velocità, alle zone di assorbimento dell’urto e all’airbag. A nessuno verrebbe in mente di non mettersi la cintura visto che c’è il limite di velocità”, dice Kiendler-Scharr. E proprio la mascherina conserva la sua importanza, “perché è vicina al luogo di emissione. Anche in una canna fumaria il filtro si trova all’interno, non in un punto qualsiasi all’esterno. Altrimenti, per filtrare la stessa quantità di fumi la quantità d’aria da depurare sarebbe molta di più”.
E come si comportano gli esperti nella loro vita privata e professionale? “Cerco di usare l’ufficio solo per brevi incontri di un’ora al massimo. Nella vita privata, invece, continuo a evitare incontri al chiuso. Al ristorante mi sentirei a mio agio se ci fosse un rilevatore di CO2”, risponde Kiendler-Scharr. “Rispettando il distanziamento e le norme igieniche, indossando la mascherina e arieggiando per bene gli ambienti, non mi farebbe paura neanche stare con cinque persone in una stanza. Con adeguati impianti di aerazione non avrei timore neanche all’opera o a teatro. Ma nel locale sotto casa, dove al titolare magari non importa niente della qualità dell’aria, non ci metterei piede neanche per mezz’ora”. ◆ sk
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Questo articolo è uscito sul numero 1381 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati