L’arrivo di un nuovo manuale scolastico in una classe può provocare un’esplosione di gioia? È proprio quello che è successo in Guinea Bissau, un paese dove l’analfabetismo è estremamente diffuso e dove quasi la metà degli abitanti sopra i quindici anni non sa leggere né scrivere. Libri e guide didattiche nuovi di zecca per gli insegnanti delle elementari sono stati consegnati di recente in molte scuole del paese, nel contesto di una riforma curricolare della scuola primaria (Receb).
Per la prima volta i manuali usati per l’anno scolastico 2024-2025 sono stati pensati, aggiornati e realizzati per le alunne e gli alunni guineani. Prima erano dei semplici adattamenti di testi di altri paesi, soprattutto del Portogallo. L’obiettivo è creare un programma solido e ambizioso, interrompendo il circolo vizioso dell’analfabetismo e superando i difetti di insegnamenti che non erano più stati aggiornati dall’inizio degli anni novanta.
L’esplosione di gioia non è stata solo quella di alunni e insegnanti, ma anche quella delle persone che hanno partecipato a un processo durato quasi dieci anni. La riforma è infatti il risultato della collaborazione tra l’istituto per lo sviluppo dell’istruzione della Guinea Bissau (Inde), la Banca mondiale, l’Unicef e la fondazione Calouste Gulbenkian, con sede in Portogallo, che ha fornito consulenza tecnica e ha supervisionato il processo. Il lavoro sui testi scolastici è stato svolto in collaborazione con l’università del Minho, a Braga, in Portogallo, che ha curato i contenuti di cinque materie: lingua portoghese, matematica, scienze naturali e sociali, educazione civica e arte. “Avevamo già partecipato alle riforme dei programmi scolastici di altri paesi africani di lingua portoghese, come São Tomé, ma il progetto in Guinea Bissau è stato il più lungo e strutturato, perché va dal primo anno della scuola primaria fino al nono, che segna la fine della scuola dell’obbligo”, spiega Maria Hermínia Cabral, direttrice del partenariato con l’Africa della fondazione Gulbenkian.
In tutti questi anni di lavoro, il paese ha subìto almeno due colpi di stato e diversi tentativi falliti di rovesciare il governo, oltre a sistematici avvicendamenti al potere, con la nomina di vari ministri dell’istruzione (in certi casi i responsabili del progetto non hanno fatto neanche in tempo a conoscerli). Per non parlare delle difficoltà dovute alla pandemia di covid-19. “L’instabilità non favorisce le politiche a lungo termine”, osserva Cabral. “Nel nostro caso il documento orientativo è stato approvato con un decreto presidenziale, e per questo abbiamo potuto contare su una certa continuità”.
Sulla sponda dell’oceano Atlantico, all’estuario del fiume Geba, dove si trova il più grande porto della Guinea Bissau, sono le nove di mattina. La stagione secca sta per finire e il caldo asfissiante di Bissau è già carico di umidità. Al Mercado de Bandim che copre varie strade della capitale i commercianti espongono le loro merci nei piccoli negozi e sulle bancarelle, o semplicemente mettendole sui marciapiedi. Sacchi di mais e di riso, orologi, detergenti, pneumatici, vecchi cellulari, vasellame, scarpe, vestiti, tessuti e corna di animali sono sparsi per terra vicino a torri di frutti tropicali impilati ad arte e pacchetti di anacardi appena tostati, presentati da venditrici che indossano abiti e turbanti dai colori talmente vivaci ed esuberanti che sembrano attraversare il frenetico paesaggio urbano come uccelli del paradiso.
Tra flaconi di profumo e pennarelli, troviamo anche i vecchi manuali scolastici (a volte fotocopiati). Erano basati su modelli stranieri senza essere adattati all’attualità e alla realtà del paese. Prima del Receb, in Guinea Bissau non esisteva un programma scolastico ufficiale. Ogni docente insegnava quello che sapeva, basandosi sui libri trovati al mercato o comprati nelle scuole private. Per questo, nel corso degli anni, ogni istituto ha portato avanti programmi diversi e gli alunni non hanno imparato tutti le stesse nozioni.
Contenuti omogenei
Da qui la necessità di uniformare i contenuti, facendo affidamento su pedagogie più adeguate e contemporanee. Questo compito è stato assegnato a Laurinda Leite, docente di scienze dell’educazione e responsabile del Receb all’università del Minho. Ha coordinato le équipe locali nominate dal ministero dell’istruzione attraverso l’Inde e si è occupata della preparazione di 57 formatori. Questi specialisti hanno lavorato in una prima fase con circa tremila insegnanti di cinque regioni diverse, mentre nella fase finale hanno esteso l’attività a tutto il paese, dialogando con più di seimila maestri e maestre. Leite ha visitato regolarmente la Guinea Bissau – “forse più di quaranta viaggi” – per discutere dei contenuti dei programmi e visitare scuole in tutto il territorio, comprese le isole Bijagos. Leite ricorda bene le impressioni ricavate quando aveva visitato alcune regioni rurali e aveva visto bambini e bambine che ogni giorno percorrevano chilometri dai villaggi per arrivare a scuola, spesso con il brutto tempo. Secondo lei servono molta forza e determinazione per imparare (ma anche per insegnare) in Guinea Bissau.
Nelle nove regioni guineane ci sono 957 istituti scolastici pubblici. Secondo i dati raccolti dall’Unicef nel 2014, il 44 per cento dei bambini di età compresa tra 6 e 12 anni non frequentava le lezioni. Anche se nel 2019 la percentuale era scesa al 29 per cento, restava comunque alta, con almeno 70mila bambini esclusi dalla scuola.
Partiamo per Bula, una piccola città a poco più di cento chilometri dalla capitale, nella regione nordorientale del Cacheu. Dobbiamo attraversare un braccio del fiume che porta lo stesso nome, una vasta distesa d’acqua color smeraldo attraversata da correnti impetuose. Sulle rive fangose crescono piccole mangrovie dove i pescatori, a bordo di piroghe artigianali, lanciano le reti nella speranza di tirare su qualcosa.
Man mano che ci avviciniamo a Bula s’intensifica la presenza delle persone che camminano lungo le strade fiancheggiate da alberi enormi, immerse in un trambusto di furgoni, biciclette e moto. Come in molti paesi africani, anche qui la vita scorre sul ciglio della strada.
I negozi dai colori sgargianti sfoggiano insegne disegnate a mano per indicare i servizi offerti: barbiere, sarto, falegname. C’è un ragazzo che vende tessuti tradizionali e un banco di musicassette da cui arriva la colonna sonora di un film. Su una bancarella sono disposti centinaia di cellulari in carica collegati a generatori a benzina: i proprietari dei telefoni possono ricaricare la batteria a prezzi modici concordati sul momento. L’elettricità scarseggia in molte aree del paese.
Alla fine raggiungiamo il complesso dell’istituto scolastico primario di Bula. Incontriamo il preside Gibril Whabali: ci racconta che tre anni fa sulla regione si sono abbattute tempeste violente che hanno danneggiato i pannelli solari. Da allora la scuola non ha più la corrente.
Ripetendo la filastrocca
Prima dell’intervallo delle dieci ascoltiamo il suono che proviene dall’interno delle aule, dove le porte sono aperte a causa del caldo intenso. I circa 522 alunni, seguiti da dieci insegnanti, sono seduti a coppie dietro i banchi e seguono le parole indicate sulla lavagna, imparando l’ortografia e la lettura della lettera “v” recitando una filastrocca: “Viva la v di verde, la v di vegetale, la v di verdura, di vento e di vortice. Viva la v!”.
Spesso gli insegnanti devono usare il creolo guineano, la lingua più usata per comunicare, anche se quella ufficiale è il portoghese
Frequentano la prima classe, ma alcuni hanno già nove anni. L’ingresso tardivo a scuola dei bambini provenienti da famiglie molto numerose – che spesso non hanno la possibilità di fare studiare tutti – è una delle cause dell’analfabetismo tra i giovani. Lo studio condotto dall’Unicef in Guinea Bissau nel 2014 ha rivelato che solo un bambino su nove acquisiva le competenze di base. A restare fuori del sistema erano soprattutto le bambine. Una delle battaglie del programma Receb è abbattere le frontiere di genere, partendo proprio dalla scuola.
Gibril ci accompagna nella sala professori, dove sfogliamo i nuovi testi scolastici. Mostra con orgoglio le illustrazioni, la grafica accurata, la varietà e i dettagli delle informazioni. Il libro è diviso in tre grandi capitoli intitolati: “Chi sono io?”, “Io e gli altri” e “Io e la mia terra”.
Questi temi accompagneranno le lezioni di portoghese, matematica, scienze naturali e sociali. I bambini e le bambine scopriranno l’importanza di avere una carta d’identità e un attestato di nascita; cos’è un nucleo familiare, qual è la differenza tra una famiglia poligamica e una monogamica; cos’è una comunità e quali sono le attività economiche, i nomi dei fiumi, delle piante e degli animali del posto, e quelli dei diversi gruppi etnici del paese. I manuali sono stati elaborati inserendo contenuti aggiornati sui temi più attuali, come l’ambiente e la sostenibilità, insieme a riferimenti specifici alla realtà della Guinea Bissau. I bambini conosceranno la storia e la geografia del loro paese, che in passato erano materie trascurate.
Al lavoro nei campi
Ma la conquista più grande è stata probabilmente la formazione di maestri e maestre. Oltre a una guida all’insegnamento, ognuno ha ricevuto un registratore audio, un tablet e una cassa bluetooth, dotati di un kit per ricaricarli con l’energia solare.
Durante l’intervallo incontriamo Jagosta Samira Pereira, 28 anni. Viene da Bissau, ma da quando ha cominciato a lavorare, cinque anni fa, vive a Bula, dove divide una casa con due colleghe. Ha seguito le lezioni formative con la squadra di Laurinda Leite.
“Finora non avevamo a disposizione testi validi, ma ora possiamo seguire un metodo e pianificare il lavoro. Così le esitazioni spariscono. Questa nuova sicurezza la trasmettiamo anche nel lavoro in aula, perché se il docente è preparato l’alunno apprende più volentieri”, spiega Pereira, rivelando di essere rimasta impressionata in modo particolare dai manuali di scienze naturali e sociali – dove si spiegano anche attività molto semplici, come andare a fare la spesa al mercato senza dover contrattare con i venditori – e da quelli di educazione civica, una disciplina introdotta per la prima volta.
Grazie a questa materia gli alunni hanno la possibilità di imparare concetti come quello della pace, indispensabile per ricostruire un paese che ha vissuto una guerra civile e che vive sotto la minaccia dei colpi di stato militari. Nei libri s’insegna anche il rispetto per la diversità e la ricchezza del mosaico etnico del paese, insieme alle nozioni di comunità e identità guineana.
Pereira adora il lavoro di insegnante e accompagna i bambini fino al termine della primaria. A breve, spiega, comincerà la stagione della raccolta degli anacardi, una delle maggiori ricchezze della Guinea Bissau e una delle principali esportazioni. Per molti agricoltori gli anacardi sono la principale fonte di guadagno, dunque la maestra sa bene che metà degli alunni non andrà a scuola per un paio di mesi per aiutare i genitori nei campi. Secondo lei per contrastare l’abbandono scolastico è importante includere le famiglie nella comunità formativa, organizzando eventi e riunioni in cui descrivere ai genitori i progressi dei loro figli, affinché si sentano orgogliosi e capiscano che studiare è fondamentale per uscire dalla povertà.
Nelle ore in cui rimaniamo a scuola, molti alunni si avvicinano incuriositi. Due di loro seguono la visita del preside e ascoltano le nostre conversazioni. Ma quando gli chiediamo come si chiamano e quanti anni hanno, scappano via. Chissà se hanno capito le nostre domande.
Il preside li difende spiegando che capiscono benissimo ma si vergognano a parlare portoghese perché hanno paura di fare errori. In casa la maggior parte di loro parla la lingua del suo gruppo etnico. In tutto il paese ne esistono più di venti, ognuno con la sua lingua e la sua cultura. All’interno della scuola di Bula sono rappresentati più di quattro etnie diverse, con una maggioranza di balanta e papel.
La scelta più pratica
Spesso gli insegnanti devono usare il creolo guineano, la lingua più usata per comunicare anche se quella ufficiale è il portoghese. Lucy Monteiro, un’esperta d’istruzione dell’Unicef, spiega perché si è deciso di scrivere i testi scolastici in portoghese, anche se molti docenti non lo padroneggiano: “Nonostante il portoghese sia la lingua ufficiale per l’insegnamento in Guinea Bissau lo parla solo il 10 per cento della popolazione. Uno degli obiettivi del Receb è rafforzare le competenze sia matematiche sia linguistiche”.
“Per la maggior parte dei guineani la lingua madre è quella dell’etnia dei genitori o il creolo, usato nella vita quotidiana”, continua Monteiro. In alcune aree, per esempio a Gabú, dov’è predominante l’etnia peul, “c’è una grande varietà di profili linguistici, che spesso gli insegnanti non conoscono. Perciò serve un’alternativa per comunicare e fare lezione. Abbiamo quindi scelto di puntare sull’insegnamento del portoghese, una lingua con cui i bambini e le bambine generalmente entrano in contatto proprio quando cominciano la scuola”.
Tenendo conto del fatto che la lingua è un ostacolo per i bambini all’inizio del loro percorso, Isabella Stampa, un’italiana arrivata a Bissau più di dieci anni fa per partecipare a un progetto di turismo sostenibile, ha pensato che sarebbe stato più interessante lavorare sui manuali scolastici puntando sulle immagini, in particolare sulle illustrazioni invece che sulle fotografie. Stampa è la responsabile del lavoro grafico e dell’organizzazione dei contenuti, sia per le guide destinate ai professori sia per i quaderni delle attività rivolti agli alunni. “La decisione di usare illustrazioni e non fotografie è stata ponderata a lungo. In questo modo è più facile concentrarsi su ciò che si vuole insegnare”, sottolinea Stampa, raccontando che al momento di trasferirsi in Guinea Bissau, al termine degli studi in progettazione del paesaggio, non aveva mai sentito parlare del paese. Ma quando è arrivata si è subito sentita a casa. Inizialmente Stampa ha lavorato a progetti diversi. Finché, grazie a un concorso indetto dall’Unicef nel 2015, ha cominciato a collaborare con Leite.
◆ La Guinea Bissau è un piccolo paese di due milioni di abitanti sulla costa dell’Africa occidentale. Ha ottenuto l’indipendenza dal Portogallo nel 1974, grazie alla lotta del Partito africano per l’indipendenza della Guinea e di Capo Verde (Paicg), guidato da Amílcar Cabral. Dal 1980 il paese ha vissuto una lunga serie di colpi di stato. Dall’inizio degli anni duemila l’instabilità è stata alimentata anche dai legami dei politici e dei vertici militari con i narcotrafficanti sudamericani, visto che il paese è considerato la porta d’ingresso della cocaina in Africa. Dal 2020 è al potere il presidente Umaro Sissoco Embaló, che si è candidato anche alle presidenziali del 23 novembre 2025. Dw, Bbc
Uno degli elementi più apprezzabili dei nuovi libri di testo sono le illustrazioni, adorate dagli alunni e dalle alunne. “Si sentono gratificati per la cura con cui è stato realizzato un lavoro rivolto a loro”, racconta Isabella Stampa. “In un paese dove i bambini sono sempre gli ultimi tra gli ultimi – gli ultimi a mangiare, gli ultimi ad avere diritti – e dove molti di loro non hanno mai visto un libro, l’idea che sfoglino pagine colorate, pulite, con informazioni ben organizzate che gli permettono di riconoscersi in quello che studiano mi rende molto felice”. Nei primi anni trascorsi in Guinea Bissau Stampa ha viaggiato all’interno del paese, scoprendo le tradizioni, le abitudini e la diversità della popolazione e degli ecosistemi: i fiumi impetuosi del nord, le foreste del sud, l’est più arido alla frontiera con il Senegal.
Lungo il percorso che porta a Bula, dove s’incontrano piantagioni di riso, arachidi e mais, scorre un grande fiume di acqua dolce che crea un paesaggio particolare. Nella stagione delle piogge si gonfia così tanto e crea degli allagamenti così vasti che chi lo attraversa può immaginare di trovarsi su una nave. Stampa ha usato la sua conoscenza del territorio per avvicinarsi ai bambini della Guinea Bissau usando le illustrazioni, soprattutto nella sezione dedicata all’ambiente e alle attività sociali.
“Sono piene di battute e di storie locali. Quando ho cominciato a lavorare con altri illustratori, ho capito che dovevo fare attenzione a come rappresentavamo le persone. È importante farle sentire a proprio agio. Immagino l’effetto che può avere per un bambino studiare la sua terra invece che quella degli altri. Mio marito, che è guineano, era sbalordito: mi ha raccontato che a scuola, negli anni novanta, aveva imparato la storia e la geografia del Portogallo come di rado capita ai portoghesi. Invece le sue conoscenze sulla Guinea Bissau erano superficiali”.
Modelli in cui riconoscersi
“Sai chi è Eder? Eder è nato a Bissau, il 22 novembre 1987. Il suo nome completo è Ederzito António Macedo Lopes, ma tutti lo chiamano Eder. È un giocatore di calcio professionista e ha già vestito la maglia di molte squadre. Durante gli Europei del 2016, Eder ha segnato il gol che ha regalato la vittoria al Portogallo contro la nazionale francese, nella finale del torneo. Eder è alto, misura un metro e novanta centimetri. È magro, ma fisicamente molto forte. Porta le trecce e ha gli occhi neri e grandi, di una brillantezza speciale. Chi lo conosce dice che è simpatico e umile, e ha un buon cuore. Eder è un combattente, ha dovuto affrontare molti problemi ma è riuscito a diventare un uomo. È molto più di un giocatore d’origine guineana. È il simbolo di come i sogni possono diventare realtà. C’è un Eder in tutti noi!”.
In classe Uccla, un alunno in uniforme, scandisce questo testo in piedi davanti agli altri, che seguono le parole con il dito sulle pagine del libro del terzo anno. Questa è una sorta di scuola modello, un istituto ibrido, pubblico e privato. L’edificio è nel centro di Bissau, dove ci sono 41 scuole pubbliche e più di ottanta private. “Se i genitori possono permetterselo, il 99 per cento dei bambini va nelle scuole private”, spiega Allende Quadé, direttore dell’Inde. Quadé vorrebbe creare una scuola pubblica più inclusiva ed egualitaria, “a partire dai nuovi metodi pedagogici e dai migliori strumenti di insegnamento”.
Accompagnati dalla preside, attraversiamo gli spazi ampi, dall’architettura coloniale modernista. Le aule affacciano su cortili che rinfrescano i corridoi. La preside è una donna affabile, dal sorriso smagliante. “Il lavoro di insegnante ha un grande valore”, spiega. Lei fa questo mestiere da più di vent’anni e ha seguito diversi tentativi di riforma. È orgogliosa di aver fatto parte del progetto Receb e spiega che tra i 220 alunni che frequentano la sua scuola, nessuno salta le lezioni. “Con il sole o con la pioggia, vengono sempre. Sono molto contenti”, assicura, prima di sottolineare che “un paese senza scuola non è un vero paese”.
Il passato nascosto
Alla fine del pomeriggio la polvere arancione che si alza da terra conferisce all’atmosfera una luce dorata. La città, impreziosita da bellissimi alberi, si copre di ombre e mistero. Nel centro storico, poco lontano dal porto, un gruppo di ragazzi e ragazze, tutti con indosso pantaloni e magliette bianche, imita la camminata da sfilata di moda su una passerella disegnata sul marciapiede. Nel frattempo le coppie si scattano selfie davanti al monumento per i martiri di Pidjiguiti, un omaggio ai marinai e agli scaricatori di porto che organizzarono uno sciopero e che furono uccisi nella repressione scatenata dalle autorità coloniali.
Vicino al forte costruito alla fine del settecento dal regno portoghese per difendere la città dalle invasioni dei francesi – all’epoca la Francia controllava la Compagnia del Senegal che gestiva la tratta degli schiavi – alcuni avvoltoi appollaiati sui rami di tre solenni baobab sembrano osservare ciò che accade più in basso, nella vita degli umani.
Lungo la linea dell’orizzonte, offuscata dal calore dell’aria, il mare si confonde con le nuvole annunciando l’arrivo imminente della stagione delle piogge. Una pioggia tropicale, torrenziale e intensa che inonda la vita dei guineani. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1621 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati