Il 10 ottobre il parlamento del Perù ha votato la destituzione della presidente Dina Boluarte, in carica dal dicembre del 2022, invocando “un’incapacità morale permanente” di esercitare le sue funzioni. È il settimo presidente che viene destituito o si dimette nel giro di nove anni. Da mesi il paese vive una crisi di insicurezza molto grave, con violenza e criminalità organizzata fuori controllo. “La situazione è precipitata la sera dell’8 ottobre, quando una persona ha aperto il fuoco contro il gruppo di cumbia Agua Marina che stava per esibirsi a Lima. Quattro musicisti sono rimasti feriti nell’attacco”, scrive Bbc mundo. L’episodio ha fatto perdere a Boluarte anche l’appoggio parlamentare di vari partiti di destra che sostenevano ancora il suo governo, tra cui Fuerza popular e Renovación nacional. Il nuovo presidente ad interim è l’avvocato e presidente del parlamento José Jerí Oré, 38 anni, del partito conservatore cristiano Somos Perú. Oré, che dovrebbe guidare il paese fino alle elezioni in programma nell’aprile 2026, è stato indagato per corruzione e abuso sessuale, ma il caso è stato archiviato lo scorso agosto per insufficienza di prove. Gruppi e collettivi femministi si sono riuniti davanti alla sede del parlamento per protestare (nella foto) contro la nomina di Oré, non solo per l’accusa di violenza sessuale ma anche per vari commenti sessisti fatti sui social network, come per esempio: “Quello che più mi piace delle feste dei bambini, sono le animatrici”. Secondo il quotidiano El País, “la politica peruviana vive in un regime di emergenza permanente. La frattura tra le élite e la cittadinanza è totale. Tutte le inchieste mostrano una sfiducia sempre maggiore verso politici, giudici e parlamentari. Le persone non si sentono rappresentate da nessuno. Il rischio è che la rabbia si trasformi in indifferenza e che questa diventi terreno fertile per l’autoritarismo”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati