È una storia a scatole cinesi, di quelle che a loro volta ne racchiudono altre. Ma è anche, letteralmente, una storia di scatole, perché è stato necessario aprirne parecchie e studiarle per scoprire vere e proprie meraviglie. Tutto comincia con una coppia, Marion e Philippe Jacquier, due produttori di cinema indipendente; sono stati loro a produrre i film di Christophe Honoré, di Anne Fontaine o di Yoshishige Yoshida, un regista della nouvelle vague giapponese che ha avuto un ruolo importante nella loro vita. Poi, nel 2005, hanno deciso di reinventarsi e hanno aperto a Montreuil, vicino a Parigi, la galleria Lumière des roses. Un luogo particolare perché è la prima galleria specializzata nella fotografia anonima. In questo modo la coppia non ha abbandonato l’universo delle immagini e ne è rimasta – come hanno sempre fatto – ai margini.

Questa passione per le immagini viene probabilmente da Gabriel Veyre, operatore e fotografo dei fratelli Lumière, e bisnonno di Philippe Jacquier. Grande viaggiatore, Veyre riportò dall’America Latina e dall’Asia immagini fisse e in movimento, alle quali Yoshishige Yoshida voleva dedicare un film intitolato Lumière des roses.

La prima mostra della galleria, intitolata Amateurs et anonymes (Dilettanti e anonimi), riuniva le fotografie trovate nei mercatini che li avevano sedotti perché divertenti, curiose o semplicemente singolari e belle. Il problema è che non sapevano che prezzo dare a queste immagini, perché non avevano alcuna base di riferimento. Alla fine avevano fissato prezzi tra i 90 e i 180 euro, con la sola eccezione di una foto di grande formato dell’ottocento che raffigura un elefante e il suo domatore, proposta a 1.600 euro. Quest’ultima foto è stata venduta subito ma, con grande sorpresa dei due galleristi, c’era un’altra persona interessata. Il primo acquirente (che poi si è scoperto essere un mercante) propose di cedergliela e alla fine fu venduta al triplo del prezzo iniziale. L’avventura era cominciata e sarebbe durata due decenni, durante i quali gli appassionati aspettavano ogni anno di vedere quello che la galleria Lumière des roses avrebbe proposto nel suo stand alla fiera d’arte Paris Photo, dove vendevano praticamente tutto quello che esponevano.

The Skerry pool, Portrush, Irlanda, 1892, stampa aristotipica. (Tutte le foto: CollEzione Marion e Philippe Jacquier/Dono della Fondazione Antoine de Galbert al Museo di Grenoble)

Quest’anno però hanno deciso di nuovo di cambiare vita, anche se non hanno ancora le idee precise sui loro progetti futuri. Di fatto era diventato sempre più difficile trovare immagini interessanti e la concorrenza era aumentata. Ma in galleria rimanevano ancora diecimila fotografie che non erano riusciti a vendere o da cui non erano riusciti a separarsi. Così hanno proposto l’insieme delle foto ad Antoine de Galbert, collezionista eclettico attivo nel mondo dell’arte che dal 2020 aveva già donato 270 fotografie al Museo di Grenoble, la sua città d’origine.

Foto tratta da una serie di 33 diapositive Agfacolor realizzate con l’autoscatto tra il 17 e il 26 giugno 1941, Germania.

De Galber ha comprato la raccolta e l’ha data al museo, dando vita al più importante fondo di fotografia vernacolare in un museo francese, e colmando così una lacuna tipica della maggior parte dei musei francesi di provincia, che non hanno fotografie nelle loro collezioni. La storia si chiude in bellezza con una delle migliori e più emozionanti mostre del festival Rencontres d’Arles, accompagnata dalla pubblicazione di un libro.

“Zorro” in un autoritratto databile tra il 1940 e il 1970, Francia;

Ma in questa vicenda se ne scoprono tante altre. Per esempio quelle che incrociano la grande storia, come la foto anonima di una donna rasata a zero durante la liberazione. O l’inquietante serie di 33 diapositive Agfacolor del 1941 che mostrano un ufficiale tedesco con l’uniforme della Wehr­macht che posa all’aperto accanto a una donna nuda. Sul retro una scritta indica che le foto sono state scattate il giorno in cui la Germania nazista ha invaso l’Unione Sovietica. Commovente è la foto scattata nel 1899 da un marinaio ad Alfred Dreyfus mentre dorme nella sua cabina della Sfax, la nave che riportava il capitano dall’isola del Diavolo dove era stato deportato, verso la Francia, per la revisione del processo dopo la quale fu graziato.

Una foto dell’album di Jean C., Francia, 1930, stampa ai sali d’argento, con la scritta in rosso: “Sono completamente tua”.

Molte di queste immagini sono storie personali, di ogni genere. Come per esempio quella di Lucette, appassionata di viaggi organizzati, che tra il 1954 e il 1977 scattò quasi un migliaio di piccole foto delle sue vacanze, per lo più mosse, sulle quali compare sempre da sola. O ancora il farmacista parigino che attraverso un apparecchio nascosto dietro una tenda riprendeva la sua clientela, per poi incollare le foto, classificate in ordine alfabetico, su delle tavole. Voyeurismo e classificazione. Il caso più barocco è quello di un uomo che i Jacquier hanno chiamato Zorro. Con stivali alti sopra il ginocchio, casco di cuoio e frusta, tra il 1940 e il 1968 Zorro ha realizzato un centinaio di autoritratti che mettevano in scena le sue fantasie sessuali. Ma la più romantica e probabilmente la più bella di queste storie è quella di Rose e Jean. Nel 1929 Jean aveva 18 anni e lavorava presso una società di borsa, quando Rose è arrivata a Parigi per diventare parrucchiera. Si sono incontrati e si sono innamorati, ma dopo tre mesi Rose è dovuta partire per Tahiti. A distanza di un anno Jean, ormai solo, ha deciso di tornare sui luoghi che avevano visto insieme; li ha fotografati e ha composto un piccolo album nel quale ha indicato con una croce a inchiostro rosso la presenza – e l’assenza – di Rose. Su una delle fotografie ha scritto, facendo parlare la sua amata, “Sono completamente tua”.

Stati Uniti, 1860 circa, ambrotipia con alterazioni.

In realtà Marion e Philippe Jacquier non sono dei collezionisti, la loro attività è stata piuttosto quella di raccogliere fotografie che li attiravano. Così si può vedere di tutto, molti enigmi e una moltitudine di immagini su cui inventare storie: la bellezza di un tuffatore nudo ritratto nel 1892, diventato al tempo stesso un’astrazione e un lampo di luce; l’alterazione di un ambrotipo americano degli anni sessanta dell’ottocento trasformato in una trama elegante; un uomo nudo che posa per uno scultore in mezzo a delle statue; la finezza delle tinte di autocromie di straordinaria modernità. I nudi ovviamente sono tanti, estetizzanti o erotici, alcuni colorati con riguardo, altri più sconcertanti, come un equivalente giapponese del 1930 dell’Origine del mondo.

Prostituta in un bordello, Francia, 1930 circa;

Sguardi, atteggiamenti, pose, aneddoti, un’intera umanità di cui non sapremo nulla, neanche chi l’ha guardata e vista con il desiderio di conservarne il ricordo in un’immagine. Dal dagherrotipo agli anni settanta del novecento attraverso tutte le tecniche, dal Giappone agli Stati Uniti, dalla Repubblica Ceca alle rive del mar Caspio, questo insieme che rende omaggio alla fotografia amatoriale, che André Kertész definiva “fotografia pura”, ci offre un’altra storia della fotografia, che non prende in considerazione i nomi, le scuole, né qualunque altra gerarchia, ma che si basa sul piacere di vedere, di emozionare, di scoprire. Marion e Philippe Jacquier lo fanno nello spirito delle due citazioni che hanno scelto per introdurre due capitoli del loro libro: “Davanti a certe foto volevo essere selvaggio, senza cultura”, scriveva Roland Barthes nella Camera chiara; e l’affermazione di Susan Sontag in Sulla fotografia: “Collezionare fotografie è come collezionare il mondo”. Tutto questo risale ai tempi della pellicola, un’epoca finita con tante fotografie che si sono perse, ma di cui i due complici hanno salvato qualche meraviglia.

Monsieur Roussel, estratto da una serie di duecento immagini, alcune colorate, Francia, 1930 circa, stampa ai sali d’argento.

E oggi non possiamo fare a meno di pensare che, con la rapidità che ci porta alla distruzione di tante immagini digitali, ci devono essere dei tesori che andranno persi per sempre. ◆ adr

Albert Bartholomé al lavoro sul monumento ai caduti nel cimitero del Père-Lachaise, Francia, 1890 circa, stampa aristotipica.
Violette Nozière durante il processo, Francia, 1934, stampa ai sali d’argento;
Stati Uniti, 1860 circa, dagherrotipo.
La mostra, il libro, il festival

◆ La mostra Elogio della fotografia anonima, collezione Marion e Philippe Jacquier donata dalla fondazione Antoine de Galbert al Museo di Grenoble, è in corso fino al 5 ottobre nel chiostro Saint-Trophime ad Arles, in Francia, nell’ambito del festival Rencontres d’Arles. Il libro-catalogo è pubblicato dalle edizioni Atelier Exb.


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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati