Anna Tivel ha sempre mantenuto una presenza unica nella scena folk contemporanea, conquistando però l’attenzione di pubblico e critica. Dal debutto del 2014, e soprattutto dal 2019 in poi con una produzione molto intensa, è diventata una delle voci più innovative del genere. Per lei le tradizioni popolari e l’omaggio alla musica statunitense non sono mode passeggere: la sua scrittura rifiuta i cliché zuccherosi, cercando invece una sperimentazione naturale. Con Animal poem, il suo settimo album, Tivel amplia ancora di più questo percorso. Il disco segna un’evoluzione sonora: rispetto ai lavori precedenti c’è un respiro più ampio e quasi epico, senza perdere il calore intimo tipico della sua musica. I dieci brani mantengono l’equilibrio tra intimità e apertura, confermando la sua voglia di crescere senza ripetersi. Le atmosfere virano verso un folk più vicino al rock, con arrangiamenti vividi che esaltano immagini e emozioni dei testi. Già l’iniziale Holy equation introduce nuove profondità sonore, mentre Paradise, White goose e Airplane to nowhere mostrano la varietà della sua tavolozza. Anche la scrittura si amplia: Tivel si abbandona a storie più vive e dettagliate, dal viaggio emotivo di Hough Ave, 1966 alla tensione di Badlands. Brani come Meantime o la conclusiva The humming dimostrano che sa unire accessibilità e originalità. Animal poem è un cambiamento coraggioso: Tivel non cede alla tentazione di ripetersi, ma spinge ancora più in là i confini del folk.
Ryan Dillon, Glide
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Questo articolo è uscito sul numero 1630 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati