È una mattina gelida di febbraio. A Heyvaert, un quartiere di Bruxelles, il sole dà un po’ di conforto a un gruppo di africani poco abituati alle basse temperature. “La settimana scorsa a Lagos faceva caldissimo”, dice uno di loro scaldandosi con il fiato le mani intirizzite. Gli altri annuiscono. “Dobbiamo resistere ancora un po’. Alla fine del mese ce ne andiamo”.

I rimorchi pieni di auto usate lasciano intuire lo scopo della loro visita. “Cerchiamo veicoli solidi e poco costosi. Meglio se provenienti dalla Francia e dai Paesi Bassi, perché lì li tengono bene. Ne scegliamo una quindicina da rivendere nei nostri paesi”, spiega il nigeriano.

Dagli anni ottanta, vicino al canale che costeggia i quartieri di Molenbeek, Anderlecht e il centro di Bruxelles, c’è un fiorente mercato delle auto usate. Tutti quelli che sono nel giro conoscono qualcuno che lavora per compagnie di trasporti marittimi come Socar o Karim Export. Nel 2019 dal porto di Anversa sono state spedite 320mila auto di seconda mano, la maggior parte delle quali era diretta in Africa occidentale. Il numero è in aumento da anni. In Europa solo i porti di Zeebrugge, in Belgio, e di Brema, in Germania, esportano più veicoli, ma nessuno è collegato ai porti africani meglio di quello di Anversa.

A Conakry, la capitale della Guinea, nel 2018 sono stati importati 67.313 veicoli: il 64 per cento veniva dal Belgio e il 97 per cento era usato. In gran parte, però, sono rottami di un’altra epoca, che in teoria non potrebbero essere esportati. Nell’agosto del 2020 la società di consulenza olandese Trinomics, che lavora anche per la Commissione europea, ha calcolato che ogni anno in media quattro milioni di vecchie auto scompaiono dai radar in Europa. Per Febelauto, l’ente belga che si occupa dei veicoli non più in circolazione, tra le 40mila e le 60mila sono macchine belghe. “Non si sa quante se ne esportino fuori dall’Unione o siano usate al suo interno senza documenti, né quali danni ambientali producano”, si legge nel documento redatto da Trinomics.

Dal 2005 in Belgio è obbligatorio consegnare i vecchi veicoli a centri di rottamazione certificati. “Tra le ragioni principali del numero relativamente basso di consegne ci sono la non tracciabilità dei veicoli e le scappatoie offerte dall’esportazione”, si legge in un rapporto pubblicato nel 2020 da Ovam, l’agenzia pubblica che si occupa dei rifiuti nelle Fiandre. Insomma chi vuole fare affari con le auto da rottamare trova la porta spalancata. Dopo giorni di trattative con le autorità guineane, otteniamo il permesso di visitare il porto di Conakry. Saliamo su uno dei due pick-up che ci scortano fino all’autoparco del porto, dove i veicoli aspettano di essere ritirati dai nuovi proprietari. Ci sono auto e furgoni provenienti da tutt’Europa, e in particolare da Paesi Bassi, Germania, Francia e Belgio. “Garage Michiels” si legge su una targa, che riporta un numero di telefono belga. L’autoparco misura 38mila metri quadrati e ospita centinaia di macchine. Molte sembrano pezzi di antiquariato. Come abbiano fatto a farle arrivare fino a qui ci sembra un mistero, finché non vediamo un muletto sollevarne una.

“Maledette quelle vecchie macchine!”, dice Diallo. “Finché continueremo a importare rottami dall’Europa, le cose non miglioreranno”

Quella notte, dopo un viaggio durato venti giorni, è arrivata una nave da Anversa. Il mastodonte, che si ferma a Conakry tre o quattro giorni, è lungo duecentodieci metri e può trasportare fino a tremila veicoli, ci dice un lavoratore del porto. “Ma non scaricano tutto qui. Fanno tappa anche in altri porti dell’Africa occidentale”.

Quando escono dal terminal, le auto usate sono distribuite in garage sparsi per la città, e lì vengono messe a posto o smontate per ottenere pezzi di ricambio. Non di rado a fare questo lavoro pesante sono bambini di dodici o tredici anni. Chi non ha i soldi per andare a scuola finisce in uno di questi garage e diventa un meccanico, ci spiega Alpha Diallo, un uomo alto, dall’aria sicura e dall’abbigliamento curato. È uno dei più grandi commercianti di automobili di Conakry. Nella sua concessionaria a cielo aperto vende centinaia di veicoli di tutti i marchi: Toyota, Peugeot, Renault, Nissan.

“Per noi le migliori sono quelle”, precisa Diallo indicando una decina di auto francesi con la scritta Karim Export sui finestrini. Sono Peugeot e Renault degli anni novanta. “Qui ogni macchina ha un valore. Sistemiamo tutto. In caso contrario, rivendiamo i pezzi”. Gli chiediamo se in Guinea non ci siano limiti alle importazioni. “Sì, ma sono una barzelletta”, risponde.

Nel febbraio del 2020 i paesi della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cédéao, di cui fa parte anche la Guinea) hanno firmato un accordo per inasprire i limiti alle importazioni a partire dal 1 gennaio 2021. Da quest’anno in Guinea possono entrare solo auto che hanno al massimo dieci anni e che rispettano lo standard di emissioni inquinanti Euro 4. Ma sembra che nessuno sappia delle nuove regole.

È un tema delicato perché il commercio delle auto usate dà lavoro a molte persone, dall’agente della dogana che può vendere un vecchio catorcio al piccolo venditore di ricambi. Inoltre bisogna tenere conto che la Guinea è un paese con valutazioni sempre molto negative nelle classifiche sulla corruzione. Finora, tutte le volte che il presidente Alpha Condé ha provato a limitare le importazioni di veicoli inquinanti ha fallito. “Se hai i soldi, puoi far entrare di tutto. Siamo la pattumiera d’Europa, ma quei rottami ci servono per tirare avanti”, commenta il venditore di auto. “Sarebbe meglio introdurre limitazioni meno rigide. Il divieto d’importare veicoli più vecchi di dieci anni è eccessivo”.

Il mercato delle occasioni

Domenica mattina, alle 10, il termometro segna già 35 gradi. A pochi passi da Kaloum, il centro amministrativo della città, visitiamo il mercato più grande di Conakry. Regna il caos. Macchine e motorini si tagliano la strada, i pedoni devono stare molto attenti. “Usato di Bruxelles, buona qualità!”, grida in francese un venditore dietro la sua bancarella. È specializzato in impianti stereo: 400mila franchi guineani (circa 32 euro), installazione compresa.

Poco più avanti si vendono ammortizzatori. “Sono pezzi molto importanti”, dice il venditore. “Le strade sono piene di buche”. Anche lui grida “usato di Bruxelles”. “È sinonimo di qualità”, spiega. “Negli anni ottanta, quando cominciò il commercio di auto di seconda mano, quasi esclusivamente venivano da là. Ora arrivano da tutt’Europa, da Dubai, dal Canada e dal Giappone”.

Le auto provocano molti danni nel paese. Il traffico, insieme all’incenerimento dei rifiuti, è una delle prime cause dell’inquinamento atmosferico. In città c’è una sola stazione di monitoraggio della qualità dell’aria: quella dell’ambasciata statunitense. Per diciotto giorni a gennaio, la qualità dell’aria è risultata da “cattiva” a “pessima”, con concentrazioni di sostanze inquinanti di gran lunga superiori a quelle tollerate in Europa.

Barry Mohamed Lamine è un cartografo e un ambientalista, e lavora per l’università Lansana Conté di Conakry. Ci accompagna per le strade più trafficate portando con sé un misuratore di polveri sottili. Dopo pochi minuti l’apparecchio dà un risultato chiaro: 162 microgrammi per metro cubo, cioè più di sei volte il valore medio giornaliero che l’Organizzazione mondiale della sanità reputa sicuro. In una delle tante officine a cielo aperto della città, misuriamo i fumi che escono dal tubo di scappamento di un vecchio 4x4, che sta per essere ritirato dal nuovo proprietario quello stesso giorno. Chiediamo al meccanico di dare gas, e dalla marmitta esce una nuvola di fumo nero. Dopo cinquanta secondi il rilevatore va in tilt: le polveri sottili sono troppe, più di duemila microgrammi per metro cubo. “Queste rilevazioni sono solo delle istantanee”, dice Lamine. “In città quel fumo nero è ovunque. Non serve essere degli esperti per capire che la situazione è grave”.

Da sapere
Penuria di auto in Algeria

◆ In Algeria un’auto del 2013 può essere rivenduta otto anni dopo per la stessa somma pagata all’acquisto. E, anche in quel caso, il proprietario potrebbe non venderla, per paura di non trovarne un’altra. “L’Algeria ha un problema”, spiega l’Economist. “Non produce auto. E nel 2016 ne ha vietato le importazioni per conservare le riserve di valuta straniera pregiata”. Così oggi nel paese le auto sono poche e costano molto, anche se sono vecchie. Il progressivo calo delle riserve di valuta straniera ha costretto i governi algerini degli ultimi anni a vietare le importazioni di alcuni beni considerati non essenziali (per esempio, quella di carne rossa). Il caso delle vetture, però, si è rivelato più complicato perché nel paese, dove l’economia gira tutta intorno al petrolio, non ci sono fabbriche di auto. A gennaio il rischio di una nuova rivolta ha spinto il governo a fare un passo indietro, promettendo d’importare veicoli per due miliardi di dollari.


Le conseguenze per la salute non sono trascurabili, conferma il dottor Abdoulaye Keita dell’ospedale universitario. “L’inquinamento causa sinusiti croniche e altre patologie respiratorie. È un dramma. Anni fa i casi erano pochissimi, ma ora un terzo dei miei pazienti ha problemi di salute dovuti all’inquinamento dell’aria”. La sicurezza delle strade è un altro motivo di preoccupazione. Cinque anni fa un minibus investì il professor Samba Diallo, trent’anni. Diallo cadde su una spalla e perse i sensi. Solo un’ora dopo fu portato in ospedale, dove ricevette una diagnosi sbagliata. Oggi ha un braccio paralizzato. “Gli ospedali hanno così poche risorse che era quasi inevitabile”, dice. È stato operato a Istanbul. “Ho ancora qualche speranza di salvare il braccio, ma dovrei tornare in Turchia, e non posso permettermelo”.

Quello di Samba Diallo non è un caso isolato. Nel 2016, l’ultimo anno per cui sono disponibili dei dati, le autorità guineane registrarono 458 morti in incidenti stradali. Secondo la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Ibrd) le vittime sono in realtà 3.490, cioè quasi otto volte quelle ufficiali.

“Maledette quelle vecchie macchine!”, dice Diallo. “Finché continueremo a importare rottami dall’Europa, le cose non miglioreranno. Non ci sono limiti di velocità e le auto non sono sottoposte a controlli. Come se ne esce?”.

Un passaporto digitale

Perché milioni di auto da rottamare spariscono dai radar europei? A Febelauto non sanno più cosa fare. “Sono quindici anni che chiediamo una maggiore tracciabilità”, spiega il consulente Frédéricq Peigneux. “Senza tracciabilità, il Belgio è destinato a rimanere il centro del mercato delle auto usate”.

L’Europa vuole affrontare la situazione. E deve farlo se intende rispettare il
_green deal _(patto verde) promosso dalla Commissione. A marzo dell’anno scorso, l’organismo presieduto da Ursula von der Leyen ha presentato il suo piano d’azione per l’economia circolare come “uno dei pilastri del _green deal _europeo”, una condizione necessaria per raggiungere l’obiettivo di un’economia climaticamente neutra entro il 2050. In quest’ottica sta rivedendo la normativa in vigore sulla rottamazione dei veicoli fuori uso. Nel parere fornito alla Commissione europea, l’Ovam sottolinea che la sparizione sistematica dei veicoli dismessi può essere interrotta introducendo un passaporto digitale: “La raccolta delle auto fuori uso è complicata perché senza tracciabilità non sappiamo chi sono i proprietari”.

Nel frattempo a Heyvaert continua il viavai di vecchi catorci. “A noi queste macchine servono”, spiega il compratore nigeriano. “Finché non costruiranno fabbriche di auto in Africa, ci toccherà usare i vostri scarti. Con la corruzione e la situazione politica nei nostri paesi, limitare le importazioni ha poco senso”. ◆sm

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Questo articolo è uscito sul numero 1400 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati