Marius e Matei (alcuni nomi sono stati cambiati) attraversano con cautela un traballante ponte di legno sul fiume Ozana, nel nordest della Romania. Alle loro spalle si ergono i Carpazi, con le foreste di abeti rossi che risplendono nella luce di fine estate. Ma i due ventenni ignorano il panorama: sono concentrati sugli spazi tra le assi consumate dalle intemperie che rivelano il letto del fiume sottostante asciutto e sassoso. L’Ozana, che un tempo era un fiume impetuoso, adesso è ridotto a un rivolo stentato.
La destinazione dei ragazzi è l’impianto di pompaggio delle acque vicino al loro villaggio, Vânători-Neamț. Vogliono capire perché i loro rubinetti sono a secco da due mesi. “Sono tornato dalla Germania perché mia nonna non può portare l’acqua da sola”, dice Matei alla guardia dietro la recinzione di filo spinato. La guardia sospira. Solo due delle sedici pompe della stazione funzionano. “Ti darei volentieri dell’acqua, ma non vedi che non ce n’è?”, dice. Mentre la città vicina riceve ancora acqua da questo impianto, gli abitanti dei villaggi come Marius e Matei sono costretti a spendere migliaia di euro per scavare pozzi privati.
Negli ultimi sei mesi un team internazionale di giornaliste ha indagato sugli effetti del calo delle falde acquifere in Romania, Germania e Italia, tre dei paesi europei maggiormente colpiti da questa crisi invisibile, scoprendo che le conseguenze della crisi climatica si sommano a decenni di cattiva gestione delle falde e all’incapacità di comprendere che l’acqua è un bene finito.
Oggi l’inadeguatezza delle infrastrutture e la scarsa conoscenza delle riserve idriche sotterranee stanno avendo ripercussioni sulle comunità locali, anche dove l’acqua è ancora disponibile. E i governi faticano ad affrontare questa preoccupante situazione.
Colpite in due modi
Nell’Unione europea le acque di falda forniscono quasi due terzi dell’acqua potabile e un quarto dell’irrigazione agricola. Mano a mano che l’Europa si riscalda, la siccità sta diventando più frequente, soprattutto nel sud e nel sudest. Secondo l’Osservatorio europeo sulla siccità, il nordest della Romania è stato in allerta siccità da aprile a settembre del 2024, insieme allo stato tedesco del Brandeburgo e a diverse regioni italiane, come la Sardegna.
La siccità colpisce le falde in due modi: ne riduce il riempimento con l’acqua piovana e aumenta la dipendenza dalle riserve sotterranee. Durante periodi di siccità prolungati, il consumo idrico a scopo agricolo e domestico aumenta: secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica romeno nel 2020 e nel 2022 – anni di grave siccità – è stato il doppio rispetto a un anno più piovoso come il 2021. Il calo delle acque sotterranee influisce anche su quelle superficiali, perché in molte regioni i fiumi sono parzialmente alimentati dalle falde, soprattutto durante i periodi di siccità. “Se si abbassa il livello della falda, il fiume si prosciuga”, avverte Cristina Di Salvo, geologa ambientale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) italiano.
Gli abitanti di Vânători-Neamț ricordano l’ultima volta che hanno avuto l’acqua corrente, per un solo giorno. Era il 15 agosto 2024, quando il primo ministro romeno ha visitato un monastero lì vicino. L’approvvigionamento idrico è stato ripristinato a metà settembre dopo le piogge, ma i residenti temono che il problema si ripresenti in estate se i periodi di siccità cominceranno presto. Molti si pentono di aver trascurato i loro pozzi, pensando di poter fare affidamento sulla rete idrica. Nel vicino monastero di Agapia, che ospita quattrocento suore, la carenza d’acqua si ripete ogni anno dal 2020. Le suore si sono organizzate, immagazzinando l’acqua piovana con dei barili. “Abbiamo ferito la natura, e adesso la natura ci punisce”, riflette suor Maria, che dirige il museo del monastero.
Nel nordest della Romania si trova quasi il 40 per cento delle aziende agricole del paese, e la carenza di acqua che affligge la regione dal 2020 ha gravi effetti sulle coltivazioni, da cui dipende l’economia locale. Le autorità denunciano il consumo eccessivo di acqua e invitano i piccoli coltivatori a smettere di irrigare i loro orti. I contadini rispondono mostrando i loro campi rimasti a secco per mesi durante l’estate del 2024. Alcuni incolpano le amministrazioni, altri pregano dio.
Secondo l’idrologo Ionut Minea, che ha studiato le vulnerabilità delle falde acquifere nel nordest della Romania, il problema dipende in parte dalla cattiva gestione e dal consumo eccessivo, e in parte dal cambiamento climatico. Con il miglioramento del tenore di vita nelle campagne, sempre più persone hanno avuto accesso all’acqua corrente, aumentando la pressione sulle falde acquifere. “In alcune zone il livello delle falde è sceso fino a dieci metri”, avverte Minea.
In alcune parti d’Italia, il cambiamento climatico sta rendendo visibili le conseguenze di decenni d’inefficienza nella gestione dell’acqua. Le interruzioni delle forniture sono frequenti, anche dove le riserve sono ancora disponibili. Inoltre non sono più solo stagionali, ma continuano anche nei mesi invernali.
È un pomeriggio nuvoloso dell’inizio di dicembre del 2024. Le querce, i faggi e l’acqua che scorre abbondante ai piedi di imponenti pareti calcaree rendono l’aria molto umida. Osservando il paesaggio che si apre intorno al massiccio della Majella, uno dei più importanti bacini idrici dell’Abruzzo, è difficile pensare che circa 130mila famiglie in 69 comuni che dipendono dalle sue sorgenti siano rimaste a secco da giugno. Non è la prima volta, ma questo è stato il primo inverno in cui le interruzioni sono state quasi quotidiane.
In Abruzzo il 96,6 per cento dell’acqua potabile proviene dal sottosuolo. La regione dispone di abbondanti riserve idriche sotterranee, grazie ai suoi acquiferi carbonatici che possono contenere grandi quantità di acqua.
“La risorsa naturale c’è eccome, il problema è la gestione, che dipende dalla politica”, afferma Sergio Rusi, professore associato di idrogeologia all’università D’Annunzio di Chieti-Pescara. Sebbene la distribuzione delle acque sotterranee in Italia non sia omogenea, su una cosa tutti gli esperti intervistati concordano. “Più che al cambiamento climatico, il problema è legato alla gestione. Mancano reti di monitoraggio che permettano di confrontare i dati nel tempo, e quindi di fare una stima precisa dello stato quantitativo delle riserve”, afferma Cristina Di Salvo del Cnr.
Inoltre, la maggior parte delle infrastrutture idrauliche italiane ha più di trent’anni. Secondo vari esperti una delle principali cause del problema è l’elevato numero di soggetti pubblici e privati che gestiscono le infrastrutture di captazione, trasporto e distribuzione idrica. Nella provincia abruzzese di Chieti, secondo i dati forniti dall’ente gestore locale, la Sasi, le perdite dalle condotte superano il 60 per cento, ben al di sopra della media nazionale del 42 per cento.
La Sasi gestisce il servizio idrico e la depurazione di 87 comuni della provincia. L’azienda attribuisce la colpa delle interruzioni esclusivamente alla natura. Nella sua sede di Lanciano, tra la Majella e l’Adriatico, il responsabile delle reti di estrazione e distribuzione Fabrizio Talone mostra su uno schermo l’andamento della sorgente del fiume Verde, la principale della zona. La sua portata è scesa da più di duemila litri al secondo nel giugno 2017 a poco meno di 900 alla fine dell’ottobre 2024. La portata ideale è di 1.200 litri al secondo.
Secondo gli esperti intervistati per questo articolo, anche con una portata di 900 litri, e considerando che i pozzi di emergenza sono sempre attivi quando la portata scende sotto i 1.200 litri al secondo, l’acqua è teoricamente più che sufficiente a soddisfare le esigenze dei quaranta comuni che dipendono dal Verde. Ma nella zona la fornitura d’acqua è stata irregolare per mesi, con interruzioni soprattutto di sera e di notte.
“Stare senz’acqua è una tortura”, dice Vittoria Camboni, 49 anni, insegnante di lettere residente a Ortona e vicepresidente dell’associazione Acqua nostra. Una ventina di residenti della zona intervistati per questa inchiesta attribuisce i problemi alla cattiva gestione della Sasi o alle autorità, spiegando di aver dovuto pagare di tasca propria per comprare acqua potabile o installare l’autoclave, e di non poter decidere autonomamente quando lavarsi o cucinare.
La situazione è ancora più grave per le persone non autosufficienti: “La cosa che mi fa veramente star male sono gli effetti sul percorso formativo di mio figlio”, dice Livia Poeta, residente a Ortona e madre di un ragazzo con la sindrome di Down. “Ci abbiamo messo mesi per insegnargli a tirare lo sciacquone. Ma a causa delle interruzioni ho dovuto dirgli di smettere di farlo la sera, quando l’acqua serve solo per le emergenze, e quindi non la tira più neanche di giorno: ha perso completamente l’abitudine”.
Alla fine di gennaio Vittoria Camboni e altri quaranta abitanti hanno presentato un reclamo alla Sasi, chiedendo provvedimenti immediati per risolvere il problema e il risarcimento dei danni, e aspettano la proposta di conciliazione dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) prima di ricorrere al giudice.
Il 12 marzo 2025 la Sasi ha annunciato la fine delle interruzioni programmate legate alla sorgente del Verde, ma secondo il suo sito il 3 aprile 14 comuni erano ancora sottoposti ogni giorno a interruzioni serali del servizio.
Gli esperti affermano che ridurre le perdite d’acqua è una priorità. Per questo, i gestori delle reti devono capire dove sono le falle. Alla Sasi sono stati assegnati più di 14 milioni di euro di finanziamenti per installare apparecchiature per il monitoraggio della pressione e localizzare le perdite. Complessivamente, la Sasi ha ottenuto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza più di 52 milioni di euro per il miglioramento del sistema di approvvigionamento idrico del Verde, di cui 37.5 direttamente e il resto attraverso l’Ente regionale per il servizio idrico integrato. Contattato per questa inchiesta, il ministero delle infrastrutture ha dichiarato che questi interventi dovrebbero essere completati entro la fine del marzo 2026.
Come promotrice di Ortona Sasi class action, un gruppo Facebook che raccoglie le lamentele dei cittadini, Vittoria Camboni è il volto più visibile delle proteste contro le interruzioni. Seduta nella cucina del suo appartamento di Ortona, racconta che ogni giorno riceve messaggi da persone arrabbiate e stanche. E anche se è decisa a portare avanti l’azione legale contro la Sasi, anche lei è stanca. Ha deciso che appena suo figlio diventerà indipendente, lascerà l’Abruzzo e tornerà a vivere nella sua terra d’origine, la Sardegna.
Il mare avanza
La manutenzione e il rinnovamento delle infrastrutture sono tra le maggiori sfide della gestione delle acque di falda in tutto il continente, afferma Fanny Frick-Trzebitzky dell’Istituto per la ricerca socio-ecologica (Isoe) di Francoforte sul Meno, in Germania. Secondo Frick-Trzebitzky bisognerebbe rivedere l’intero ciclo di ripristino, estrazione e distribuzione, tenendo conto del cambiamento climatico. Poiché le falde sotterranee si riempiono lentamente, è necessario trovare subito una soluzione. “Se i livelli delle acque sotterranee crolleranno, non ci sarà modo di invertire la tendenza”, avverte la ricercatrice.
Il cambiamento climatico non provoca solo siccità, ma anche piogge più intense. Dopo lunghi periodi secchi, i terreni possono diventare così compatti da non riuscire ad assorbire l’acqua. Invece di penetrare nel terreno e riempire le falde, la pioggia scorre via in superficie, aumentando il rischio di alluvioni improvvise e riducendo il ripristino delle riserve sotterranee.
Un altro aspetto da considerare è l’uso in agricoltura. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, nei paesi dell’Unione le falde forniscono circa un quarto dell’acqua usata per l’irrigazione. Poiché le siccità ricorrenti esauriscono le acque superficiali durante la stagione di crescita, gli agricoltori stanno aumentando la pressione sulle falde. Questo non solo ne abbassa i livelli, ma può anche portare ad altri fenomeni, come l’intrusione salina, che ha reso inutilizzabili le falde acquifere a Muravera, nel sudest della Sardegna.
“Se i livelli delle falde crolleranno, non ci sarà modo d’invertire la tendenza”
L’intrusione salina è un fenomeno naturale tipico delle zone costiere, che si verifica quando l’acqua salata del mare avanza verso l’entroterra e può essere aggravato dagli effetti delle attività umane. A Muravera l’intrusione salina è dovuta a una combinazione di fattori tra cui il cambiamento climatico, la costruzione di dighe, sistemi di difesa dalle inondazioni e di una peschiera che ha favorito la risalita dell’acqua di mare nel fiume fino a due chilometri dalla costa, nonché lo sfruttamento legato al turismo e all’agricoltura.
L’acqua potabile dei cinquemila abitanti di Muravera viene esclusivamente dai pozzi. Fino all’anno scorso anche gli agricoltori dipendevano dai pozzi, ma ora un nuovo sistema di distribuzione fa arrivare l’acqua dal fiume Flumendosa. Alcuni agricoltori sono già passati a questa fonte, mentre altri si affidano ancora ai pozzi.
La cittadina era storicamente rinomata per i suoi agrumeti, ma oggi “abbiamo una forte salinizzazione dell’acquifero almeno fino a tre chilometri dalla costa e le colture non riescono a crescere. Gli agrumeti non ci sono più”, spiega Stefania Da Pelo, professoressa associata presso il dipartimento di scienze chimiche e geologiche dell’università di Cagliari. L’acqua non si può usare nemmeno per abbeverare gli animali.
Mentre le famiglie devono fare a meno dell’acqua, alcuni utenti industriali hanno la precedenza. È il caso della città di Baruth, nello stato tedesco del Brandeburgo, una delle regioni più aride della Germania. Qui, a circa un’ora di auto a sud di Berlino, potrebbe scoppiare un conflitto sull’accesso all’acqua. La fabbrica Brandenburger Urstromquelle imbottigliava acqua minerale a Baruth fin dagli anni novanta, ma nel 2023 è stata venduta alla Red Bull and Rauch, il principale imbottigliatore della Red Bull.
L’azienda idrica locale Wabau estrae il 100 per cento dell’acqua potabile della città dalle falde sotterranee. Da quando la Wabau ha venduto gran parte della fornitura alla Red Bull, alcuni residenti temono possibili interruzioni del servizio. La Wabau è autorizzata a estrarre circa 2,5 milioni di metri cubi all’anno, il 92 per cento dei quali è riservato alla Red Bull, mentre il resto sarà disponibile per la fornitura di acqua potabile alla popolazione. La Red Bull ha in programma di ampliare lo stabilimento, aumentando il suo fabbisogno. Per farlo bisognerebbe disboscare 17 ettari di foresta, che si trovano in parte in un’area protetta. Le associazioni ambientaliste si oppongono all’ampliamento, mentre i suoi sostenitori dicono che porterà altri posti di lavoro.
A pochi chilometri dalla zona industriale c’è un’area ricreativa con case vacanza tra i pini. Nel dicembre 2024 l’associazione Radeland Siedlung, che unisce gli abitanti della zona, ha pubblicato una petizione online contro il piano di espansione della Red Bull. “Gli interessi dei cittadini e i princìpi democratici sono ignorati e le risorse pubbliche sono destinate ai profitti privati”, si legge nella petizione.
Lukas W., un impiegato sulla trentina, fa parte dell’associazione. Pensa che i politici locali non stiano prestando la giusta attenzione alle limitate risorse idriche sotterranee di Baruth: “La poca acqua che ci è rimasta è imbottigliata per produrre una bevanda dannosa per la salute”, dice Lukas.
Seduto nel suo ufficio, Frank Zierath, il direttore della Wabau, mostra una mappa delle falde acquifere. Sostiene che le riserve idriche di Baruth possono durare per secoli, ma non è in grado di dire esattamente quanta acqua è contenuta nel sottosuolo. I contratti che la città ha firmato con la Red Bull non sono stati resi pubblici.
Nel frattempo, il Brandeburgo diventa sempre più arido. La falda freatica sprofonda e gli incendi sono più frequenti, aumentando il consumo di acqua.
“Quando un abitante apre il rubinetto, l’acqua scorre”, dice Michael Rippl-Bauermeister, una guardia forestale di Baruth. Ma ogni giorno vede che la natura soffre: le querce stanno morendo e i corsi d’acqua si stanno prosciugando. Passa la mano sulla corteccia ruvida di una quercia di quattrocento anni, i cui rami senza foglie pendono sul tronco. La foresta come la conosciamo oggi in futuro non esisterà più, dice. “Sarò felice se avremo ancora qualche albero”.
Bottiglie e barili
Lo sfruttamento eccessivo delle acque sotterranee ha gravi conseguenze sugli ecosistemi. Frick-Trzebitzky avverte che un’estrazione eccessiva indebolisce le foreste, perché gli alberi perdono umidità e diventano più vulnerabili a malattie e parassiti. Sottolinea anche che le falde freatiche non sono solo una risorsa, ma un ecosistema, costituito da organismi che filtrano l’acqua e ne mantengono la qualità. Man mano che il livello cala, questi fragili ecosistemi si degradano, e se le condizioni cambiano troppo rapidamente possono collassare, influendo sia sulla qualità sia sulla disponibilità dell’acqua. Dato che le autorità sono lente a reagire, le comunità a rischio si adattano come possono.
A luglio del 2024 nel nordest della Romania 167 insediamenti per lo più rurali che dipendono dalle acque sotterranee hanno subìto restrizioni del servizio. Quasi la metà della popolazione della regione non è collegata alla rete idrica e si affida esclusivamente a pozzi privati, oltre 4.300 dei quali erano già a secco in quel momento.
“Se nessuno mette dei limiti, la gente usa tutta l’acqua che si può permettere”
Le colline un tempo verdi sono ora giallo pallido e gli abitanti trasportano l’acqua su carri trainati da trattori o cavalli. A Coștiugeni, nella contea di Botoșani, Paul, che lavora come stagionale nei Paesi Bassi per una parte dell’anno, trascorre le sue estati scavando i pozzi abbandonati e offre gratuitamente l’acqua, facendo pagare solo il prezzo del carburante. “Gli allevatori di pecore sono disperati”, dice.
In alcune zone anche i vigili del fuoco trasportano l’acqua, ma solo sporadicamente. E in mancanza di un sistema centralizzato di raccolta dell’acqua piovana, i residenti si arrangiano, mettendo bottiglie e barili sotto le grondaie delle case per catturare ogni goccia.
Amber Wutich, un’antropologa dell’Arizona state university, parla di “autogestione”. Studia le comunità afflitte dall’insicurezza idrica da quasi vent’anni e ha notato che quando lo stato fallisce, la gente costruisce le proprie reti idriche e sociali. “Purtroppo però l’autogestione è un’arma a doppio taglio”, dice. “Permette allo stato di giustificare i mancati investimenti. Se vogliono evitare l’abbandono, le comunità hanno bisogno di attivismo e impegno politico per affrontare le cause del problema e non solo mitigarne i sintomi”
Questa crisi non può essere risolta solo dai cittadini. Anche se la direttiva quadro sulle acque dell’Unione europea fornisce un’importante base giuridica e ha portato a progressi significativi nella gestione delle risorse idriche, i dati emersi dal monitoraggio suggeriscono che i suoi obiettivi non saranno raggiunti entro la scadenza del 2027.
Secondo Frick-Trzebitzky le condizioni delle falde variano in modo significativo da una regione all’altra, il che significa che una gestione efficace non può seguire un solo approccio. Servono sia l’azione locale sia il coordinamento regionale. “Garantire che l’acqua piovana si infiltri nel suolo sta diventando sempre più importante”, dice. Invece, alcune regioni del continente dipendono eccessivamente dai trasferimenti a lunga distanza, che possono risolvere il problema a breve termine, ma spesso non fanno che spostare altrove la carenza d’acqua.
Le soluzioni tecniche da sole non bastano: Frick-Trzebitzky pensa che sia necessario creare dei “consigli delle acque”, strutture decisionali flessibili in cui tutti i soggetti coinvolti si riuniscano per trovare un equilibrio tra le loro esigenze.
Giardini rigogliosi
A Vânători-Neamț, la guardia sospira indicando la stazione di pompaggio, con i macchinari che ronzano. “Accendiamo tutte le pompe alle sei del mattino, ma si spengono dopo quindici minuti. Semplicemente non c’è abbastanza acqua”.
Ma la scarsità non è sentita da tutti allo stesso modo. A Târgu Neamt, a soli dieci minuti di auto, la crisi è invisibile. Alle sei di sera le strade brillano nella luce dorata del tramonto, e uno schermo segna 32 gradi Celsius. Sotto c’è un curatissimo giardino comunale pieno di fiori rossi, siepi verde scuro ed erba lussureggiante. Due donne anziane siedono a chiacchierare su una panchina all’ombra. “Abbiamo avuto acqua per tutta l’estate”, osserva una di loro. Sa che i villaggi sono in difficoltà, ma alza le spalle. “Se nessuno mette dei limiti, la gente usa tutta l’acqua che si può permettere”.
L’antropologa Amber Wutich ricorda che l’accesso all’acqua dipende dal sistema sociale. “Se vogliamo una condivisione più equa, dobbiamo affrontare le questioni più ampie dell’esclusione politica e sociale invece di concentrarci solo sulle infrastrutture”.
L’immagine di villaggi assetati e città dove l’acqua scorre incontrollata si ripete in tutto il nordest della Romania. Un simile contrasto non si limita a questo angolo dimenticato del continente, ma riflette una profonda disuguaglianza nell’accesso all’acqua, che presto potrebbe affliggere tutta l’Europa. ◆ _ bt _
Questa inchiesta è stata realizzata con il contributo di Journalismfund Europe.
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Questo articolo è uscito sul numero 1613 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati