Quasi dieci anni fa Mario Draghi, nato a Roma nel 1947, si prese il ruolo di salvatore dell’euro: pronunciò tre parole magiche – _whatever it takes, _costi quel che costi – e gli speculatori che minacciavano di far crollare la moneta unica fuggirono con la coda tra le gambe. Quello che sembrava il punto più alto della sua carriera è stato superato qualche giorno fa, quando Draghi si è impegnato a raggiungere un obiettivo ancora più difficile: salvare l’Italia, una potenza industriale in declino che vive una perenne crisi politica, incapace di fare riforme, con un’economia che non cresce da vent’anni e indebitata fino al collo.

Il destino di Draghi è stato segnato fin dall’inizio. Figlio di un ex dipendente della Banca d’Italia, perse i genitori durante l’adolescenza, prima di quel maggio 1968 che fu fondamentale per la sua generazione: “Mi feci crescere i capelli, ma non troppo: non avevo genitori contro cui ribellarmi”. Frequentò un liceo dei gesuiti. Luca di Montezemolo, ex presidente della Fiat e suo compagno di scuola, sostiene che già allora Draghi era il primo della classe. Decise di studiare economia e prese un dottorato al Massachusetts institute of technology, negli Stati Uniti, che in quel periodo sfornò alcuni dei migliori economisti della sua generazione, da Ben Bernanke a Olivier Blanchard. La sua tesi di dottorato, intitolata “Essays on economic theory and applications”, è del 1976. In quel lavoro analizzava le difficoltà di applicare contemporaneamente politiche di stabilizzazione a breve termine e riforme di lungo periodo: più o meno la sfida che deve affrontare oggi.

Dopo l’università cominciò una carriera folgorante come alto funzionario. Contribuì a preparare l’Italia a entrare nella zona euro con rigide politiche economiche. Lavorò al ministero dell’economia e poi alla Banca d’Italia ed entrò nell’élite degli alti funzionari italiani, un ristretto gruppo di tecnici in grado di ricoprire i ruoli più importanti nelle istituzioni europee e di far funzionare il paese nonostante la continua instabilità politica. Tra quelle due esperienze passò per un breve periodo dall’altra parte della barricata, diventando vicepresidente della Goldman Sachs. Erano gli anni in cui la banca d’investimento – il “calamaro vampiro”, secondo l’azzeccata definizione del giornalista statunitense Matt Taibbi – aiutava la Grecia a truccare i conti.

Draghi non ha mai chiarito di cosa si occupasse in quel periodo, ma né l’esperienza alla Goldman Sachs né il fatto che fosse italiano (che sollevava qualche sospetto a Berlino) gli impedirono di arrivare alla presidenza della Banca centrale europea (Bce). Prese il posto del francese Jean-Claude Trichet, che aveva commesso degli errori alzando i tassi d’interesse nel momento sbagliato e rifiutandosi di applicare politiche monetarie straordinarie per affrontare circostanze straordinarie. Draghi non esitò: il primo giorno abbassò i tassi d’interesse e iniettò una forte dose di liquidità nel sistema bancario. Poi convinse la cancelliera tedesca Angela Merkel ad accettare un piano di acquisto di debito pubblico. E alla fine tirò fuori dal cappello quella frase che permise di salvare l’euro: whatever it takes.

Da sapere
Le tappe della crisi

13 gennaio 2021 Le ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, di Italia viva, si dimettono. Matteo Renzi, leader del loro partito, accusa il governo di aver fatto poco per combattere la pandemia di covid-19 e di non aver preparato un piano adeguato su come spendere i soldi del fondo per la ripresa dell’Unione europea.

26 gennaio Il presidente del consiglio Giuseppe Conte si dimette perché in parlamento non ha una maggioranza politica solida.

29 gennaio Il capo dello stato Sergio Mattarella affida al presidente della camera Roberto Fico il mandato di verificare la possibilità di formare un nuovo governo con i partiti che facevano parte della vecchia maggioranza: Partito democratico, Movimento 5 stelle, Italia viva e Liberi e uguali.

2 febbraio Roberto Fico riferisce al presidente della repubblica che tra i partiti consultati “non ha registrato l’unanime disponibilità a dare vita a una maggioranza”.

3 febbraio Sergio Mattarella affida a Mario Draghi, ex governatore della Banca centrale europea, l’incarico di formare un governo. Quasi tutti i partiti affermano di essere pronti ad appoggiare il nuovo esecutivo. Solo Fratelli d’Italia dichiara che non voterà la fiducia al governo.

9 febbraio Mario Draghi incontra le parti sociali. I sindacati chiedono una proroga del blocco dei licenziamenti. Beppe Grillo scrive sul suo blog: serve un super ministero per la transizione
ecologica.


Le critiche a Draghi non riguardano solo la Goldman Sachs. Nell’agosto del 2011 appoggiò l’ultimatum di Trichet al governo di Silvio Berlusconi, una lettera in cui la Bce e la Banca d’Italia – senza nessuna legittimità democratica – obbligavano l’esecutivo italiano a mettere in atto riforme severe. Più avanti, arrivato alla guida della Bce, Draghi fece grandi pressioni su diversi paesi e in pratica obbligò alcuni governi – tra cui quello spagnolo – a chiedere un salvataggio che nessuno voleva, perché basato su tagli draconiani della spesa pubblica. Con la Grecia si spinse oltre, portando il paese sull’orlo della bancarotta. “Despota tragico”, lo definì Yanis Varoufakis, il ministro dell’economia greco.

Da sapere
Percorso difficile

Il quotidiano britannico Daily Express **cita l’intervista dell’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis a Radio Popolare. Varoufakis ha detto di ricordare bene il modo in cui Mario Draghi gestì il fallimento della Grecia: “È il presidente del consiglio ideale per l’Italia se vuoi attuare le politiche di Bruxelles e Berlino e fingere che il fondo per la ripresa sia davvero la salvezza dell’Italia, in realtà i paesi che prenderanno in prestito i soldi del fondo s’indebiteranno ancora di più”. Il quotidiano finanziario olandese **Het Financieele Dagblad **non crede che Mario Draghi possa fare miracoli: “L’occasione per fare le riforme l’aveva avuta già negli anni novanta, quando era stato nominato direttore generale del tesoro e aveva il compito di preparare l’Italia all’euro, cosa che ha fatto nascondendo i problemi di bilancio sotto al tappeto”. Secondo il quotidiano greco **I Avgi, “il compatto sostegno a Mario Draghi di tutti i mezzi d’informazione italiani riflette l’enorme distanza che separa la gran parte delle persone e i loro problemi dal sistema politico del paese”. “Il sostegno a un governo guidato da Draghi”, scrive il quotidiano tedesco Die Tageszeitung, “offre alla Lega l’opportunità di cambiare la propria immagine in Europa e di uscire dall’angolo buio in cui si trovava, accanto al partito tedesco di estrema destra Alternative für Deutschland e a Marine Le Pen, presidente del partito francese di estrema destra Rassemblement national”. Rispetto al compito che attende Mario Draghi, il Wall Street Journal scrive: “Se non riuscirà a superare la miriade di ostacoli sulla strada delle riforme, il prossimo passo dovrà essere politico. E se qualcuno in futuro vorrà fare le riforme dovrà essere un politico che ha effettivamente vinto un’elezione”. Per il quotidiano argentino **La Nación **, Mario Draghi è “l’ennesimo premier non eletto”. ◆


Mesi intensi

Nel 2019, quando l’economia europea si avviava verso la ripresa, Draghi ha lasciato la Bce, dove oltre alle abilità di economista ha mostrato un gran talento nel comunicare e un forte istinto politico: un bagaglio che gli sarà molto utile nella sua nuova avventura. Da quando ha lasciato Francoforte ed è tornato a Roma, nell’ottobre 2019, è stato suo malgrado al centro degli incontri tra politici ogni volta che la situazione si complicava. Soprattutto dopo un articolo in cui invitava a spendere e a non preoccuparsi del debito per uscire dalla crisi causata dal covid-19, una posizione con cui si è guadagnato il sostegno di vecchi oppositori come il Movimento 5 stelle, che lo vedevano con sospetto per i suoi trascorsi alla Goldman Sachs.

La crisi dell’euro l’ha portato a Francoforte, la crisi sanitaria l’ha portato a palazzo Chigi. Durante la pandemia ha passato lunghi periodi nella sua casa di Città della Pieve, in Umbria. Da giorni era in contatto telefonico con il presidente della repubblica Sergio Mattarella. Negli ultimi mesi ha avuto contatti con altri politici, come Giancarlo Giorgetti (che guida l’ala moderata della Lega), Matteo Renzi e Gianni Letta, a lungo braccio destro di Berlusconi. Si dice che Renzi abbia scombussolato la politica italiana in modo che Draghi non potesse rifiutare, dopo due settimane di dramma, l’incarico di formare un nuovo governo.

Quando è successo, Draghi è sembrato a suo agio. Ha davanti a sé mesi molto intensi, in cui dovrà far valere la sua autorità. I governi tecnici di solito cominciano bene, ma entrano in crisi quando i partiti tornano a guardare ai loro interessi. Draghi ha un vantaggio rispetto al governo tecnico che si formò nel 2011 dopo le dimissioni di Berlusconi: Mario Monti dovette attuare una dolorosa politica di tagli alla spesa, mentre Draghi potrà spendere decine di miliardi di fondi europei. Fondi che però arrivano con qualche condizione: in cambio l’Italia dovrà realizzare delle riforme che non è stata in grado di fare per decenni. È la sfida di Draghi. Se avrà successo, nessuno potrà impedirgli di diventare presidente della repubblica, il suo grande obiettivo. ◆ fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1396 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati