Um, il terzo romanzo di Helen Phillips, si apre con un ago che traccia, in modo costante e irreversibile, una linea sul volto di una donna di nome May. Sta partecipando a un esperimento retribuito di “tecnologia dissidente”, sottoponendosi a una procedura che modificherà lievemente i suoi tratti somatici per renderla meno riconoscibile dalle telecamere di sorveglianza. Il romanzo è ambientato in un mondo distopico, al tempo stesso riconoscibile e sottilmente diverso dal nostro. Il cambiamento climatico ha devastato l’ambiente. Molti lavori sono stati automatizzati, incluso quello di May. Lavorava per un’azienda che sviluppava “le capacità comunicative dell’intelligenza artificiale”, ma è stata licenziata dopo aver inconsapevolmente addestrato una rete di ia che l’ha resa obsoleta. Suo marito, Jem, ex fotografo, mantiene a galla la famiglia con dei lavoretti. Phillips è maestra nell’infondere un’aura di inquietudine agli aspetti intimi del realismo domestico. I suoi romanzi attingono a temi fantascientifici ma non sono guidati dalla trama. Piuttosto, Phillips scrive favole medi­tative su matrimonio e maternità, radicate nei dettagli sensoriali della vita quotidiana. Um, in particolare, appartiene a una nuova categoria di narrativa che intreccia la quotidianità della genitorialità con l’ecoansia.
Katy Waldman, The New Yorker

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Questo articolo è uscito sul numero 1634 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati