Cristina Rivera Garza (Francesco Alesi)

L’ultimo libro della scrittrice messicana continua a forzare i limiti formali della scrittura però senza mai perdere di vista il lettore. I sette racconti che compongono Terrestre sono pieni di giochi intertestuali, narratori multipli, tempi e punti di vista dislocati che a volte sembrano vicoli ciechi. Non sono racconti né cronache di viaggio né resoconti confessionali. O meglio, sono tutte queste cose insieme. Lei preferisce chiamarla “non-fiction speculativa”. Parte da un riferimento fattuale per poi farlo crescere e straripare grazie all’esercizio sempre creativo della memoria. Come recita un aforisma inserito in uno dei racconti: “Se è memoria, è finzione; se è memoria, è confusione”. In realtà quasi tutta la sua opera è costruita su questi terreni instabili: dal suo primo libro di racconti del 1991 (che riappare come una sottotrama all’interno di uno dei racconti di Terrestre) fino al suo ultimo e più acclamato romanzo sul femminicidio della sorella, L’invincibile estate di Liliana (Sur 2023), vincitore del premio Pulitzer per il miglior memoir. I racconti di Terrestre sono connessi. “Sono il lato B dell’Invincibile estate di Liliana”, racconta l’autrice. “Che fine hanno fatto le ragazze che non sono morte? Cosa è successo a quelle giovani alla fine del ventesimo secolo? Quali sfide legate alla violenza hanno affrontato mentre si spostavano in varie zone del Messico?”. Per questo tutte le protagoniste sono giovani che viaggiano in gruppo, in coppia o da sole. C’è curiosità e un po’ di insolenza adolescenziale: quel desiderio di divorare il mondo nonostante la minaccia latente della violenza. “In Liliana sono stata estremamente attenta all’uso del linguaggio, perché è una storia molto personale e un terreno molto scivoloso. In questo libro la temperatura è diversa. Sono testi che ho scritto con piacere e con un gran senso di libertà. Quel misto di stupore giovanile e la sensazione di poter fare tutto quello che ti passa per la testa”. I racconti di Terrestre sono stati concepiti come una sorta di allenamento letterario, un modo di usare il racconto breve per indagare strategie da riutilizzare in contesti più lunghi. In un secondo momento Rivera Garza ha deciso che quelle storie avevano una loro entità e rientravano nella sua idea di scrittura come sperimentazione e politica. David Marcial Pérez, El País

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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati