Se i concerti del 4 e 5 luglio a Cardiff erano stati la prova generale per la stampa musicale mondiale, il concerto dell’11 luglio a Manchester, il primo dal 2009, era quello che i fan aspettavano. Ci sono show a cinque stelle e poi ci sono quelli come questo, che racconterai ai tuoi figli tra vent’anni. Non poteva certo essere noioso: gli Oasis di nuovo a Heaton park, davanti a ottantamila persone con il cappello da pescatore e il parka anche se ci sono trenta gradi, pronti a impazzire nello stesso angolo di mondo che ha dato i natali ai Joy Division e agli Smiths. La città era in festa: nei bar del Northern quarter risuonavano i brani della band, un murale di Liam e Noel Gallagher campeggiava su Thomas street e migliaia di fan giravano con la birra in mano, increduli che il sogno si fosse realizzato. Come a Cardiff, la marcia strumentale Fuckin’ in the bushes ha annunciato l’arrivo della band, seguita da Hello e poi dall’emozionante Acquiesce. Il tributo al Manchester City non poteva mancare: l’allenatore della squadra Pep Guardiola, presente tra il pubblico e sul palco in versione cartonata, ha avuto la sua dedica in D’you know what I mean?. Fade away è diventata un’ode al quartiere di Burnage, dove sono cresciuti i fratelli Gallagher. E poi Don’t look back in anger, inno della città dopo l’attentato del 2017, ha commosso tutti. Ovunque uomini in lacrime, adolescenti abbracciati, coppie che si asciugavano le lacrime. Impagabile.
Poppie Platt, The Telegraph
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Questo articolo è uscito sul numero 1623 di Internazionale, a pagina 116. Compra questo numero | Abbonati