In tempi normali via Wehda è una delle arterie più animate di Gaza. Piena di negozi, ristoranti, banche e uffici, attraversa l’agglomerato urbano da est a ovest, dal quartiere periferico di Shujaya fino all’ospedale Shifa, principale centro sanitario dell’enclave costiera, non lontano dal lungomare. Ma su questa strada aleggia ormai un’aria di lutto e desolazione. Nella notte tra il 15 e il 16 maggio la zona ha subìto un bombardamento dell’esercito israeliano estremamente violento, descritto come “un terremoto”.

I soccorritori si sono precipitati verso tre edifici ridotti in macerie. Alla fine della giornata avevano estratto 42 corpi senza vita di civili: 16 uomini, 16 donne e dieci bambini. Secondo il ministero della sanità di Gaza altre 50 persone sono state ferite.

È il bombardamento più letale da quando, il 10 maggio, si è riacceso il conflitto tra Israele e Hamas, il movimento islamista al potere a Gaza. I lanci dei missili israeliani sulla striscia di sabbia palestinese hanno causato finora 219 morti, tra cui 63 bambini (dati aggiornati al 19 maggio). I razzi lanciati dagli islamisti verso lo stato ebraico, che per la maggior parte sono distrutti in volo da Israele, hanno ucciso 12 persone, tra cui due bambini. I bombardamenti israeliani sono proseguiti nei giorni successivi.

Uno sull’altro

L’esercito israeliano parla di “perdite civili involontarie”, e afferma di aver mirato a “un’infrastruttura militare sotterranea” collocata sotto una strada, che sarebbe crollata trascinando le abitazioni nella voragine. Hamas invece parla di “omicidio premeditato”. Lo pensa anche Raji Sourani, direttore del Centro palestinese per i diritti umani, un’ong indipendente: “Possiamo ricostruire l’accaduto dal modo in cui gli edifici si sono schiantati. I piani sono crollati uno sull’altro, come le torri di uffici recentemente bombardate da Israele. È un massacro intenzionale”.

Era circa l’una di notte. Gaza si stava riposando dopo una giornata faticosa, segnata da attacchi contro un complesso di sicurezza e il ministero dell’interno. “Era già l’orrore, ma non avevamo ancora visto niente”, racconta al telefono Najla Shawa, un’operatrice umanitaria palestinese di 40 anni, che abita a pochi minuti da via Wehda. “Le mie due figlie di 6 e 2 anni dormivano, quando improvvisamente abbiamo sentito delle enormi deflagrazioni. Ce ne sono state 30 o 40 nel giro di cinque, dieci minuti. Tutta la casa ha tremato. Le mie figlie si sono messe a urlare. Quella notte abbiamo creduto di morire tutti”.

A casa di Hazem Tamimi, un commerciante di 42 anni che abita su una strada perpendicolare a via Wehda, il “terremoto” ha avuto un effetto ancora più violento: “Ho visto la mia casa ballare davanti a me”. Normalmente scherzoso e gioviale, Hazem parla con una voce che sembra venire dall’oltretomba, spezzata dalla paura e dalla stanchezza. “Ho radunato mia moglie, le mie due figlie e mio figlio in una stanza, gli ho preso le mani e abbiamo recitato dei versetti del Corano. Eravamo convinti che non avremmo visto l’alba”.

All’una e mezza gli uffici del premier israeliano Benjamin Netanyahu hanno pubblicato due tweet sul suo profilo in arabo. I messaggi erano destinati alla gente di Gaza: “In un’operazione speciale senza precedenti, abbiamo distrutto completamente il sistema di tunnel di Hamas. Mi rivolgo ai leader delle organizzazioni terroristiche: non potete nascondervi. Né nel sottosuolo né in superficie”. I palestinesi di Gaza la chiamano la “metro”: è una rete di gallerie sotterranee, nascondigli e depositi di armi che si estende per chilometri, ed è l’ossessione degli strateghi israeliani. Grazie a questo sistema che gli permette di circolare senza essere visti, durante la guerra del 2014 i combattenti di Hamas hanno ucciso 67 soldati israeliani.

All’alba sono cominciate a circolare le immagini del disastro. Via Wehda, attraversata da spaccature e crateri, sembra essere sopravvissuta a un sisma. “Di solito i bombardamenti fanno saltare le finestre e le porte”, testimonia Rami Abu Jammous, che fa da guida ai giornalisti stranieri nella Striscia. “Ma stavolta non c’è stato l’effetto di un’esplosione. L’esercito israeliano ha usato armi fabbricate per colpire e distruggere i tunnel”.

Da sapere
Si muove la diplomazia

◆ Mentre le tensioni sul terreno non accennano a placarsi, proseguono gli sforzi diplomatici della comunità internazionale per raggiungere un cessate il fuoco. Il 18 maggio la Francia ha presentato un progetto di risoluzione per una tregua al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di sbloccare l’opposizione degli Stati Uniti a una dichiarazione per chiedere la fine delle ostilità. Ma il giorno successivo la missione statunitense all’Onu ha fatto sapere che non sosterrà “azioni che compromettono gli sforzi a favore di una diminuzione delle tensioni”. In una nota, sempre del 19 maggio, la Casa Bianca ha annunciato che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden in un colloquio telefonico con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiesto una riduzione delle ostilità immediata in vista di un cessate il fuoco. In una riunione con gli ambasciatori stranieri il 19 maggio, però, Netanyahu ha detto che “non è ancora possibile stabilire la durata di questa operazione”. Intanto prosegue anche il tentativo di mediazione dell’Egitto, interlocutore tradizionale di Israele e di Hamas.

◆Dall’inizio delle ostilità tra Israele e Hamas, il 10 maggio, almeno 219 palestinesi, tra cui 63 bambini, sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza, secondo i dati del ministero della salute aggiornati al tardo pomeriggio del 19 maggio. I lanci di razzi dalla Striscia verso Israele hanno ucciso 12 persone, tra cui due bambini. Afp, Bbc


I tre edifici distrutti si trovano all’incrocio con via Nasser. I cadaveri estratti dalle macerie appartengono per lo più al clan Al Kolak, una famiglia della classe media, senza affiliazioni politiche. Sami al Kolak, gestore di un negozio di elettronica, è morto con la moglie, il figlio Qussai, di un anno, il fratello e la sorella. Shoukri al Kolak, che lavora nel settore edile, è sopravvissuto, ma due dei suoi figli sono morti: il maggiore, Taher, 23 anni, che aveva appena concluso gli studi in ingegneria, e Ahmed, di 17 anni. “Conoscevo tutte queste persone, erano civili”, spiega Hazem Tamimi. “Prima se si restava alla larga dalla politica, si aveva una possibilità di uscirne. Oggi abbiamo la sensazione che tutti siano bersagli”.

Un messaggio chiaro

L’esercito israeliano declina ogni responsabilità e accusa Hamas di “avere intenzionalmente posizionato la sua infrastruttura militare sotto le case di civili”. Ma se anche i tre edifici fossero crollati per lo spostamento del terreno provocato dall’esplosione, questo solleva i militari israeliani dalle loro responsabilità? “Quando si usano armi così potenti in un luogo così densamente popolato come Gaza ci si deve aspettare di causare vittime civili”, sostiene Najla Shawa. “Questo è un crimine di guerra, che aggiungeremo al fascicolo presentato alla Corte penale internazionale”, insiste l’avvocato Raji Sourani, molto attivo nel ricorso a questa istituzione. A marzo la corte ha annunciato l’apertura di un’inchiesta sui crimini commessi nei territori occupati a partire dal giugno 2014.

Già un altro bombardamento è oggetto di una richiesta d’indagine ufficiale: quello che il 15 maggio ha distrutto l’edificio Al Jalaa, un palazzo di dodici piani che ospitava gli uffici del canale panarabo Al Jazeera e dell’agenzia di stampa statunitense Associated press (Ap). Le persone presenti sono state avvertite dall’esercito con un’ora di anticipo e hanno potuto lasciare l’edificio. Accusato di voler “far tacere la stampa” e “nascondere il massacro”, Netanyahu ha risposto che il palazzo era un bersaglio legittimo perché ospitava uffici dell’intelligence di Hamas.

Nei giorni precedenti, sempre citando la presunta presenza di Hamas, l’esercito israeliano aveva fatto saltare altre torri di uffici, come i palazzi Hanady, Shorouk e Al Jawhara. “Attaccando questi edifici, luoghi conosciuti in tutto il mondo, Israele ci manda un messaggio chiaro”, dice Sourani. “Non avrete futuro, non avrete più sogni, sarete rispediti all’età della pietra”. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1410 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati