L’oligarca monarchico di Mosca attirato dalla luce e l’ex bandito di San Pietroburgo prudente come un gatto: Konstantin Malofeev, estroverso e appariscente, ed Evgenij Prigozhin, quasi invisibile e misterioso. Ma per quanto questi due miliardari siano molto diversi l’uno dall’altro, entrambi, con il loro percorso e le loro ambizioni, rappresentano un aspetto della politica estera della Russia putiniana, un terreno dove s’incrociano ideologia e freddo cinismo.

Malofeev e Prigozhin sono alleati? Sono rivali? In ogni caso i due occupano da protagonisti lo stesso settore, redditizio e in piena espansione: quello della diplomazia privata, della politica estera delegata a gruppi non statali. In altre parole sono degli “imprenditori geopolitici”, come li ha definiti la politologa Tatiana Stanovaya. I geni del male di Mosca sulla scena internazionale, pronti a infiltrarsi negli spazi lasciati liberi dai diplomatici di professione o a sostituirsi allo stato nelle operazioni delicate e segrete.

Può sembrare una contraddizione per un paese il cui sistema politico è spesso descritto come una verticale perfetta. Tuttavia, anche se i grandi orientamenti in politica estera provengono dal vertice, moltissimi soggetti – e non solo rappresentanti dello stato – sono pronti a dare il loro contributo, in risposta a ordini precisi o nella speranza di una futura ricompensa. “Si può essere utili allo stato in molti modi: aiutando i poveri o i veterani di guerra, finanziando un partito politico legato al potere e così via”, spiega Tatiana Stanovaya. “Sono pratiche diffuse nel mondo degli affari. Gli interessati possono sperare in una retribuzione diretta, ma si tratta soprattutto di ottenere protezione. E sul mercato estero, Prigozhin e Malofeev sono senza dubbio le due figure più importanti”.

L’Africa, su cui Mosca ha delle ambizioni ormai evidenti, è diventata il nuovo terreno di manovra di questi personaggi. Nell’ottobre del 2019 i due sono stati le figure di spicco del primo vertice Russia-Africa organizzato a Soči, sul mar Nero, e ognuno con il suo stile. Prigozhin è sempre rimasto dietro le quinte e ha incaricato i suoi luogotenenti (come il militante antisemita franco-beninese Kémi Séba) di parlare con i giornalisti o di dirigere incontri su temi come la tutela della sovranità degli stati africani di fronte all’influenza occidentale o la difesa dei “valori tradizionali”, un calderone di idee legate alla famiglia già usato per sedurre i conservatori in Europa.

Ma per quanto Prigozhin cerchi di rimanere invisibile, le sue intromissioni nella politica africana sono ormai di dominio pubblico. Anche se continua a negarlo, è lui l’eminenza grigia dietro il gruppo militare privato Wagner, impegnato in Libia, in Sudan, nella Repubblica centrafricana, in Mozambico e in altri paesi. I suoi “consulenti politici” intervengono nelle campagne elettorali, come nel caso delle elezioni presidenziali in Madagascar nel 2018, e stringono alleanze con i partiti, soprattutto quelli che contrastano l’influenza di Parigi nelle ex colonie francesi.

Se la presenza di Prigozhin a Soči è rimasta discreta, nessuno ha potuto ignorare quella dell’elegante Malofeev, con la sua barba e la sua esuberanza. “L’oligarca ortodosso”, come viene soprannominato per i suoi legami con la chiesa ortodossa e la sua ostentata religiosità, è arrivato da poco nella politica africana, ma compensa il ritardo con la sua onnipresenza. Ha presentato una conferenza sul “complotto contro l’Africa”, in cui ha affermato che le raccomandazioni del Fondo monetario internazionale (Fmi) “mirano a rovesciare i governi e portano alla guerra civile”. Lo stand della sua Agenzia internazionale per lo sviluppo sovrano (Iasd), fondata solo un mese prima, superava per dimensioni e lusso quelli dei giganti russi del settore minerario e degli idrocarburi. Questa struttura enigmatica si presenta come un’intermediaria tra gli stati africani e le “aziende etiche che non saccheggiano l’Africa”.

Qualche mese dopo Malofeev ha concesso un’intervista a Le Monde a Mosca. Ha detto di voler portare nuovi investitori nei paesi strangolati dalla finanza internazionale. “Non posso rivelare troppi dettagli. Appena uno dei miei progetti comincia a prendere forma, gli americani prendono il telefono e chiamano il ministro africano interessato per convincerlo a non lavorare con me”, ha spiegato nel suo ufficio pieno di icone e di reliquie zariste, ricordando le sanzioni imposte da Stati Uniti e Unione europea contro di lui (come anche contro Prigozhin). Nessun contratto era stato ancora firmato, ma erano in corso trattative con la Guinea, il Niger e la Repubblica Democratica del Congo.

Il padrino del Donbass

La politica russa in Africa non è il primo settore in cui i due si sono trovati fianco a fianco. Nel 2014 sono stati entrambi coinvolti nella crisi ucraina. Malofeev è stato uno degli artefici dell’annessione della Crimea e il padrino dei separatisti filorussi del Donbass, ai quali ha fornito risorse finanziarie e umane prima che subentrasse Mosca. Cinque anni dopo, in occasione del vertice Russia-Africa, si è fatto vedere insieme a un altro personaggio coinvolto in quegli eventi: Aleksandr Borodai, ex “primo ministro” dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, una delle entità create dal Cremlino nell’Ucraina orientale. Borodai ha organizzato i separatisti locali fino all’agosto del 2014, quando è stato allontanato ed è tornato a Mosca, e i suoi stretti rapporti con Malofeev, di cui è stato “consulente”, non sono certo un segreto. A Soči non ha nascosto la sua partecipazione ai progetti africani del suo ex datore di lavoro.

L’Ucraina è stata anche un momento fondamentale nella carriera di Prigozhin. È lì che si è formata la sua compagnia di mercenari più famosa, sotto la guida dell’ex ufficiale dei servizi segreti militari (Gru) Dmitrij Utkin, conosciuto con il nome di guerra di Wagner, un riferimento, a quanto pare, alla sua passione per il terzo Reich. Il gruppo Wagner ha mosso i primi passi nel conflitto ucraino, poi dal 2015 è stato schierato in Siria per sostenere il presidente Bashar al Assad, in Repubblica Centrafricana presso il presidente Faustin-Archange Touadéra, in Sudan per aiutare Omar al Bashir (fino alla sua caduta nell’aprile del 2019), in Libia a sostegno di Khalifa Haftar in guerra contro il governo di Tripoli e in Venezuela per garantire la sicurezza di Nicolás Maduro.

Indagare su Prigozhin, calvo e poco incline a sorridere, è un’impresa difficile e pericolosa. Denis Korotkov è stato il primo giornalista russo a occuparsi dei suoi mercenari per il giornale Fontanka, di San Pietroburgo. Per questo ha ricevuto decine di minacce di morte, e alla fine del 2018 una testa di pecora è stata deposta insieme a una corona di fiori davanti alla redazione di Novaja Gazeta, dove lavorava all’epoca.

Malofeev ha avuto un ruolo importante nel rafforzamento dei rapporti tra Mosca e i gruppi di estrema destra europei

I siti web legati al gruppo Patriot – che Prigozhin ha ammesso di dirigere solo nell’autunno 2019 – hanno pubblicato numerosi articoli che definiscono Korotkov un traditore, un collaboratore dei servizi segreti ucraini o addirittura un complice del gruppo Stato islamico. “Con il suo modo di negare sistematicamente tutto quello che gli viene attribuito, comprese le cose più evidenti, Prigozhin sembra un bandito che disprezza il mondo esterno”, ha scritto Korotkov.

Il nome di Prigozhin spunta in diversi episodi violenti, come il tentato avvelenamento nel novembre 2016 di Sergeij Mokhov, marito dell’avvocata e politica Lyubov Sobol, o l’uccisione nel luglio 2018 di tre giornalisti russi nella Repubblica centrafricana, dove stavano indagando sui contratti minerari ottenuti dal gruppo Wagner. I collaboratori di Aleksej Navalnyj, tra cui la stessa Lyubov Sobol, pensano che Prigozhin sia coinvolto anche nel tentato avvelenamento (autorizzato dal Cremlino) del leader dell’opposizione, il 20 agosto in Siberia. In quell’occasione l’imprenditore è uscito dal suo abituale riserbo, rilasciando dichiarazioni rabbiose contro il Fondo per la lotta alla corruzione di Navalnyj.

Il passato criminale di Prigozhin, 59 anni, è noto, anche se lui cerca di cancellarne le tracce su internet. Nel 1981 fu condannato a dodici anni di prigione – e liberato dopo nove – per associazione a delinquere e altri reati. Negli anni novanta aprì una catena di fast food e poi dei ristoranti alla moda a San Pietroburgo. La sua fama attirò una clientela importante, tra cui Vladimir Putin, che cenava nei suoi locali con ospiti famosi come Jacques Chirac e George W. Bush. Per questo Prigozhin è stato soprannominato “il cuoco di Putin”.

Le connessioni politiche gli permisero di arricchirsi investendo, attraverso la sua società Concord, nel redditizio mercato delle mense per le scuole, gli ospedali e l’esercito. “Prigozhin ha avuto la fortuna di trovare una nicchia abbastanza libera e di seguire da vicino Putin”, osserva Mark Galeotti, profondo conoscitore delle élite russe e del mondo criminale. “È un grande opportunista, pronto a tutto pur di soddisfare il potere politico, da cui i suoi affari dipendono completamente. Ma non fa parte del circolo più stretto del presidente”.

Konstantin Malofeev nel suo ufficio a Mosca, giugno 2018 (Max Sher)

L’aquila a due teste

In confronto a quella di Prigozhin, la carriera di Malofeev è molto più tranquilla. Nato nel 1974 vicino a Mosca in una famiglia di scienziati, ha studiato diritto e ha fatto fortuna nella finanza. Si è arricchito creando il fondo di investimento Marshall Capital, coinvolto in epiche battaglie commerciali negli anni duemila. Malofeev cura tanto la sua immagine di audace investitore quanto quella di devoto ortodosso, difensore dei valori tradizionali e religiosi.

Ha tentato più volte di entrare in politica, prima in diversi partiti vicini al potere e poi attraverso il suo movimento monarchico, L’Aquila a due teste, fondato nel 2015, che voleva trasformare in un partito politico. Il progetto è stato accantonato dopo la riforma costituzionale, confermata dal referendum del 1 luglio: “Ho raggiunto i miei obiettivi politici, visto che Putin può rimanere al potere”, ha spiegato a Le Monde. “Con lui l’idea monarchica assume un nuovo significato. Usiamo ancora il termine straniero di ‘presidente’, ma in realtà quello che abbiamo è un vero e proprio sovrano”.

La sua tv online Tsargrad (il nome con cui gli ortodossi chiamavano Costantinopoli) è un altro importante mezzo di influenza. Con un’audience stimata in sette milioni di persone, supera il gruppo mediatico di Prigozhin e promuove personaggi noti anche fuori dalla Russia, come l’ideologo eurasiatista Aleksandr Dugin o il cospirazionista statunitense Alex Jones. Secondo la stampa russa Malofeev avrebbe intenzione di aprire una “fabbrica di troll”, un settore in cui Prigozhin è già molto presente.

Ma Malofeev è noto soprattutto per le sue attività all’estero. Oltre al suo ruolo nell’annessione della Crimea e nella guerra del Donbass, per cui è stato sanzionato dagli Stati Uniti e dall’Europa, Malofeev è impegnato nei Balcani a fianco del presidente filorusso della Republika Srpska (Repubblica serba di Bosnia), Milorad Dodik, che minaccia regolarmente di staccarsi dal resto della Bosnia Erzegovina. Secondo il sito investigativo Bellingcat, per garantire la rielezione del suo protetto nell’autunno 2014, Malofeev avrebbe addirittura inviato degli uomini in uniforme da cosacchi, tra cui degli ex combattenti del Donbass. Inoltre sarebbe coinvolto nel fallito colpo di stato in Montenegro dell’ottobre 2016. Attualmente non può entrare in Bulgaria, dov’è accusato di spionaggio.

I metodi brutali di Prigozhin irritano una parte della classe dirigente russa, sia nella frangia più liberale sia tra i servizi di sicurezza

L’oligarca conservatore ha inoltre avuto un ruolo importante nel rafforzamento dei rapporti tra Mosca e i gruppi di estrema destra europei. Per quanto riguarda la Francia, Malofeev ha confermato di aver aiutato nel 2014 Jean-Marie Le Pen a ottenere un prestito di due milioni di euro attraverso una società cipriota.

Prigozhin è arrivato agli affari internazionali in modo graduale. Nel 2013 sarebbe stato la mente di una manifestazione fasulla in cui dei finti militanti gay hanno acclamato il presidente statunitense Barack Obama al suo arrivo al G20 di San Pietroburgo. Nello stesso anno avrebbe aperto la prima “fabbrica di troll”, in cui centinaia di commentatori e blogger erano pagati per inondare internet di post in favore del Cremlino e contro l’opposizione. Prigozhin nega qualunque legame, ma secondo alcuni documenti riservati pubblicati nel 2014 la sua società Concord finanziava l’Internet research agency – nome ufficiale di quell’attività – con un milioni di dollari al mese.

Accuse cadute

Nel 2016 i troll, che in un primo tempo avevano degli obiettivi russi, hanno cominciato a prendere di mira anche gli Stati Uniti. All’epoca Washington ha accusato Prigozhin di interferire nelle elezioni presidenziali, poi vinte da Donald Trump. Prigozhin è stato oggetto di sanzioni e nel 2018 è stato messo sotto inchiesta dal procuratore Robert Mueller, prima che la giustizia statunitense facesse cadere le accuse contro di lui. Questo però non ha impedito a un gruppo di senatori democratici e repubblicani di presentare il 17 giugno una risoluzione in cui si chiede al presidente Trump di prendere ulteriori misure contro la Russia, le cui attività sono descritte come “una minaccia per la sicurezza statunitense e la stabilità internazionale”. Ad aprile un’inchiesta della Cnn ha rivelato che il gruppo stava cercando di creare una nuova rete di troll in Ghana e in Nigeria in vista della campagna elettorale per le presidenziali del 2020, prima di essere fermato grazie alle misure adottate da Facebook, Instagram e Twitter.

Ma l’incursione americana di Prigozhin non si ferma qui. Nel 2018 un certo Alexander Malkevič è stato espulso dagli Stati Uniti dopo aver cercato di aprire (con l’aiuto di Prigozhin) il sito di disinformazione Usa really. Malkevič ha partecipato al vertice di Soči ed è attivo in Africa. Nel 2019 due suoi dipendenti sono stati arrestati in Libia, accusati da Tripoli d’ingerenza nelle elezioni.

Parallelamente Prigozhin si è impegnato a costruire la Wagner. Il gruppo, che partecipa direttamente a combattimenti con armi pesanti, si spinge molto più in là rispetto ad altri che si limitano a offrire protezione. Secondo Korotkov, che ha avuto accesso a centinaia di documenti riservati, in Siria sono stati impiegati circa tremila uomini, e durante i periodi di combattimento erano pagati fino a 240mila rubli al mese (tremila euro). I morti sono stati centinaia, in particolare nel febbraio del 2018, quando le loro posizioni vicino a Deir Ezzor sono state bombardate dagli statunitensi. Anche in Libia il gruppo ha subìto forti perdite.

Oltre le aspettative

Per capire il ruolo degli “imprenditori geo­politici” nella Russia di Putin è fondamentale chiedersi quali sono le loro motivazioni. Qual è il loro grado di autonomia? Agiscono per conto proprio o come subappaltatori? Sono abbastanza indipendenti da prendere delle iniziative o si limitano a eseguire gli ordini che gli arrivano dal potere politico?

La verità probabilmente sta nel mezzo, e varia a seconda delle persone e delle circostanze. In ogni ambito il potere russo ha fatto volentieri ricorso a elementi esterni: alcuni oligarchi arricchitisi grazie allo stato sono stati usati per finanziare determinati progetti, come per esempio le olimpiadi di Soči nel 2014 o la costruzione del ponte tra la Crimea e la Russia nel 2016.

Questa prassi ha un vantaggio evidente. Lo stato non si assume i costi delle operazioni, siano quelli finanziari o politici, per esempio la morte di cittadini russi. Inoltre, in caso di fallimento o di fronte alle proteste della comunità internazionale, Mosca può negare qualunque coinvolgimento. “La direzione generale viene dal vertice, e consiste nel favorire tutto quello che aumenta la presenza russa all’estero”, spiega il politologo Mikhail Vinogradov. “Poi di fronte a un obiettivo vago ognuno può fornire delle risposte diverse, sperando in una ricompensa diretta o portando al capo un successo che può addirittura superare le sue aspettative”.

Le attività di Prigozhin seguono questo schema. Con il suo intervento in Siria al fianco di Assad, sostenuto da Mosca, il “cuoco di Putin” sperava non solo di rafforzare i suoi legami con il ministero della difesa, da cui dipende gran parte dei suoi affari, ma anche di ottenere risultati più concreti. Secondo le rivelazioni di Fontanka, nel 2016 grazie alla mediazione del ministero dell’energia russo la sua società Euro-Polis avrebbe firmato con il regime siriano un accordo di cinque anni per la protezione dei giacimenti siriani di petrolio e gas. In cambio Euro-Polis riceverebbe un quarto dei redditi ottenuti dallo sfruttamento delle risorse, oltre al rimborso dei costi sostenuti dal gruppo Wag­ner. Nel maggio 2017 Euro-Polis ha aperto una succursale a Damasco.

Da sapere
La nuova era dei mercenari

◆“Turchia e Russia sono protagoniste di una nuova era di guerre tra mercenari”, scrive Ishaan Tharoor sul Washington Post. Se le attività del gruppo militare privato russo Wagner sono ben documentate almeno dal 2015, negli ultimi anni anche Ankara ha cominciato a servirsi regolarmente di mercenari, reclutati soprattutto tra i ribelli jihadisti siriani che ha sostenuto nel tentativo di rovesciare il governo di Bashar al Assad. Questi combattenti sono stati impiegati nell’invasione del Kurdistan siriano e sono stati inviati in Libia a sostenere il Governo di accordo nazionale di Tripoli, ricevendo uno stipendio di duemila dollari al mese. Alcuni jihadisti siriani sarebbero stati reclutati da un’azienda di sicurezza turca per partecipare all’offensiva lanciata il 28 settembre dall’Azerbaigian nel Nagorno Karabakh, dove almeno venti di loro sarebbero già morti.


Malofeev afferma invece di agire per patriottismo e sostiene che le avventure all’estero abbiano per lo più danneggiato i suoi affari: “La mia attività è assolutamente indipendente dallo stato e non ho mai chiesto nessuna autorizzazione. Sono là dove lo stato non arriva”. Secondo molti osservatori le sue motivazioni sono soprattutto ideologiche e talvolta le sue iniziative si sono spinte troppo in là, come nel caso del fallito colpo di stato in Montenegro. Tuttavia Malofeev ammette: “Ovviamente consultiamo il potere statale, e ci coordiniamo con esso”.

“Dato che si tratta di contesti in cui sono coinvolti l’esercito o i servizi segreti, immaginare che qualcuno possa agire da freelance è un’illusione”, conferma Vladimir Frolov, un ex diplomatico. In alcuni casi il legame è evidente. E anche se Malofeev dice di essere intervenuto in modo del tutto autonomo in Ucraina, molti documenti e intercettazioni telefoniche hanno dimostrato che lui e i suoi uomini sul posto erano costantemente in contatto con le autorità russe, compreso il presidente. Del resto il suo uomo chiave nel Donbass, il “ministro della difesa” dei separatisti Igor Strelkov, affermava di essersi dimesso dal Servizio federale di sicurezza (Fsb, il controspionaggio russo) l’anno prima, nel 2013.

Inoltre è accertato che i mercenari della Wagner usano le basi dell’esercito russo per addestrarsi o per spostarsi, in particolare quella di Molkino, nella regione di Krasnodar, che è diventata il centro di coordinamento delle attività del gruppo Wagner in Siria. Alcuni combattenti hanno ricevuto delle onoreficenze ufficiali, e il loro capo Dmitrij Utkin, il famoso “Wagner”, è stato ricevuto al Cremlino nel dicembre del 2016.

Obiettivi vaghi

Questo quadro però deve tenere conto che al vertice dello stato russo convivono diversi gruppi che non hanno sempre le stesse priorità. Il caso della Libia è particolarmente significativo. Il coinvolgimento del gruppo Wagner a fianco del maresciallo Haftar è in contraddizione con la linea raccomandata dal ministero degli esteri russo, che preferirebbe sostenere i suoi avversari, cioè il governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli. Pare che Haftar invece sia sostenuto dal ministero della difesa, e questo doppio gioco permette al Cremlino di tenere aperte tutte le opzioni sul campo e nei negoziati con la Turchia e i paesi occidentali. “Gli obiettivi strategici di Mosca non sono chiaramente definiti”, osserva Frolov. “Questo limita le attività di persone come Prigozhin e Malofeev, che si riducono spesso al semplice trolling”.

Gestire queste contraddizioni richiede molta abilità. E anche se Prigozhin continua la sua ascesa, i suoi metodi brutali suscitano l’irritazione di una parte della classe dirigente russa, sia nella frangia più liberale sia all’interno dei servizi di sicurezza. Malofeev invece si fa sempre più discreto, tranne che in Africa. In seguito alle sanzioni statunitensi ed europee, il banchiere ha abbandonato il controllo formale del fondo d’investimento Marshall, che avrebbe subìto pesanti perdite. In compenso è rimasto a capo di varie fondazioni impegnate in programmi conservatori e religiosi: restauro di chiese, finanziamento di scuole tradizionaliste ispirate all’epoca zarista, programmi caritatevoli e così via.

Oggi l’oligarca assicura di non occuparsi più di progetti internazionali e avrebbe addirittura tagliato i ponti con i suoi amici di estrema destra: “Abbiamo ridotto le attività perché i nostri partner (degli euroscettici) sono stati al centro di scandali completamente inventati o di una vera e propria persecuzione giudiziaria! Tutto questo mi ricorda l’Unione Sovietica!”. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1380 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati