Insaf Dimassi è arrivata in Italia dalla Tunisia nel 1997, ad appena nove mesi, per raggiungere il padre migrante che lavorava nel paese: prima nei campi e poi nel settore edilizio. Dimassi si è diplomata in Italia in un liceo scientifico molto esigente e ha sempre partecipato alle attività politiche studentesche. Vent’anni dopo il suo arrivo in Italia il padre ha raggiunto i requisiti della labirintica burocrazia italiana per ottenere la cittadinanza, che è stata concessa anche alle sue due figlie più giovani, nate in Italia.

Ma non a Insaf, che aveva compiuto diciott’anni venti giorni prima della cerimonia di giuramento dei suoi familiari e dunque non ha potuto essere naturalizzata insieme a loro. Al momento di diplomarsi ha dovuto presentare una nuova richiesta come maggiorenne. Prima che fosse accolta, però, doveva dimostrare di aver guadagnato 8.200 euro all’anno per tre anni consecutivi. “Sono stata esclusa dalla trasmissione della cittadinanza e ho dovuto ricominciare da capo”, racconta. Oggi Dimassi ha 28 anni e sta completando un dottorato all’università di Bologna. Dato che ha scelto di studiare invece di lavorare a tempo pieno, non ha guadagnato abbastanza per ottenere la cittadinanza. Dunque resta una straniera senza diritto di voto nel paese dove ha abitato praticamente per tutta la vita. “Ho scoperto cosa significa essere una persona senza cittadinanza, una persona senza diritti. Come diceva la filosofa politica Hannah Arendt, non ho il diritto di avere diritti, perché la cittadinanza è questo”, sottolinea mentre mangia un piatto di passatelli, una tipica pasta dell’Emilia Romagna, in un’osteria che si trova vicino alla sua facoltà.

Le foto di questo articolo

◆ Le foto di queste pagine fanno parte del progetto They call us second generation del fotografo italo-marocchino Karim El Maktafi. Sono ritratti di alcuni ragazzi di seconda generazione che vivono a Milano.


Il caso di Dimassi non è isolato. Su una popolazione italiana di quasi 59 milioni di abitanti, circa il 9 per cento (5,4 milioni) è composto da stranieri residenti. Molti di loro, in realtà, sono nati in Italia e hanno studiato nel paese, ma sono figli di migranti. Oggi queste persone incontrano grandi difficoltà a completare un difficile e lungo iter per la naturalizzazione. Molti altri sono arrivati nel paese da bambini.

In questi giorni gli elettori italiani stanno valutando la possibilità di ammorbidire le severe regole sull’immigrazione e offrire ai lavoratori migranti che vivono da tempo in Italia (e ai loro figli) un percorso più rapido verso la cittadinanza.

Nick, febbraio 2020 (Karim El Maktafi)

Il tema ha profonde implicazioni per una società che sta invecchiando rapidamente e in cui quasi un quarto della popolazione ha superato i 65 anni, mentre solo il 12 per cento ne ha meno di 14. E se ne discute in un contesto in cui il desiderio dei politici di limitare il flusso di migranti irregolari domina il dibattito pubblico, in Italia e nel resto d’Europa, con un impatto sull’atteggiamento generale nei confronti dell’immigrazione.

In un referendum organizzato attraverso un’iniziativa popolare gli elettori italiani dovranno stabilire se i migranti extraeuropei avranno la possibilità di chiedere la cittadinanza italiana dopo cinque anni di residenza continuativa nel paese, anziché dopo i dieci attualmente previsti. La riforma equiparerebbe la legge italiana a quella di Francia e Germania. I cittadini dei paesi dell’Unione europea possono chiedere la naturalizzazione dopo appena due anni trascorsi in Italia. Secondo il comitato promotore del referendum la riforma permetterebbe a 2,5 milioni di persone residenti in Italia da molto tempo (molte provengono dall’Europa orientale, dall’Asia, dall’Africa e dal Medio Oriente) di fare subito richiesta di cittadinanza. Una volta presentata la domanda, in ogni caso, il processo durerebbe ancora diversi anni.

Malik, ottobre 2019 (Karim El Maktafi)

Lo specchio del paese

Il governo di destra guidato da Giorgia Meloni, che difende un ideale di identità italiana basato sull’ascendenza di sangue, si oppone a una naturalizzazione più rapida dei migranti non europei. Il partito di Meloni, Fratelli d’Italia, ha invitato gli italiani a non votare l’8 e il 9 giugno, nella speranza di mantenere l’affluenza al di sotto del 50 per cento, soglia che una volta superata renderebbe vincolante un’eventuale vittoria del sì. La Lega e Forza Italia hanno condiviso la posizione di Fratelli d’Italia, con cui formano la coalizione al governo. “Spero che la gente resti a casa”, ha dichiarato il presidente del senato Ignazio La Russa. Meloni, invece, ha sostanzialmente ignorato il referendum, limitandosi a dichiarare in settimana che andrà al seggio ma senza ritirare la scheda.

I sostenitori dell’iniziativa sono infuriati di fronte al rifiuto del governo di partecipare a un processo che non solo avrà un impatto su milioni di persone, ma che a loro parere è fondamentale per il futuro economico e democratico dell’Italia.

“Questo referendum non riguarda solo le persone che non hanno la cittadinanza, ma l’Italia intera e il paese in cui gli italiani vogliono vivere in futuro”, spiega Kejsi Hodo, 27 anni, originaria dell’Albania e arrivata in Italia a dieci anni per raggiungere la madre, una collaboratrice domestica. Né Kejsi né la madre sono state ancora naturalizzate. “Vogliamo che l’Italia sia lo specchio della discriminazione, del razzismo e della disumanizzazione?”, si chiede Hodo, laureata all’università di Bologna e attiva nell’associazione Dalla parte giusta della storia, favorevole alla riforma della legge sull’immigrazione. “O vogliamo un paese che possa riconoscere la realtà e accogliere le persone che vogliono vivere qui e contribuire alla società italiana?”.

Narjisse, febbraio 2020 (Karim El Maktafi)

Dopo aver visto partire milioni di cittadini poveri verso gli Stati Uniti e l’America Latina nel corso dell’ottocento e del novecento, l’Italia non sembra capace di riconoscere il suo status attuale di calamita per i migranti stranieri, attirati da un mercato del lavoro che ha sempre più bisogno di manodopera.

In Italia le politiche sulla cittadinanza hanno storicamente cercato di privilegiare i legami con gli emigrati italiani invece di integrare gli stranieri nella società. Ma secondo Hodo si tratta di un approccio “anacronistico” che ha bisogno di essere cambiato. “I migranti vengono con le loro famiglie e i loro figli, oppure creano una famiglia in Italia. Vogliono restare”, spiega. “Ma a quanto pare le istituzioni non intendono accettare questa realtà”.

L’Istituto nazionale di statistica italiano non fornisce dettagli sulla situazione dei 5,4 milioni di stranieri residenti legalmente nel paese, sulle loro origini, la loro età e il loro paese di provenienza. Tuttavia più di 914mila studenti (l’11 per cento su un totale di 8,1 milioni) sono stranieri, mentre il 13,5 per cento dei bambini nati nel 2024 ha genitori stranieri.

In tutto dal 2002 a oggi l’Italia ha registrato 1,4 milioni di nascite da famiglie straniere. Eppure tutti gli sforzi fatti finora per aiutare questi bambini a ottenere la cittadinanza attraverso una riforma della legge si sono scontrati con l’opposizione o l’apatia della politica.

L’ultimo tentativo di imporre un cambiamento attraverso un referendum ha preso slancio dopo le Olimpiadi del 2024 a Parigi, quando l’Italia ha vinto una medaglia d’oro nella pallavolo femminile con una squadra guidata da Paola Egonu, nata in Italia da genitori nigeriani. Per celebrare quel trionfo un artista aveva dipinto un murales che ritraeva Egonu mentre saltava per colpire il pallone, con la medaglia d’oro al collo e la didascalia: “Italianità”.

Fahd, febbraio 2021 (Karim El Maktafi)

In un contesto segnato dalle polemiche il ministro degli esteri Antonio Tajani, leader del partito di centrodestra Forza Italia, aveva promesso di presentare un disegno di legge per facilitare l’assegnazione della cittadinanza ai figli di stranieri cresciuti in Italia, sottolineando che il potenziale economico del paese sarebbe stato rafforzato dalla “capacità di saper integrare persone che arrivano da fuori”. Tuttavia la Lega, partner di Forza Italia all’interno della coalizione di governo, ha respinto questa possibilità. Da allora l’argomento è stato messo da parte.

A quel punto Più Europa, una piccola formazione progressista, ha lanciato insieme ad alcuni attivisti per i diritti dei migranti una raccolta di firme per un referendum nazionale, in modo da riformare la legge sulla cittadinanza e dimezzare il periodo di residenza continuativa necessario per presentare la richiesta. Nel giro di poche settimane sono state depositate 650mila firme, molte appartenenti a genitori di bambini che studiano in classi multietniche. “Quando pensiamo alla cittadinanza dobbiamo valutare non il paese di nascita o quello dei genitori, ma il luogo dove la persona vuole vivere, dove ha le proprie radici, dove paga le tasse, dove manda i figli a scuola e dove contribuisce alla vita economica, culturale e sociale”, spiega Riccardo Magi, parlamentare di Più Europa.

Enrica, febbraio 2020 (Karim El Maktafi)

Al momento i migranti extraeuropei devono aspettare almeno quindici anni prima di ottenere la cittadinanza italiana, e spesso ne passano più di venti: almeno un anno per ottenere la residenza (di solito molto di più), dieci anni di permanenza continuativa nel paese, fino a tre anni per l’approvazione della richiesta e fino a sei mesi in attesa del giuramento. Molti ragazzi figli di migranti compiono 18 anni prima che i loro genitori riescano a completare la procedura, quindi devono ripresentare la richiesta come maggiorenni e sono costretti ad attendere ancora per anni.

I sostenitori del referendum, compresi i sindacati e il Partito democratico, ritengono che accelerare le procedure per la cittadinanza sia indispensabile per evitare l’emarginazione dei giovani appartenenti alle minoranze etniche che sono cresciuti in Italia ma non hanno una voce politica. “Abbiamo ragazzi e ragazze che si sono diplomati in Italia e spesso non conoscono nemmeno il paese d’origine dei genitori, eppure noi li mettiamo davanti a ostacoli enormi quando vogliono presentarsi a un concorso pubblico e quando vogliono studiare per diventare medici, giudici o militari”, sottolinea Magi. “Un paese così è un paese senza futuro”.

Omaima, ottobre 2019 (Karim El Maktafi)

Il senatore Lucio Malan, di Fratelli d’Italia, ribadisce che per il governo le regole sull’immigrazione vanno bene così come sono, e che un percorso più semplice verso la cittadinanza potrebbe causare un aumento delle persone che ottengono un passaporto italiano e poi decidono di emigrare in altri paesi occidentali. “È del tutto irragionevole assegnare la cittadinanza dopo solo cinque anni. In questo modo una persona potrebbe ottenere cinque o sei cittadinanze diverse durante la sua vita. Più renderemo facile ottenere la cittadinanza e più aumenterà il numero di persone che proveranno a venire nel nostro paese”.

L’ex generale dell’esercito Roberto Vannacci, vicesegretario della Lega, ha criticato la proposta considerandola una “scorciatoia per la cittadinanza italiana” e un piano della sinistra per aumentare i propri voti. “Stiamo assistendo all’ennesimo tentativo di svendere l’identità italiana per fare cassetta elettorale”, ha scritto di recente Vannacci. Secondo l’ex generale il governo dovrebbe naturalizzare solo le persone che “sono un valore aggiunto per l’Italia”, da identificare attraverso un accurato processo di “selezione”. “La cittadinanza implica un’appartenenza profonda, culturale, simbolica, oltre che giuridica”, ha scritto Vannacci. “Lo stato ha tutto il diritto – e il dovere – di valutare se il nuovo cittadino porterà un beneficio alla collettività o sarà semplicemente un numero o, peggio, un peso in più”.

In generale la radiotelevisione pubblica, la Rai, ha ignorato il voto, come d’altronde le altre emittenti del paese. Questa negligenza ha spinto l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) a invitare le tv a fornire un’informazione “completa, imparziale e corretta” per consentire ai cittadini di esercitare i propri diritti. “Nessuno sta discutendo i pro e i contro dei quesiti”, sottolinea Lorenzo Pregliasco, fondatore di Youtrend, una società di sondaggi politici. “Il centrodestra non sta facendo campagna contro il referendum. Si sta limitando a ignorarlo”.

Soliman, ottobre 2019 (Karim El Maktafi)

A Bologna, città universitaria e polo industriale che ospita molti lavoratori stranieri, il sindaco Matteo Lepore (Partito democratico) ritiene che la riforma della cittadinanza sia uno strumento fondamentale per garantire “la democrazia e l’inclusione”. “Abbiamo molti giovani e lavoratori esclusi dall’attività democratica e senza l’opportunità di contribuire pienamente alla vita del paese”, spiega Lepore. “Abbiamo molte persone adulte che lavorano ogni giorno e pagano le tasse ma non hanno una rappresentanza politica”.

La spinta per i diritti

Gli attivisti ammettono che, nonostante i loro sforzi per promuovere i referendum, sarà difficile ottenere un’affluenza del 50 per cento. Anche il mondo imprenditoriale è rimasto in silenzio, nonostante dipenda dalla manodopera straniera. “C’è un problema con il coraggio delle élite imprenditoriali di questo paese”, sottolinea Lepore. “Ogni giorno ci chiedono di trovare nuovi lavoratori, ma quando arriva il momento di pagarli adeguatamente o di includerli nel processo democratico, si tirano indietro”.

Anche se il referendum dovesse fallire, la spinta per concedere una piena integrazione e pieni diritti politici ai giovani di origine straniera non dovrebbe rallentare, soprattutto considerando la crisi demografica che vive l’Italia. “Gli immigrati sono l’unico modo per sostenere la nostra popolazione”, spiega Francesco Billari, demografo dell’università Bocconi. “L’Italia ha bisogno di persone che vogliano vivere qui. La cittadinanza è il modo migliore per integrarle, per fare in modo che si sentano parte della nostra società”.

Dimassi, la studente tunisina, ha percepito in modo drammatico la propria esclusione nelle settimane precedenti il diploma. Instancabile attivista politica nella sua piccola città di Pavullo nel Frignano, in provincia di Modena, Dimassi ha ricevuto la proposta di candidarsi al consiglio comunale. Era lusingata, ma poi ha capito che non avrebbe potuto farlo. “All’inizio non ho realizzato che avrei dovuto rifiutare”, racconta. “Esisteva una dissociazione tra me come cittadina e me come cittadina senza cittadinanza”. I genitori di Dimassi le hanno ricordato che le “mancavano i diritti politici”, spiega. “È stato terribile”.

Deepika Salhan è nata in India ed è arrivata in Italia nel 2008, a nove anni. Suo padre, che lavorava in uno stabilimento per il confezionamento della carne, ha ottenuto la cittadinanza un mese dopo che Deepika aveva compiuto diciott’anni, quindi la ragazza ha dovuto presentare una nuova richiesta, aspettare altri sette anni e rinunciare a un programma d’interscambio studentesco che avrebbe potuto mettere a rischio la sua residenza continuativa.

Da sapere
Le cinque schede

◆ L’8 e il 9 giugno 2025 i cittadini sono chiamati a esprimersi su cinque referendum abrogativi. Per abrogare in tutto o in parte la norma bisogna votare sì, mentre se la si vuole mantenere bisogna votare no. Ecco i cinque quesiti.

Licenziamenti illegittimi e contratto a tutele crescenti (scheda verde) Si propone l’abrogazione di uno dei decreti del Jobs act che riguarda le tutele per i lavoratori in caso di licenziamento. Cancellando il decreto si ristabilisce l’obbligo di reintegro nel posto di lavoro in quasi tutti i casi di licenziamento illegittimo.

In dennità in caso di licenziamenti (scheda arancione) Chiede se si vuole eliminare il tetto massimo all’indennità dovuta ai lavoratori per i licenziamenti illegittimi nelle aziende con meno di quindici dipendenti, consentendo al giudice di determinarne l’importo.

Contratti a termine (scheda grigia) Si decide se abrogare alcune norme che stabiliscono quando un’azienda può assumere lavoratori con contratti a tempo determinato e a quali condizioni può prolungare e rinnovare questi contratti. Cancellando le norme in vigore dal 2015 si ristabilisce l’obbligo di una “causale” per i contratti a tempo determinato più brevi di dodici mesi.

Responsabilità solidale negli appalti (scheda rossa) Il quesito chiede l’abrogazione della norma che esclude la responsabilità solidale del committente (cioè chi affida un lavoro in appalto), dell’appaltatore (chi riceve l’incarico di fare il lavoro) e del subappaltatore per gli infortuni sul lavoro.

Cittadinanza (scheda gialla) Oggi per avere la cittadinanza italiana le persone maggiorenni nate in un paese esterno all’Unione europea devono risiedere legalmente in Italia per almeno dieci anni. Il quesito propone di cancellare questa norma per tornare a quella precedente, in cui si stabiliva che gli anni di residenza necessari erano cinque.


Nel 2024 Deepika, che nel frattempo ha conseguito una laurea magistrale in scienze politiche e della pubblica amministrazione, ha finalmente ottenuto la cittadinanza italiana, a 25 anni. Come presidente dell’associazione Dalla giusta parte della storia ribadisce che le procedure sull’immigrazione relative alle famiglie con bambini devono essere migliorate. “Potremmo risparmiare grandi sofferenze a molte persone”, spiega.

Lepore, il sindaco di Bologna, crede che una riforma della cittadinanza sia inevitabile, anche se i vertici della politica non sembrano intenzionati a prenderne atto. Lepore sottolinea che accogliere gli stranieri fa parte delle più antiche tradizioni dell’Italia. “Gli italiani puri non esistono”, spiega il sindaco. “Solo Meloni e i suoi amici pensano che l’Italia sia stata creata dai romani, uomini forti dell’impero. È sbagliato. Ci troviamo nel centro del Mediterraneo, al crocevia tra Africa, Medio Oriente ed Europa settentrionale. Siamo un melting pot di popolazioni e culture da millenni”.

Alle spalle della stazione di Bologna si trova l’Istituto comprensivo 5, un complesso che comprende sette scuole primarie e medie che accolgono circa 1.200 bambini. Il 40 per cento degli studenti non ha la cittadinanza italiana e un altro 20 per cento ha origini straniere. Mentre un gruppo di bambini di etnie diverse gioca a calcio fuori della struttura, la vicepreside Cristina Dall’Occa sottolinea che quasi tutti gli alunni sono troppo giovani per rendersi conto degli ostacoli burocratici che li attendono nel paese che considerano casa propria. “A quell’età non capiscono, sono innocenti. Pensano di essere italiani”, spiega Dall’Oca. “E lo sono! Quando una persona nasce in Italia e studia in Italia, è italiana. Anche se la burocrazia non lo riconosce”. ◆ as

Amy Kazmin è la corrispondente dall’Italia del Financial Times.

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Questo articolo è uscito sul numero 1617 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati